17 Ottobre 2009 alle 14:12

tra i ruderi del castello nel borgo abbandonato

di gianniB (Aquilonia, Campania. Castelli e Fortificazioni. Categoria A)

Aquilonia - tra i ruderi del castello nel borgo abbandonato


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di Dario Ianneci
Carbonara-Aquilonia è un centro di origine sannita, come testimoniano i numerosi ritrovamenti archeologici della zona. Nel V - IV sec. a.C. diversi villaggi (oppida e vici), più o meno grandi, erano diffusi su questo altopiano ofantino. Pastori ed agricoltori si insediarono in luoghi il più possibile inaccessibili alle incursioni di altri popoli vicini. I centri antichi dei Sanniti erano costituiti da ampi territori con un oppidum fortificato che sorgeva sulla cima della collina, entro le cui mura gli abitanti dei borghi sparsi si rifugiavano in caso di pericolo. Carbonara-Aquilonia - come gli altri centri limitrofi di Romulea (Bisaccia), Aletrium (Calitri), Akedunniad (Aquilonia), Cominium (Monteverde)- fu coinvolta nelle guerre contro Roma che nel IV sec. a.C. aveva cominciato la sua espansione verso l’Italia meridionale. Akedunniad, Aquilonia antica (oggi Lacedonia) era un importante centro fortificato. Il paese viveva di economia pastorale basata principalmente sullo sfruttamento degli erbaggi dei pascoli e dei boschi.

Durante la seconda guerra sannitica Roma operò molte incursioni anche in questi territori, saccheggiando anche l’antico centro di Romulea (Bisaccia). Alcuni storici ritengono che la famosa e cruenta battaglia di Aquilonia combattuta tra romani e sanniti nel 293 a.C, e narrata dallo storico romano Livio (Ab Urbe condita libri, X, 38-40), a cui avrebbero partecipato sessantamila uomini, sia avvenuta nella vallata del torrente Calaggio, non lontano dal centro abitato. La costruzione delle strade consentì poi un rapido collegamento con le zone orami sottomesse e un più marcato controllo della regione da parte di Roma. Passavano per queste remoto angolo dell’Appennino, oltre l’antica via Appia, anche la via Erculia e la via Traiana, un’importante traversa della Via Appia tra Benevento e la Puglia. Aquilonia sopravvisse come municipio romano e visse la grande vicenda storica dell’Impero romano fino ai primi segni di decadenza tra il IV ed il V sec. dopo Cristo.

L’alta valle dell’Ofanto era già in crisi come del resto tutta la Campania nel V sec. d.C. allorquando l’invasione dei Goti e la successiva guerra con i Bizantini segnarono un ulteriore battuta di arresto per la vita civile dei paesi ofantini. Cambiò l’assetto del territorio e la denominazione dei centri abitati. Carbonara, di cui non si hanno precise testimonianze per l’età antica, si arricchì di una rocca fortificata e divenne, insieme ai suoi casali, un centro militare a presidio della vallata dell’Osento e dell’Ofanto.
Successivamente, al declinare della potenza dei Goti, si affermarono anche in questa regione le genti Longobarde, come in quasi tutta la Campania, la cui conquista fu avviata dal duca Zottone di Benevento. I Longobardi penetrarono nell’Alta Valle dell’Ofanto nel 591 d.C. ponendo a Conza, strappata ai Bizantini, la sede di un forte gastaldato che comprendeva tutto il comprensorio appenninico da San Fele a Teora, da Andretta a Carbonara-Aquilonia, che rappresentava il limite meridionale dell’espansione dei longobardi in Italia. Dopo la spartizione del ducato di Benevanto tra Radelchi e Siconolfo nel 849, e la successiva nascita del Principato di Salerno, Carbonara come terra del gastaldato di Conza rimase a far parte del principato salernitano. I segni della presenza longobarda ad Aquilonia, mancando testimonianze monumentali evidenti, e non essendo ancora stata compiuta una seria indagine archeologica sul terriotrio, vanno cercati per ora soprattutto nella toponomastica locale. Tutto il territorio aquiloniese del versante ofantino (ma non solo) presenta toponimi chiaramente legati alla presenza longobarda: Siconolfo, Fontana Gambara, Fontana Senna, probabilmente il territorio di Groveggiante, le fosse granarie dette dei Morticelli, il Pesco di Rago (dal nome longobardo Rachis), il Monte Arcangelo, ed alcuni altri. A quest’epoca Carbonara si presenta come un piccolo castrum del territorio, forse anche non tanto importante rispetto ad altri casali che dovevano sorgere più a valle. Tali il casale di Pietrapalomba e di Sassano. Quest’ultimo menzionato in un diploma del 967 di un Pandolfo signore di Conza sarebbe stato da lui donato all’abbazia di Monticchio, ma non ci sono prove documentarie certe a riguardo.

