24 Dicembre 2008

Quel sogno di libertà tra palmizi e gabbiani

di Marcello Di Sarno (Blog San Benedetto del Tronto. Interviste Giornalisti)

Remo Croci è corrispondente per il TG5 dalle Marche, Abruzzo e Molise. Per la stessa testata ha seguito tra gli altri la vicenda dell’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nel novembre del 2007.
I suoi esordi sono legati all’emittente marchigiana TVP, uno dei primi esempi di televisione privata.
Di recente pubblicazione il suo ultimo libro “Lu cucale e i cucalini”: una silloge di racconti sui principali fatti di cronaca di San Benedetto del Tronto.
Una città sempre presente in ogni aspetto della sua vita, come ci consegna l’intervista che ha rilasciato per Comuni-Italiani.it

Remo Croci e il giornalismo: chi o cosa ha ispirato questo “matrimonio”?
La passione per il giornalismo me l’ha trasmessa un amico di mio zio Romano, che nel finire degli anni ‘70 era il telecronista della squadra di calcio della Sambenedettese, per conto di TVP ( Telecavocolorpiceno), fra le prime televisioni private in Italia. Si chiamava Marcello Camiscioni ed era fra l’altro un noto albergatore della città, discendente di una storica famiglia sanbenedettese.
Lui, in gioventù, in occasione delle olimpiadi di Roma era stato scritturato per quell’avvenimento per conto della Rai. E’ stato dunque Camiscioni a farmi amare questa professione iniziata prima nel campo dello sport e successivamente in quello della cronaca.

Remo Croci

Il ruolo di San Benedetto nella sua scelta professionale?
Un ruolo determinante. E’ stata una vera e propria palestra di giornalismo dal momento che in campo sportivo la squadra di calcio della Sambenedettese militava nel campionato di serie B. Questo mi ha dato la possibilità di avvicinarmi al giornalismo televisivo, come spiegavo prima, in quanto ho ereditato il ruolo di telecronista dal pioniere Marcello Camiscioni.
Con la Sambenedettese ho avuto la possibilità di fare esperienze non solo professionali ma anche di vita giacché, seguendo la squadra in trasferta, ho visitato altre città e ho stretto amicizie con molti personaggi del mondo dello sport con il quali ho ancora ottimi rapporti. Ma non solo sport e calcio.
San Benedetto del Tronto ha vissuto momenti drammatici con gli episodi legati al terrorismo, con la politica degli anni di piombo e un laboratorio politico di grande impatto nazionale, che mi hanno consentito anche di maturare esperienze di prim’ordine sotto il profilo della cronaca nera.

Il riferimento agli “anni di piombo” richiama alla mente il tragico epilogo del sequestro dell’imprenditore Roberto Peci, nel 1981. Che ricordo ha di quei giorni?
Di quel periodo ricordo la tensione che si viveva in città per la presenza della polizia e dei carabinieri. Un clima pesante per un periodo politico della vita nazionale che ebbe in San Benedetto del Tronto un laboratorio importante, con la formazione di gruppi definiti eversivi ma che avevano, in fondo, lo scopo di cambiare il modo di pensare di un Paese, nel quale la Democrazia Cristiana aveva messo il bavaglio a chi voleva esprimere diversamente la propria opinione.
Lo sbaglio fu che a quei movimenti si unì la violenza, fino al punto che si commisero degli omicidi. Il sequestro di Roberto Peci fu la vendetta dell’ala più violenta delle Brigate Rosse per il pentimento del fratello Patrizio; ma fu un grave errore uccidere quel giovane che aveva solo la colpa di essere il fratello del primo pentito delle bierre.

San Benedetto ancora una volta protagonista dei suoi libri. Nell’ultimo si parla di “cucale e cucalini”
Nei miei libri c’è sempre la mia città e sempre ci sarà perché vivo un rapporto diretto. I cucale e i cucalini sono i gabbiani così come vengono chiamati in dialetto dai sambenedettesi. Fanno parte della comunità, accompagnano in mare i pescatori e con loro c’è sempre il sogno della libertà.

L’appeal letterario della città deriva anche dal suo ancestrale dialetto. E’ una presenza forte nella sua vita?
Il dialetto lo ritengo essenziale per la cultura di un paese. Io lo parlo spesso anche quando non mi trovo con i miei familiari e gli amici. Ai miei due figli, Saverio e Alessandro, l’ho trasmesso così come aveva fatto mio padre Saverio per non perdere le radici della nostra famiglia.
Quello dei poeti, dalla Piacentini ai Quondamatteo, è una forma di espressione che andrebbe meglio divulgata nelle scuole cittadine. Pochi sono, oggi, i giovani sambenedettesi che conoscono la vecchia lingua madre ed è un vero peccato.

