GUIDA  Rorà

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'''Rorà''' è situato nel [[Piemonte]] nella [[Provincia di Torino]]. Il 26 luglio si festeggia il Patrono, Sant'Anna. Tra gli edifici religiosi: Chiesa di Sant'Anna.
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==Storia==
 
==Storia==
Le tracce archivistiche della località, nella forma Rorata, risalgono al 1014. La località ricadeva sotto la giurisdizione dei Luserna che, in seguito, diedero vita ad un ramo locale eponimo noto col nome di Rorengo.  
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===Il Medioevo===
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Le tracce archivistiche della località, nella forma ''Rorata'', risalgono al 1014. La località ricadeva sotto la giurisdizione dei '''Luserna''' che, in seguito, diedero vita ad un ramo locale eponimo noto col nome di '''Rorengo'''.  
  
La località, come molte altre vicine, vide crescere esponenzialmente il numero della comunità valdese che divenne presto maggioritaria.
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I Rorengo si affermeranno come una delle famiglie più influenti della val Pellice, mantenendo il titolo comitale di molte altre località.  Nel 1700, conteranno anche un arcivescovo di Torino: '''monsignor Francesco Rorengo di Rorà'''.
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Fra XIII e XIV secolo la località, come molte altre vicine, vide crescere esponenzialmente il numero della '''comunità valdese''' che divenne presto maggioritaria, anche col passaggio del culto alla riforma protestante.
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Il Piemonte cattolico non può tollerare la presenza di riformati sul proprio territorio.
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La comunità inizia a subire la violenza della repressione antivaldese già nel 1561 con Emanuele Filiberto, appena dopo l'effimera '''Pace di Cavour'''; le truppe sabaude, in quell'occasione, diedero alle fiamme Rorà.
  
La comunità inizia a subire la violenza della repressione antivaldese già nel 1561 con Emanuele Filiberto, appena dopo l'effimera Pace di cavour; le truppe sabaude, i quell'occasione, diedero alle fiamme Rorà.
 
 
Con l'Editto di Fontainbleu, quando i Savoia ripresero la loro politica repressiva di cattolicizzazione coatta, si riscatenò la violenza antivaldese sulla comunità, con drammatiche rappresaglie.
 
