[VICENZA] STORIA DI UN AFFIDO

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[VICENZA] STORIA DI UN AFFIDO

Messaggioda anacrusi » sab 04 ott 2008 02:09

Una giudice onoraria, da noi incontrata, nei mesi scorsi, ricoprente contestualmente i ruoli di docente universitaria, consulente presso l'ordine delle a.s., nonché curiosamente, presidente di una comunità per minori, ha detto che porterà la storia che riportiamo in seguito, agli studenti del terzo corso, quale esempio da non seguire. Ci auguriamo che possa essere un monito per tutti.




Ogni genere
di abuso
trova nel
silenzio
il miglior
alleato




...Ecco perché
abbiamo scelto
di
romperlo..



......non chiediamoci
perchè
solo una famiglia affidataria
su cinque
è disposta a rifare affido
dopo una prima
esperienza....



..molte.....
......troppe, sono
le famiglie affidatarie
gettate nel silenzio e
nella mortificazione che,
hanno preferito dimenticare



..a loro pensiamo
nel raccontare la nostra
esperienza..


La bambina ci è stata affidata dal servizio affidi
del comune di Vicenza, nel 2002,
con un progetto di lunga durata: almeno otto anni,
ovvero, fino al
compimento della scuola dell'obbligo.
Quando varcò per la prima volta
la soglia di casa nostra, l'assistente sociale che
l'accompagnava, esordì
dicendo:
Omero, ha notato come le somiglia?....
vedrà presto la chiamerà papà.



Era una bimba esile, tutta occhi e capelli
saltava da una sedia all'altra
e cantava “fratelli di taglia”.
La prima sera, vomitò.
E' un'immagine
che non ci toglieremo mai dagli occhi
Ci era stata presentata come una bimba
affettuosa, sempre alla ricerca del centro
dell'attenzione, vivace, anche se caratterizzata da un
lieve deficit cognitivo, che peraltro percorre tutti i
componenti della famiglia così come si evince dal
progetto stilato dagli operatori.


Il papà era mancato da pochi mesi lasciando la
madre sola ed incapace di affrontare la
quotidianità.

Quel vomito era la manifestazione del suo
malessere:
non aveva la sua mamma con se.
Giovanna si era proposta di affiancare la madre
dalle faccende domestiche all'uscita per un gelato
con le bimbe. Rimase però inascoltata. L'idea di
tenere insieme madre e figlie era nelle nostre corde
e vedevamo nel rientro in famiglia della bambina
il più naturale degli obiettivi. D'altronde cos'altro è
l'affido se non un aiuto a superare una momentanea
difficoltà che, dopotutto può riguardare ognuno di
noi



Giovanna ed io, avevamo da poche settimane
concluso il corso di adozione. Avevamo però
scelto di non darvi seguito, perchè al nostro
orizzonte c'era lei, che ancora non avevamo
conosciuto.


Durante i primi mesi la mamma e la sorella
incontravano la bambina, il sabato mattina, da
noi. Facevano colazione, uscivano insieme, per poi
rientrare nel tardo pomeriggio.


La bimba era caratterizzata da dei tratti
fortemente oppositivi ed un comportamento
spesso provocatorio. Da noi, per quattro anni,
sono volate spesso sedie e stoviglie. Secondo
l'analisi degli operatori tale atteggiamento era
indotto dall'incapacità di tollerare i
comportamenti tipici del modello familiare......
forse, aveva solo bisogno di stare con la sua
mamma.



Dopo poche settimane, la sorella conobbe
l'esperienza della comunità, al compimento del
dodicesimo anno, in seguito ad un episodio, sul
quale, mai, è stata fatta luce. L'educatrice della
sorella, ci confidò che le stavano somministrando
psicofarmaci (la comunità che l'accoglie è
autorizzata alla sperimentazione di fali farmaci dal
1994).
Quando gridammo allo scandalo, improvvisamente,
l'educatrice scomparve e fu sostituita da una
collega che naturalmente ci evitò con cura.