Insieme alla lingua, quali luoghi della “città giardino” la fanno sentire veramente a casa?
I luoghi che amo della mia città sono tanti. Ad ognuno mi legano ricordi di vita.
Il porto però è quello che amo più di ogni altro angolo; lì andavo da bambino ad attendere il ritorno delle grandi navi oceaniche, perché avevo uno zio - Giuseppe - che lì era imbarcato e io avevo il compito di trasferire a casa tutto quello che lui riusciva a portare in Italia ma che non poteva “passare”alla dogana. Dalle sigarette agli alcolici ai souvenirs africani, ho portato di tutto nascondendo nei borsoni.
Del porto ho sempre ricordi bellissimi: quel profumo inconfondibile nei giorni di brutto tempo e quelle serate trascorse sulla punta estrema nelle giornate di freddo sono impareggiabili. Lì ci andavo anche la domenica prima della partita di calcio quando la squadra locale giocava al vecchio campo sportivo Ballarin.
Un altro luogo che mi affascina è il lungomare che credo, avendo girato un po’ per l’Italia, sia unico perché circondato da centinaia di palmizi.

Dagli esordi della TV Picena al TG5: una pagina indelebile di San Benedetto vissuta da giornalista.
Di pezzi che ricordo volentieri ce ne sono tanti che mi legano alla città, oltre a quelli di routine - legati in particolare al maltempo.
Ne ricordo uno legato alle vicende della squadra di calcio che, finita in mano a personaggi poco raccomandabili, nel 2006 navigava in fondo alla classifica di C1. C’era bisogno di una mobilitazione generale e così finii con l’accettare una proposta di amici che mi vide in prima linea a tentare di salvare la squadra dal fallimento.
Pensai che grazie alle mie amicizie potevo sfruttare l’occasione di coinvolgere testate nazionali per occuparsi del caso “Samb”. In poco tempo sbarcarono troupe da tutta Italia con Striscia la Notizia in testa e tg. Quello fu un pezzo storico.

San Benedetto e la fede: la festa della Madonna della Marina nei suoi ricordi adolescenziali.
Questa festa era uno degli avvenimenti che per noi ragazzi aveva un fascino particolare. La festa, cadendo nel periodo estivo, ci vedeva impegnati già da molti giorni prima, in particolare per noi che frequentavamo la parrocchia essendo nati nelle strade del centro storico; con il parroco, il vecchio curato don Costantino, erano giorni intensi di preparazione per la processione in mare a bordo dei pescherecci, che venivano addobbati per la festa con le bandiere del Gran Pavese.
Poi per le strade era un continuo divertimento fra le bancarelle e la giostra che inizialmente si trovava nella piazza riservata al parcheggio degli autobus.

Dallo studio le passano la linea: un minuto per raccontare San Benedetto alla sua maniera.
In un minuto televisivo sono tante le cose che si possono dire. Della mia città basterebbe citare il mare e il clima che in ogni mese dell’anno accompagnano la vita dei sambenedettesi. Mio nonno Remo amava ripetermi: “Nipote tu sei fortunato perché sei nato nel paradiso terrestre!

Professione reporter: tra blog e social network, come vedi il futuro del giornalismo e cos’è che secondo lei va riformato della nostra professione?
Il futuro ognuno di noi lo immagina diversamente da quello che vive attualmente nella propria professione; lo guardi con fiducia, ma sinceramente io lo vedo con gli occhi di un cronista che sostiene da sempre che questa professione ha troppe facce e spesso le ha sporche.
Ormai siamo stretti nella morsa di dover dare al lettore o al telespettatore solo e sempre degli scoop, delle esclusive. Sempre alla ricerca di qualcosa di sensazionale per uno show business senza precedenti. Personalmente non sono per questo modo di fare giornalismo, lo preferisco diverso e più silenzioso.
Amo le inchieste, ma nei tg hanno sempre meno spazio. Un giorno quando avrò del tempo libero ho preso l’impegno con i miei figli di scrivere un libro dal titolo: le notizie che non ho dato e quelle che non mi hanno fatto dare!

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