Descrizioni comuni della Provincia di Foggia

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Elenco Comuni: San Giovanni Rotondo (18), Vieste (14), Monte Sant'Angelo (10), Peschici (9), Lucera (7), Rodi Garganico (7), Troia (7), Mattinata (6), Alberona (5), Bovino (5) - Lista Alfabetica
Mappa Vieste

Vieste descritta da DGIANKY

Ho passato le mie vacanze in un villaggio, quando ci arrivai ho preso brutto tempo, il villaggio dove ho soggiornato, era completamente allagato quindi i primi due giorni non li ho trascorsi bene ma poi ho terminato piacevolmente la mia vacanza, girando tutto il comune che offre un lungomare fantastico, un centro storico molto bello, che consiglio a tutti di visitare.

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Mappa Cagnano Varano
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Cagnano Varano descritta da Cosimo Altomare

Un paesino simpatico, abitato da gente simpatica e cordiale, ove la vita ha ritmi ancora umani ed ove gli anziani vivono all’aperto, sulla pubblica via condividendo la loro vita con i vicini.

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Mappa Vieste
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Vieste descritta da chicercatrova

Oltre alle antichissime origini, Vieste vanta oggi uno degli scenari marini più suggestivi dell’intera costa adriatica italiana. Il suo territorio va dai fitti boschi, alle pinete, alle spiaggie e alla coste con le innumerevoli grotte. L’acqua limpida e la sabbia fine attirano turisti da tutta l’Europa e l’attuale centro storico è una piccolo tesoro che nasconde angoli caratteristici da visitare.

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Mappa Rodi Garganico

Rodi Garganico descritta da Fidelius

L’origine di Rodi Garganico va collegata al movimento espansionistico dei Rodii argivi che, attratti dal clima e dalle immense pinete, nell’VIII secolo a.C. ne colonizzarono le coste. Secondo Cellarius e Mommsen, invece, Rodi Garganico potrebbe essere stata riedificata sulle rovine della mitica Uria distrutta dopo le guerre puniche. Plinio, infine, fa menzione di un portus Garnae che gli storici identificano con il porto di Rodi Garganico, i cui ruderi erano visibili fino agli inizi del Secolo. Nella località sotto il castello si notano ancor’oggi le mura difensive del porto di Rodi Garganico e, interrata nella rupe, una botola tramite la quale si accedeva ad un locale sul cui architrave si leggeva la scritta Tabularium.

Il tabulario, presso i Romani, era la persona addetta alla vigilanza dei misuratori di cereali e frumento per impedire frodi che spesso si commettevano. Quindi quella stanzetta doveva essere il luogo dove il tabularius registrava, portava la contabilità e teneva conservati i pesi e le misure. Certamente, essendo l’attività marinara di Rodi Garganico l’unica via di comunicazione del Gargano, quella botola doveva servire ad imbarcare sui bastimenti i prodotti agricoli di tutta la Capitanata. Un’epigrafe, un tempo murata all’esterno del Santuario dedicato alla Madonna della Libera, fa supporre che Rodi Garganico in epoca romana fosse un municipio amministrato dal Comite Gneo Suilio Mascillioni, magistrato ed esattore di tributi. Caduta Roma si susseguirono tempi difficili: Rodi Garganico fu distrutta dai Goti nel 485 d.C., ricostruita nel 553 dopo la guerra greco-gotica e attaccata dai Saraceni nel 950. Nel 1240, alleata di Federico II, fu saccheggiata dai Veneziani e nel 1446 fu feudo di Alfonso d’Aragona e tale rimase fino al XIX secolo. Nel XVIII secolo ospitò [Gioacchino Murat], che cercava di tornare a Napoli nel proprio castello rischiando di essere assediata dall’intero esercito francese. Oggi è protagonista del turismo italiano emergente. Già meta balneare di lusso nella metà del 900, Rodi, attraverso importanti processi di riqualificazone sta rivalutando la propria immensa storia e sta riscoprendo l’originalità dei profumi e dei frutti che a sua terra offre. Pochi sanno, infatti che Rodi, all’inizio del secolo era la prima città per import ed export di agrumi. L’attuale costruzione di un [porto turistico] l’ha posta come centro di spicco nel commercio turistico mediterraneo.