La sorella era mite e remissiva. La bimba, da noi accolta,
era stata allontanata perchè i suoi tratti oppositivi,
costituivano un impedimento alla relazione fra le due.
Quando la sorella iniziò a battere i piedi perchè voleva la
mamma, fu passata per psicofarmaci. Nel frattempo la
sorellina che stava con noi, veniva contenuta a terra da
Giovanna, quando i suoi scatti d'ira non erano altrimenti
controllabili. La bimba in cinque anni non ha mai preso
una sola aspirina.


Le manifestazioni rabbiose della bambina
continuavano a caratterizzare le nostre serate, in
particolar modo nei giorni precedenti l'incontro con
la mamma.
Sentimenti quali la solitudine, il fallimento nei
confronti della bimba, accompagnati da una grande
stanchezza cominciavano a farsi strada, in noi.
Quando noi riportavamo ciò, nel corso degli incontri
agli operatori, questi ultimi ci dicevano che
sapevamo a cosa andavamo incontro facendo affido.
Le richieste continue di vedere la mamma, di
chiamarla al telefono, apparivano a noi più che
legittime.



La negazione che a tali richieste, nostro malgrado,
seguiva, ci procurava una grande frustrazione....
Avevamo rinunciato
all'adozione per svolgere il nostro ruolo di “collante”
nel percorso di affido, e ci ritrovavamo, invece, ad
essere complici in un processo che divideva. Durante
gli incontri periodici gli operatori mettevano in luce
aspetti riguardanti gli stili di vita della famiglia
d'origine, con la sola finalità di farcela apparire
inadeguata, giungendo, a volte a deriderne taluni suoi
componenti.



Nonostante
il nostro senso di frustrazione
fosse palpabile,
il progetto conobbe vari rinnovi.


. ....m a qu al cosa sta va ca mbi and o....


la bimba stava iniziando ad intrecciare relazioni amicali
con taluni compagni di classe e mentre un tempo,
preferiva i contatti con gli adulti, iniziava , ora, ad
uscire il pomeriggio, a giocare con le bimbe dei vicini. Il
suo rendimento scolastico andava decisamente
migliorando, destando la meraviglia di tutte le
insegnanti. Acquisiva nuove abilità, a lei sconosciute che
poi trasferiva nell'esperienza scolastica



Si iniziava a stare a tavola, tutti insieme, amabilmente
a conversare. In quei momenti la bambina era
speciale, in modo particolare quando c'erano ospiti.
Sono innumerevoli le circostanze che potremmo
ricordare, in cui ricevevamo complimenti e
felicitazioni per la sua prontezza. I vicini , di lei,
apprezzavano i bei modi gentili,. Aveva un saluto per
tutti. Ci divertiva molto sentirla scimmiottare
espressioni colte da noi. Insomma, tutto il vicinato le
voleva bene.



Piano piano aveva cominciato ad andare a
scuola da sola. La mandavamo anche a fare,
quindi, qualche piccola commissione, e
l'indomani chi l'aveva incontrata aveva qualcosa
di carino da raccontarci. La domenica andava a
messa con la nonna Paola, con la quale aveva un
rapporto speciale: era lei che le preparava il
panino tutti i pomeriggi, da lei scendeva per
vedere la televisione che noi non abbiamo. Con
lei faceva delle grandi chiacchierate. Le
raccontava del papà, della sorella, della mamma
e dei nonni.


Con l'approssimarsi della solennità della Prima
Comunione, la bambina, come tutti i suoi
compagni nutriva grandi aspettative per quel
giorno. Tutti non facevano che ripetere che lo
avrebbero vissuto in modo speciale.
Sarebbero andati chi in campagna, chi in un
lussuoso ristorante, chi al mare e così via. Lei
manifestò, così, il desiderio di avere per quel
tanto importante, la presenza della mamma,
della sorella e dei nonni. Ci facemmo così
interpreti dei suoi desideri, e girammo la
richiesta ai servizi sociali un mese prima della
solennità. La risposta non arrivava nonostante
le nostre rinnovate richieste.