Il gastaldato di Conza ebbe vita autonoma fino all’arrivo dei Normanni, guidati nel 1076 da Roberto il Guiscardo che lo occupò con tutti i suoi castelli e le sue fortezze, vincendo l’ultimo signore longobardo di Conza, il conte Guido. Nel 1078 Roberto il Guiscardo mosse di qui per impadronirsi del principato di Salerno. Con i Normanni il centro più importante dell’area divenne Melfi, ma Conza rimase ancora a lungo capoluogo di una vasta contea con tutti i casali, piccoli e grandi, della valle ofantina. Una caratteristica della storia carbonarese è la costante propensione alla rivolta nel corso dei rivolgimenti politic decisivi. Nel 1078 Carbonara, con tutti i casali ofantini, si sollevò contro il duca Normanno. Questi precipitosamente si mosse a domare la rivolta e distrusse tutti i centri ribelli, compreso Carbonara e Pietrapalomba. E’ probabile che la prima distruzione del “castello” di cui non conosciamo nè la struttura nè le dimenzioni, sia avvenuta prorpio a quest’epoca. Del resto anche il castello vicino di Pietrapalomba fu distrutto, e dopo qualche decennio rimase dirutum in lapide. Al crollo dello stato normanno subentrò il regno svevo di Federico II. L’imperatore tedesco ebbe molta cura dei boschi di questa zona, rigogliosi fin dall’antichità ed importanti per la produzione del legname. E’ attestata per Carbonara-Aquilonia in questo periodo la singolare “produzione” di “penne di avvoltoi” che venivano raccolte ed utilizzate per la costruzione dei dardi da balestra chiamati quadrelli.

Agli Svevi subentrarono gli Angioini. Alla lotta tra queste due signorie per il dominio nel Sud Italia partecipò apertamente anche Carbonara-Aquilonia con i suoi casali di Pietrapalomba e Sassano. Ancora una volta i carbonaresi si opposero al nuovo, levandosi in armi a favore degli svevi contro i nuovi venuti angioini. Proprio un Enrico “todesco”, signore di Pietrapalomba, fu tra i capi di una rivolta sveva contro Carlo d’Angiò nel 1267. I ribelli tuttavia svevi furono sconfitti. La fine di Enrico di Pietrapalomba, ucciso a Napoli, e degli altri capi della rivolta ci è narrata da Pandolfo Collenuccio nella sua storia. Gli angioini si divisero i feudi irpini. Galeotto di Fleury ebbe Calitri, Riccardo di Bisaccia Carbonara, i Gagliardi ed altre famiglie ebbero la signoria su Lacedonia e gli Stendardo quella su Monteverde. Diverse famiglie nobili si contesero la supremazia su queste terre e su diversi casali antichi che tra il XIX ed il XV sec. cominciarono lentamente a scomparire. La malaria provocò lo spopolamento nelle zone più basse del territorio ofantino, verso il fiume. Le incursioni di corsari almugaveri e turchi, che dalla costa pugliese risalivano l’Ofanto, minacciavano la sicurezza degli insediamenti della vallata. Scomparvero così i casali di Castiglione della Contessa sotto Calitri, già assalita nel 1348 da orde di ungheri che allora ponevano l’assedio al castello di Melfi, di Sassano, di Pietrapalomba nei pressi di Carbonara. Le vestigia delle antiche rocche fortificate di Carbonara si possono scorgere ancora oggi, inoltrandosi a piedi nell’intrico fitto dei boschi.

Aquilonia, e tutto l’altopiano ofantino, partecipò alle lotte e alle vicende politiche che caratterizzarono la storia del Mezzogiorno in epoca moderna. Durante il regno degli Aragonesi Gabriele Del Balzo-Orsini, signore di Venosa, e di vasti feudi in Basilicata, Terra di Lavoro e Principato Ultra, ebbe la signoria anche su Carbonara-Aquilonia e Lacedonia. Nelle sue mani si trova anche il La lunga guerra tra i Francesi e gli Spagnoli che si contendevano il Regno di Napoli coinvolse anche Carbonara-Aquilonia e tutti i paesi della regione. Durante gli assedi delle città costiere il grano alle truppe giungeva ad esse dai paesi irpini dell’altopiano ofantino. Con il fallimento della congiura dei baroni i Del Balzo furono privati dei loro beni e Carbonara ritornò alla corona, che assegnò i beni dei Del Balzo a Federico I e poi, attraverso alcuni passaggi, entrò a far parte nel 1507 dei beni di Consalvo di Cordova, il gran capitano, che aveva vinto i francesi ed assicurato alla Spagna il Mezzogiorno d’Italia. La coltivazione e la produzione di grano aumentò considerevolmente in alta Irpinia proprio in questo periodo. Il bosco, così caro alle cacce di Federico II di Svevia, cedette il posto alla coltura del grano. A Carbonara la superficie destinata alla coltura granaria triplicò. Ma, qui come altrove nel Regno, “ogni razionalizzazione e gestione moderna della terra sarà impossibile e destinata a fallire” (G. Incarnato). Le campagne sono “sovraffollate” e l’aristocrazia meridionale, benché attraversi un momento splendido dal punto di vista culturale e intellettuale, non è in grado di condurre una razionalizzazione dei processi produttivi. Le recinzioni, possibili altrove, sono impraticabili al Sud, quindi anche ad Aquilonia.