…Si dice che sia tanto soave l’odor degli aranceti sul lido di Rodi Garganico, da far venirle lacrime agli occhi quando è il tempo della fioritura…

Il centro abitato è abbarbicato su un promontorio roccioso nel versante nord del Gargano tra due lunghi arenili e si trova a pochi chilometri ad est del Lago di Varano ed è circondato da una lussureggiante vegetazione, composta soprattutto da agrumeti, ulivi, pini, carrubi e alberi di fichi.

Il centro storico dell’abitato, d’origine medievale, è caratterizzato da viuzze strette e in buona parte ripide, con tracciati intricati e complessi, affiancate da bianche case. Grazie alla rivalutazione messa in atto dalla recente amministrazione sono riemersi veri e propri gioielli architettonici di epoca pre-medievale La recente costruzione di un ampio porto, le permette una migliore conservazione della fauna, in quanto, al contrario di quanto si possa pensare, quest’infrastruttura crea una vera e propria oasi senza nè correnti nè inquinamento dove la fauna marina si sta ricreando. Da molto tempo scomparsi nella zona, ad esempio, sono ricomparsi cavallucci marini e stelle marine. Oggi è diventata una località balneare davvero esclusiva: non di rado vanta la presenza di noti personaggi del mondo dello spettacolo

Dista dal capoluogo circa 99 km. Fa parte del Parco Nazionale del Gargano.