La bambina, era inquieta; sapeva che la decisione
non spettava a noi. Arrivammo così alla vigilia.
Lei ci disse: mi basta un panino al bar, ma con la
mamma, mia sorella ed i nonni.
Chiamammo, cosi, per l'ennesima volta
l'assistente sociale. La loro presenza fu
consentita nello spazio temporale della cerimonia
in chiesa. Poi una foto ed ognuno a casa propria.
Mi ritrovai così a consolare il nonno
piangente sul sagrato. La giornata che appariva
compromessa divenne invece motivo di gioia,
dopo aver individuato all'ultimo momento un'idea
felice per trascorrerla.


Il giorno successivo manifestammo con fermezza il
nostro disappunto per quella scelta adottata dai
servizi.
Da quel momento diventammo inadeguati.
La denuncia della somministrazione di psicofarmaci
alla sorella e quest'ultimo episodio ci fecero apparire
agli occhi degli operatori non più rispondenti alle loro
aspettative.
Da quel momento l'assistente sociale ci negò il
saluto.
... più avanti pagheremo lo scotto delle nostre prese
di posizione



Quell'episodio rappresentò per la bambina un
momento chiave. Da quel momento fece un
ulteriore grande passo avanti grazie alla
complicità che si era instaurata. C 'erano ancora
quei momenti ma andavano scemando, e quando
accadevano, dopo una lotta corpo a corpo a terra
con mamma Giovanna il tutto finiva in un pianto
ristoratore. Ultimamente si ritrovavano entrambi
a piangere abbracciate. Poi la bimba chiedeva
scusa



Alle soglie della pubertà, io e Giovanna iniziammo ad
interrogarci sulle nostre capacità di affrontare
l'adolescenza della bambina. Saremmo stati in grado
di fronteggiare da soli quella delicata fase? Ci
inquietava ma allo stesso tempo, sapevamo di voler
continuare ad essere per lei una presenza costante nel
tempo.
Dopotutto noi eravamo diventati mamma Giovanna e
papà Omero, così come peraltro gli operatori avevano
auspicato redigendo il progetto per la bimba.



Vedevamo nell'inserimento della bambina presso
una comunità, con il rientro nei fine settimana, e
durante le vacanze, la più idonea delle soluzioni.
Esponemmo, quindi, la nostra riflessione agli
operatori che, approvarono. Questa delicata fase
sarebbe iniziata gradualmente, per andare a
regime dopo qualche mese. Quando a Gennaio
del 2007, in dirittura d'arrivo dell'anno scolastico
(la bimba frequentava la quinta elementare
presso le scuole di Laghetto-Vicenza), ancora non
c'era all'orizzonte una via percorribile, iniziammo
a preoccuparci.


Quanto più si avvicinava la fine dell'anno
scolastico tanto più l'allontanamento sarebbe
stato vissuto come uno strappo.......
Quei mesi volarono


La bambina fece il suo primo incontro con la
comunità il 14 giugno ed il 15 vi entrò, senza più
uscirne.
Uscì di casa la mattina del 15 giugno stringendo in
pugno, la coroncina che la nonna Paola le aveva
messo tra le mani e, con un angioletto appeso al
collo, che mamma Giovanna aveva comprato pochi
giorni prima. Un secondo angioletto, uguale, se lo
appese al collo Giovanna.
In questo modo , il dolore per la lontananza, sarebbe
stato affievolito.




Quella mattina, c'eravamo tutti ad accompagnare
la bambina a Calvene, in comunità. C'erano anche
Marcello, Gianmaria in carrozzella ed i cani Lussi e
Figaro. Quando fu il momento di lasciarci, lei
scompigliò i capelli di Gianmaria, così come aveva
visto fare la nonna Paola per cinque anni.