Il destino feudale di Carbonara si unì a quello di Sant’Angelo dei Lombardi alla metà del Cinquecento sotto la signoria dei Caracciolo, già conti di S.Angelo dei Lombardi dal 1426. Proprio sotto i Caracciolo il paesi si dotò di Statuti municipali (1560) che ancora ai primi del Novecento erano custoditi nell’archivio comunale e che oggi sono dispersi. Sappiamo tuttavia che gli Statuti constavano di 127 articoli e che essi cercavno di tutale il pù possibile l’autonomia dei cittadini, limitando i poteri del feudatario, soprattutto nell’elezione dei funzionari, e sancendo ampie autonomia di gestione e di sfruttamento degli estesi demani univesali, di quelli feudali e in parte anche di quelli che avrebbero dovuto essere di esclusiva pertinenza del faudatario ma che per speciale grazia del conte Caracciolo restavano suscettibili di utilizzazione da parte deio cittadini carbonaresi. Nel Seicento, dopo una breve signoria della famiglia Carafa, Giovan Vincenzo Imperiale, colto letterato di una antica e nobile famiglia di Genova, acquistò nel 1636 il feudo di S. Angelo dei Lombardi, di cui Carbonara-Aquilonia faceva parte insieme ad Andretta, Nusco, Lioni.

Gli Imperiale, principi di S. Angelo dei Lombardi, governarono il feudo e Carbonara fino alla fine della feudalità. Tutto il Settecento fu segnato da aspre lotte tra il signore feudale e l’Università di Carbonara. Pesano ancora i retaggi di contrapposizioni ideologiche molto marcate circa una valutazione dell’opera dell’aristocrazia riformista meridionale, ai quali gli Imperiale appartenevano, e in genere di tutto il processo storico tra riforme e rivoluzione della fine del Settecento, come sohno ancora molto forti le incertezze su quel complesso fenomeno politico e sociale che è stato la borghesia meridionale. E’ certo però che la situazione a Carbonara alla fine del Settecento è molto grave. La pressione demografica sulla terra è forte. I contadini rivendicano il diritto di sfruttare in modo ampio le terre demaniali per il pascolo, per la semina, per ottenere il legname da costruzione e da riscaldamento, come era stato sempre praticato in paese.

I disboscamenti reclamati fin dai primi anni dell’Ottocento dai contadini per mettere a coltura ampie parti dei fondi boschivi procedettero in modo forsennato. Intere montagne persero così per sempre gran parte del loro manto arborato. L’attacco dei contadini alle risorse forestali locali fu massiccio. Carbonara conobbe tre quotizzazioni, molto travagliate, che corrossero profondamente lo spirito pubblico. Esse si sovlsero in una clima di perenne rissosità, di lotta violenta tra famiglie e partiti locali, in cui il gruppo di volta in volta egemone usò tutti i mezzi per ritardare, contrastare o comunque volgere a proprio favore, la quotizzazione demaniale. Il processo che durò oltre cento anni, dal 1810 al 1934, portò alla definitiva scomparsa di una percentuale variabile tra il 70 ed oltre l’80 per cento del manto forestale originario del paese. Interi demani sparvero completamente come patrimonio pubblico (Sassano, Mattina, buona parte della Mezzana), senza tuttavia risolvere il problema della povertò generale della popolazione.

Dopo l’Unità il brigantaggio afflisse l’Irpinia come tutte le province del Mezzogiorno. I nomi di nuovi e più famosi briganti, come Carmine Donatelli detto Crocco, che invase e saccheggiò Aquilonia nell’Aprile del 1861, Nicola Summa detto Ninco Nanco, Sacchetiello, Caruso, sono vivi ancora oggi nella memoria degli abitanti. Protagonisti di cruenti scontri con le truppe dell’esercito piemontese nei boschi che circondano il paese e lungo il fiume Ofanto, i briganti hanno incarnato l’idea del contadino in rivolta, del ribelle violento, appassionato, povero e disperato, in lotta contro la miseria e l’abiezione a cui lo costringevano il generale sottosviluppo ed i soprusi di una stretta cerchia di possidenti locali.

Al disinganno e alla delusione per il mancato sviluppo, Aquilonia - come tanti altri paesi - rispose con l’emigrazione massiccia tra la fine Ottocento e gli inizi del Novecento. Decine di famiglie contadine lasciarono il paese per le Americhe, alimentando un flusso migratorio che spopolò le campagne e privò il paese di notevoli risorse umane. L’emigrazione continuò dopo la seconda guerra mondiale, verso il Sud America, la Germania, la Svizzera, l’Australia.

Oggi Aquilonia conosce una nuova stagione di qualificazione e di sviluppo urbano, partecipa a pieno titolo alle nuove strategie di rilancio economico e sociale dell’area, ed è impegnata in numerosi progetti di rinascita culturale basati sul recupero della memoria storica e sulla valorizzazione delle risorse ambientali ed enogastronomiche del suo territorio.
Fonte: www.comune.aquilonia.av.it/

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