21 Novembre 2008

La locanda di Alìa

di Alessio Postiglione (Blog Castrovillari. Interviste Ristoranti)

Risponde Pino, della Locanda di Alìa, Castrovillari.

Castrovillari e i suoi tesori.
Qui c’è una storia antichissima. Pensi che il nostro protoconvento francescano risale al 1220 e fu fondato da Pietro Chatin, discepolo diretto di San Francesco. Ci sono chiese ed un formidabile Castello Aragonese, del 1490.

Il vostro rapporto col territorio.
Era il lontano 1952, quando papà Antonio e mamma Lucia aprirono una piccola e semplice trattoria.

Oggi non siete né piccoli né semplici. La guida dell’Espresso vi definisce “tappa obbligatoria dell’alta ristorazione […] capaci di esprimere un insieme costante di saperi e cultura gastronomica”.
Ci siamo dati da fare. Alta ristorazione calabrese, comunque. Una cosa difficile

Una missione.
Già. Esprimiamo “alta cucina”, che sa essere precipuamente del territorio e calabrese. Ma c’è un soffitto di vetro che ci chiude, ci frusta, ci esclude.

E’ una terra difficile.
Si. Ma sono “più difficili” gli occhi di chi ci guarda. Le racconto una storia. Casimira Alberti ne “L’anima della Calabria”, lei che è di origine ucraina, ha scritto forse la pagina più bella che sia mai stata scritta per la mia terra. L’autrice sostiene che nessuno ha mai voluto scorgere la bellezza della Calabria, bellezza che non imita e a carattere spontaneo, perché la nostra identità è negata, misconosciuta.
Chi viene da noi, quando scopre le nostre bellezze, ci dice: “Sembra la Riviera ligure“, “Sembra la campagna toscana“, “Sembra la Costiera Amalfitana“, Sembra Taormina“. Ma perché la Calabria deve assomigliare agli altri e non essere valutata per sé stessa. Perché c’è un velo di Maya, davanti agli occhi di chi ci guarda, che impedisce di conoscere la vera Calabria. C’è un pregiudizio di chi non è calabrese.
I nostri clienti vengono qui, ci fanno tanti complimenti. Ma sono complimenti che svelano un amaro pregiudizio. “Non me l’aspettavo”, “Che cucina!”, “Che bei posti”… io so che la Calabria è una terra negata, che non esiste nella coscienza nazionale. I discorsi sulla Calabria parlano di ‘ndrangheta, arcaicità, premodernità. E’ incredibile come questo pregiudizio che ci nega la nostra identità si riverberi su ogni aspetto della mia terra. Non solo non c’è economia - si dice - ma da questo deve discendere che non c’è neanche cultura, in tutti gli aspetti… quindi anche a tavola.
Ma è possibile che esista questa mistica degli ottimi prodotti della val d’Orcia e non si riconosca che la Calabria ha 300 tipi di soppressate, l’una diversa dall’altra? E’ possibile che eravamo nell’antichità noti con il nome di Enotria - terra del vino - ma la nostra produzione non è riconosciuta a livello nazionale? Si dice che i vini non li sappiamo fare. Ma non è più così! Dal Greco calabrese discende la Garaganega, con la quale si fa il Soave, ma nessuno sembra ricordarsene. Noi beviamo l’ottimo Amarone, ma perché al nord non si beve il nostro Gaglioppo? E’ possibile che la Calabria non possegga stelle Michelin? Perché si parla delle altrui pievi e non delle nostre “cattoliche” e chiese basiliane?

Mi viene da parafrasare una bella citazione di Simone De Beauvoir, la madre del femminismo. “Una donna deve lavorare il doppio, per essere apprezzata la metà di un uomo”. I calabresi devono lavorare il doppio?
Purtroppo si. Ma è il mio impegno.
Molti clienti mi chiedono: “Perché non emigra”. Perché dovrei lasciare la mia amata terra, dove il tempo scorre a misura d’uomo?
La Alberti diceva che “quando tu transiterai da noi, i nostri tre mari ti sedurranno, non esitare e abbandonarti alla Calabria che liberò Oreste dalle Erinni”. E guardarla con occhi liberi da pregiudizio.

Qual è la forza della vostra cucina?
L’assoluta potenza… i grandi sapori, 300 tipi di soppressata… la cipolla di Tropea, dolce, digeribile e profumata.
Oppure, il pomodoro di Belmonte Calabro: brutto ma paradisiaco, senza semi. La dolcezza infinita dei torroni di Bagnara Calabra. I fichi dottati, sublimi.
La nostra è un’alta cucina che responsabilizza il cuoco. Senza chimica… gelatine e niente emulsioni…
Preparo una insalata di pomodoro di Belmonte, con cipolla  di Tropea, fichi dottati e bottarga di Pizzo calabro… con olio e senza sale… Il pubblico resta allibito… e alcuni mi fanno: “Perché fate anche la bottarga in Calabria?” La facciamo da secoli…
Il ruolo dello chef qui non è combinare, trasformare: ma eliminare e lavorare in sottrazione.

Il più bel complimento ricevuto.
Giorgio Tosatti, 31 luglio 2002: “Siete come un tempio della gastronomia: è come sfidare da soli la nazionale brasiliana e vincere il titolo”.

Rifarebbe tutto?
Si. Con disperazione ed orgoglio.

Riferimenti:
La Locanda
Via Letticelli, 55 - Castrovillari (CS)
Telefono: 0981-46370

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