In questi nove lunghi mesi abbiamo visto la bambina
una sola volta, per un'ora: il 2 agosto, presso i
servizi sociali di Vicenza.



Improvvisamente i ruoli si invertirono: gli esclusi
non erano più i nonni e la mamma, ma noi.
Su di noi scese la notte.
Quando chiamavamo i servizi per avere notizie
della bimba, ci dicevano che stava bene e non
chiedeva di noi.


Tutti gli operatori avevano sempre affermato che
non ci sarebbe mai stato rientro in famiglia di
origine per la bimba. La dottoressa Moro, in
carica fino al 30 agosto, lo aveva anche gridato
sulle scale il 14 giugno:
Omero, toglitelo dalla testa.
Quella bambina non rientrerà mai
con la madre



Dietro l'angolo c'era e
c'è tuttora per la bimba
l'istituzionalizzazione.



Sono state vietate le visite anche alle compagne
di classe, per mesi.
Quando la mamma di una delle compagne si
presentò in comunità, con due di loro, per
incontrare la bimba, si sentì rispondere da Don
Gobbo, referente della comunità, che la bimba
non c'era, trascorreva i fine settimana in
una località segreta,
mortificando il desiderio della signora
a ritornarvi.


Nell'occasione di uno degli incontri con la
psicoterapeuta, la bimba aveva nel frattempo,
scritto un biglietto, con la richiesta di farcelo
pervenire.
Quel biglietto fu poi, invece trattenuto
per giorni e giorni, dalla dottoressa Castegnaro.
La stessa si affrettò a portarcelo,
personalmente, quando la informammo che ne
eravamo a conoscenza.



Pochi giorni dopo ricevemmo una cartolina, scritta
dalla bimba nella quale scriveva:
Voglio tornare a casa perchè non posso stare
senza di voi.




Presi dallo sconforto telefonammo ai nonni, che
non ci avevano mai nascosta la loro gratitudine.
Con loro avevamo vissuto un momento di
intensa commozione, pochi giorni prima dello
strappo. Notammo, però, fin da subito che ci
erano diventati ostili



Con l'inizio della scuola si aprì per noi
la sola possibilità
di vedere la bimba:
piazzarci lungo il percorso del pulmino
nel tentativo di catturare il suo sguardo



Dopo pochi giorni, quando gli operatori vennero
a conoscenza delle nostre iniziative intraprese,
l'assistente sociale Paola Baglioni, ci informò
sull'esistenza di una lettera scritta dalla madre
nella quale manifestava la volontà che la bimba
non potesse vederci.




Com'era possibile?
La mamma della bimba aveva sempre tenuto con
noi un atteggiamento più che cordiale.
Ogni qualvolta incontrava la figlia non faceva che
ripetere: saluta tutti a casa, dai un bacio a
Gianmaria.



Ci è stato negato di vedere la bimba anche
nell'occasione delle festività natalizie.




Dopo estenuanti insistenze abbiamo ottenuto
il permesso di chiamare in comunità, il giorno del
suo compleanno.
Qualche giorno dopo sapremo che la bimba
era paralizzata dall'emozione, ed altrettanta ne
aveva riconosciuta nella voce di Giovanna


Dopo quella telefonata è stato un susseguirsi
di affermazioni e di smentite, di lusinghe
ed infine di volgarità.



pur di distogliere la nostra attenzione dalla bimba,
l'assistente sociale
ci ha proposto l'affido di una creatura, un bimbo
idrocefalo, di 21 settimane abbandonato dalla
madre dopo il parto. Aveva appena subito un
intervento.
Comincia a pensarlo perchè ne ha bisogno, aveva
detto a Giovanna, la Baglioni.
Giovanna, già all'opera con lana e ferri, per tessere
un berrettino aveva risposto: lo sto già facendo da
quando me ne hai parlato la scorsa settimana.