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Mappa San Severo

San Severo descritta da Fidelius

La storia
Secondo la leggenda rinascimentale, la città di San Severo fu fondata
dall’eroe greco Diomede col nome di Castrum Drionis (Casteldrione).
Diomede avrebbe edificato due templi, uno dedicato a Calcante, l’altro a
Podalirio. Casteldrione, ad ogni modo, sarebbe rimasta pagana fino al
536, quando san Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto celebre per le
prodigiose apparizioni dell’arcangelo Michele nel Sacro Speco del
Gargano, avrebbe imposto all’abitato il nome di un fantomatico
governatore Severo, da lui convertito al cristianesimo.
San Severo sorge nell’antica Daunia, e nell’agro della città sono state
rinvenute tracce di vari insediamenti neolitici. In età medievale l’area
non risulta interessata da insediamenti stabili e definibili. Tra l’età
longobarda e quella bizantina s’irradiò dal monastero di Cassino il
monachesimo benedettino, e con esso il culto del santo apostolo del
Norico Severino, abate del V secolo, precursore di san Benedetto. Sul
probabile itinerario della Via Sacra Langobardorum sorse dunque una
primitiva chiesetta dedicata a san Severino, presso cui si formò intorno
al Mille, grazie al continuo afflusso di pellegrini diretti al Sacro Speco di
Monte Sant’Angelo e agli spostamenti di uomini e merci per fini di
mercatura, l’odierna città, originariamente chiamata Castellum Sancti
Severini.
L’agglomerato, sviluppatosi rapidamente grazie alla posizione favorevole
ai commerci, assunse ben presto una notevole importanza, e fu sede di
mercanti veneti, fiorentini, saraceni ed ebrei. Dapprima soggetta agli
abati benedettini del monastero di San Pietro di Terra Maggiore (e nel
1116 l’abate Adenulfo vi dettò la famosa Charta Libertatis), nel 1230 si
ribellò all’imperatore Federico II che, dopo averla punita con
l’abbattimento delle mura, la cedette ai Templari. Fu poi dichiarata città
regia, ed ospitò diversi monarchi, tra cui Giovanna I e Ferrante
d’Aragona.
Nel XVI secolo fu sede del Governatore della provincia di Capitanata e
Molise, regione di cui era capoluogo, e del tribunale della Regia Udienza.
Nel 1534 vi fece visita l’imperatore Carlo V, che in tale occasione istituì il
Consiglio dei Quaranta, espressione delle potenti famiglie reggimentarie.
In questo periodo la città batté moneta propria, il suo rarissimo tornese.
Qualche anno prima, nel 1528, era avvenuto un grande prodigio: quando
a sorpresa, nel cuore della notte, l’esercito spagnolo aveva dato l’assalto
a San Severo, con l’intenzione di espugnarla e metterla a saccheggio, il
glorioso santo patrono, l’abate Severino, apparve a cavallo sulle mura
della città, in abiti guerreschi, con una bandiera rossa nella mano sinistra
e una spada nella destra, e, seguito da terribili schiere celesti, mise in
fuga l’atterrito offensore, salvando San Severo da irreparabile rovina. La
città professò al potente protettore la propria eterna gratitudine e lo
proclamò solennemente Defensor Patriae, scelse a proprio stemma la
figura del santo così come era apparso ai soldati spagnoli e fece voto di
donare ogni anno a san Severino, in occasione della sua festa (8
gennaio), cento libbre di cera.
Nel 1557 avvenne il miracolo della Pietà: gruppi di pellegrini erano soliti
dimorare in uno degli xenodochi cittadini, quello - allora in abbandono -
sito nel largo del Mercato e dedicato alla Madonna della Pietà. Alcuni di
questi pellegrini giocavano d’azzardo, ed uno, perduto ai dadi tutto quel
che aveva, con rabbia si rivolse all’immagine della Vergine dipinta sopra
una parete dello xenodochio, accoltellandone la gota sinistra:
immediatamente lo sfregio prese a sanguinare. In seguito al prodigio fu
edificata la chiesa della Pietà, successivamente ampliata dalla ricca e
prestigiosa confraternita della Morte.
Nel 1579, all’apice del suo prestigio ma anche in avanzata decadenza
economica, la città fu venduta al duca Gian Francesco di Sangro, che
ottenne per i suoi eredi il titolo di principi di Sansevero. Fu l’inizio del
declino, nonostante nel 1580 la città fosse stata promossa sede vescovile
da Gregorio XIII: il 30 luglio del 1627 un catastrofico terremoto la rase
al suolo quasi completamente. La ricostruzione fu lenta, ma nel
Settecento, ritornata al centro di interessi commerciali e soprattutto
agricoli, San Severo rifiorì in spirito barocco, e vide sorgere sfarzose
costruzioni, tra cui numerosi palazzi nobiliari e borghesi, i monumentali
monasteri dei celestini, dei francescani e delle benedettine, e diverse
chiese, parrocchiali e confraternali. Intanto, ai primi del secolo, la curia
aveva affiancato a san Severino, con pari dignità, un nuovo protettore,
san Severo vescovo.
La fiorente età barocca ha traumatica fine col saccheggio operato dai
francesi nel 1799, quando l’esercito repubblicano represse nel sangue
una violenta rivolta reazionaria contro i giacobini; questi erano stati
trucidati dalla folla inferocita che, fraintendendo la volontà egalitaria dei
giovani concittadini rivoluzionari, aveva abbattuto l’albero della libertà.
Fu l’inizio simbolico di un nuovo corso politico e civile che portò alla
definitiva trasformazione dell’economia e della società cittadine. Nel
1811 la città divenne sede di Sottoprefettura, mentre nel 1819
s’inaugurò il Teatro Comunale “Real Borbone”, il più antico di Puglia, con
ricca sala all’italiana ricavata nell’antico palazzo del governo, essendosi
trasferiti nel 1813 gli uffici nel soppresso monastero celestino. Nel 1854
fu inaugurata la grande Villa Comunale, presso il convento dei
cappuccini, e nel 1858 fu istituita la Biblioteca Ferdinandea, oggi
intitolata al grande stampatore sanseverese Alessandro Minuziano.
L’anno prima era stata eletta patrona aeque principalis, con san Severino
e san Severo, la Madonna del Soccorso. Nel 1864 iniziarono a funzionare
il Real Ginnasio e le Scuole Tecniche, e nel 1866 l’Asilo Infantile. Poco
dopo, la passione per la musica portò alla fondazione di due gloriose
bande, la Bianca nel ‘79 e la Rossa nell’83: entrambe vinsero numerosi e
prestigiosi riconoscimenti internazionali.
Nel Novecento la città acquista sempre più una fisionomia moderna: tra
l’altro, nel ‘15 apre il nuovo Ospedale Civile, nel ‘23 è inaugurato, alla
presenza dell’erede al trono d’Italia Umberto di Savoia, il grandioso
edificio scolastico “Principe di Piemonte”, e nel ‘37 inizia la sua attività il
nuovo Teatro Comunale, tra i più grandi della Penisola, progettato
dall’accademico d’Italia Cesare Bazzani e decorato dall’artista Luigi
Schingo; la monumentale struttura è oggi intitolata a Giuseppe Verdi.
Nella seconda metà del secolo, in un clima culturale ricco di fermenti,
vivono a San Severo personalità come lo scrittore Nino Casiglio e il
geniale fumettista Andrea Pazienza.
I testi sono a cura di Antonietta Barletta, Emanuele D’Angelo, Giuseppe
dell’Oglio.

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