Due settimane dopo, la Baglioni dirà che si era fatta
prendere dall'emotività, che il bimbo era più morto
che vivo, che era in vita solo grazie all'accanimento
dei soliti medici obiettori clericali, che lei l'avrebbe
lasciato alla sua sorte, che doveva subire decine
di interventi, che un medico era stato nominato
tutore e che infine mai l'avrebbe affidato a noi.




Mentre due settimane prima aveva affermato
che la nostra esperienza nel mondo
dell'handicap ci faceva apparire adeguati a
prenderci cura di quella povera creatura, della
quale ci aveva fornito le generalità,dirà poi che
non lo siamo ne per lui, ne per altri.
Avete lavorato bene fino al quarto anno
(episodio Prima Comunione ); dopo di che vi
siete sovrapposti agli operatori, dimostrandovi
inadeguati.




Nelle settimane a cavallo dello strappo, la
dottoressa Moro, ci aveva proposto una
collaborazione a Caldogno ed un'altra poi al
villaggio sos. Avevamo iniziato a fare affido
prima ancora di sostenere il consueto corso.
Era stata proprio la Baglioni a catturarci nel 2001
quando noi le avevamo chiesto un aiuto per dare
un sollievo alle giovani coppie che si trovavano a
fronteggiare la nascita di un figlio portatore di
handicap..




Ad oggi, la bimba è sotto ricatto.
Se ci vedrà, la mamma non la premierà....
...non si sta per sempre in comunità.. ci aveva detto la
bimba il 2 agosto.
Sembra invece che Don Gobbo abbia affermato che
possa essere trattenuta fino al ventunesimo anno di età.
Se dovesse rientrare in famiglia d'origine, noi saremo i
primi a gioirne.
Una cosa è certa, non tollereremo che la bambina
diventi una voce di bilancio della cooperativa Radica.



Così come non siamo disposti a tollerare il
comportamento indecente della dottoressa Baglioni,
che da un lato riabilita la figura della madre ,
dall'altro però, la deride nei corridoi, riportando
aspetti che riguardano la vita intima di quella donna.




Quando, infine, Omero incontrò casualmente i nonni,
all'interno di un negozio, del quale è cliente abituale,
chiese loro
spiegazioni sul loro immotivato risentimento nei
nostri confronti.
Il nonno prese ad insultarlo, con epiteti quali: scemo,
disonesto, ladro di bambini, minacciando
di rompergli la faccia.
Dopo un tentativo di ricondurlo alla calma, se ne andò,
con la faccia “rotta pubblicamente”.


Ora, ci sembra evidente
che i sentimenti
espressi con tanta virulenza dal nonno
sono stati alimentati da altri


.......lo stato di svantaggio
sociale in cui si trova la bimba e la
sua famiglia, cavalcato dagli operatori
del servizio affidi, non può diventare
un alibi per garantire un posto letto
coperto alla cooperativa Radikà, alla
quale il comune di Vicenza e l'ulss 6
riconoscono una retta giornaliera
prossima a 120 euro/giorno.



La legge 149/2001 assegna ai servizi
affido il compito di facilitare il dialogo
fra la famiglia di origine e la famiglia
affidataria, non di mettere l'una contro
l'altra.



La legge 149/2001 nata per dare
a tutti i minori in difficoltà una
famiglia, ha visto invece crescere
a dismisura comunità e case famiglia,
particolarmente in Veneto dove 2 minori su
3 sono in comunità.
La regione Piemonte attraverso politiche
virtuose, ha fatto precipitare in pochi anni
il numero degli inserimenti in strutture.
Solo un minore su tre, infatti, è collocato in comunità.
Lo stato spende oggi più di 500 milioni di euro/anno per tenere i minori lontani dai loro affetti
Il Veneto ne spende da solo 24 milioni.
Sia rivalutato il ruolo della famiglia affidataria, come ha saputo fare la regione Piemonte.
I bambini non possono finire nelle mani dell'industria della solidarietà.
Omero Faggionato
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