Con l'Editto di Fontainbleu, quando i Savoia ripresero la loro politica repressiva di cattolicizzazione coatta, si riscatenò la violenza antivaldese sulla comunità, con drammatiche rappresaglie.
Con gli editti di proscrizione del Duca Vittorio Amedeo II che imponevano alla popolazione non cattolica o l'abiura o l'esilio forzato in Svizzera, nel 1655, la comunità da prova di grande eroismo resistendo alle truppe sabaude, capeggiati dall'illustre rorenghese  Giosuè Giavanello, detto il Leone di Rorà. Janaviel, come è il suo nome in francese, capeggiò la resistenza valdese di Rorà che alla fine capitolò sotto il fuoco sabaudo venendo praticamente rasa al suolo. Giavanello fu preso con la famiglia e condotto a Torino dove la sorte che gli toccava era il patibolo: ma da vero eroe, riuscì a sfuggire la morsa della soldataglia e, con una fuga avventurosa fra le Alpi, riuscì a riparare in Svizzera dove mise su una truppa con la quale ritornare in Piemonte per riprendersi la famiglia: in realtà, dopo gli eccidi delle Pasque Piemontesi, allorquando i Savoia erano sicuri di essere riusciti ad estirpare il culto riformato dal Piemonte, le autorità sabaude decisero inizialmente di perdonare i rivoltosi, Janaviel incluso; a patto che questi abbandonasse definitivamente la val Pellice. La scelta dell'abiura o dell'esilio coatto spinsero il Nostro a prendere la via della macchia e ha iniziare una vita da brigante, continuando a dare filo da torcere alle autorità.
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Con gli editti di proscrizione del '''Duca Vittorio Amedeo II''' che imponevano alla popolazione non cattolica o l'abiura o l'esilio forzato in Svizzera, nel 1655, la comunità prova di grande eroismo resistendo alle truppe sabaude, capeggiati dall'illustre rorenghese  Giosuè Giavanello, detto il Leone di Rorà.
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===Giosuè Giavanello===
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Janaviel, come è il suo nome in francese, capeggiò la '''resistenza valdese''' di Rorà che alla fine capitolò sotto il fuoco sabaudo venendo praticamente rasa al suolo. Giavanello fu preso con la famiglia e condotto a [[Torino]] dove la sorte che gli toccava era il patibolo: ma da vero eroe, riuscì a sfuggire la morsa della soldataglia e, con una fuga avventurosa fra le Alpi, riuscì a riparare in Svizzera dove mise su una truppa con la quale ritornare in Piemonte per riprendersi la famiglia: in realtà, dopo gli eccidi delle '''Pasque Piemontesi''', allorquando i Savoia erano sicuri di essere riusciti ad estirpare il culto riformato dal Piemonte, le autorità sabaude decisero inizialmente di perdonare i rivoltosi, Janaviel incluso; a patto che questi abbandonasse definitivamente la val Pellice.  
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La scelta dell'abiura o dell'esilio coatto spinsero il Nostro a prendere la via della macchia e ha iniziare una vita da brigante, continuando a dare filo da torcere alle autorità. Il 25 giugno del 1663 le autorità emanarono una sorta di taglia sulla testa di Janaviel, da prendersi vivo o morto: anzi, a ''memento'' per la popolazione rivoltosa, l'atto di condanna prevedeva che ci  dovesse essere la pubblica esposizione della testa mozza del Nostro; questi, allora, fu costretto a rifugiarsi definitivamente in Svizzera.
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Ma il suo ruolo affianco della resistenza valdese non si era concluso. Prima che gli altri esiliati riprovassero per l'ultima volta da Ginevra di ritornare in patria, dando vita ad un'altra pagina epica di storia valdese nota col nome di '''Glorieuse rentrèe''', fu proprio Janaviel, allora settantenne, che  diede loro una mano ad organizzare logisticamente il rientro.
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Il rientro fu drammatico, con molti valdesi che morirono lungo il cammino. Ma, questa volta, l'impresa non ci fu. Le truppe sabaude del '''conte di Verrua''' e quelle francesi capeggiate dal '''Marchese De Feuquières''', alla fine, piegano la resistenza dei valdesi guidati da '''Enrico Arnaud''' che, in larga parte sono costretti a rifugiarsi definitivamente in Svizzera.
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===Dal Settecento in poi===
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Pur se privati della libertà civili e nonostante nelle città vicine le comunità fossero state espulse, i valdesi rorenghesi continuarono a rappresentare la maggioranza della comunità.
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Con '''Carlo Emanuele III''' e '''Vittorio Emanuele III''', i Savoia ricercarono di riportare nuovamente i cattolici a Rorà, ma attraverso una politica missionaria e di evangelizzazione. La costruzione della chiesa cattolica di Sant'Anna, infatti, risale al 1736.
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La '''libertà di culto''', in Piemonte, sarà raggiunta comunque molto tardi, solo nel '''1848''' e grazie a '''Carlo Alberto''': solo allora i valdesi poterono ricostruire un luogo di culto ufficiale, grazie, anche ai contributi inglesi promossi dal generale '''Charles Beckwith'''.
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Carlo Alberto, d'altronde, era animato da un forte spirito filoinglese, tipico delle elites liberali piemontesi dell'Ottocento.
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In epoca moderna si sviluppa una lavorazione pregiata di minerali; in località '''Bounet''' si scoprirono, infatti, delle importanti miniere di '''Gneiss''', per la cui lavorazione i rorenghesi sono rinomati.
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Nel '''1928''' il fascismo fonde il centro con [[Luserna San Giovanni]], [[Lusernetta]] e [[Bibiana]].  
  
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Solo nel '''1947''' il comune riguadagna definitivamente l'autonomia.
  
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==Dove Mangiare==
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*Ristorante Pian Prà, Via Piamprà, 39
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*Bar Ristorante Koliba, Parco Montano di Rorà
  
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==Memorie Storiche==
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In [[Libri/Corografia fisica, storica e statistica]] ('''1837''') così viene descritto il comune:
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'''Rorà''' è sul pendìo meridionale della montagna, lambita alle falde dal rio Luserna: vuolsi che derivi il suo nome dalla boscaglia di roveri che in antico ingombrava il suo territorio. La popolazione cattolica ha una vicaria parrocchiale ed una Congregazione di carità: e la religionaria possiede un Tempio di discreta grandezza ed una Borsa di beneficenza, nella quale vengono deposte anche l'elemosine raccolte in paese ed in luoghi stranieri.
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Rorà è situato nel Piemonte in Provincia di Torino. Il 26 luglio si festeggia il Patrono, Sant'Anna. Tra gli edifici religiosi: Chiesa di Sant'Anna.

Confina con i comuni di: Luserna San Giovanni, Torre Pellice, Villar Pellice e Bagnolo Piemonte.

Indice

Storia

Il Medioevo

Le tracce archivistiche della località, nella forma Rorata, risalgono al 1014. La località ricadeva sotto la giurisdizione dei Luserna che, in seguito, diedero vita ad un ramo locale eponimo noto col nome di Rorengo.

I Rorengo si affermeranno come una delle famiglie più influenti della val Pellice, mantenendo il titolo comitale di molte altre località. Nel 1700, conteranno anche un arcivescovo di Torino: monsignor Francesco Rorengo di Rorà.

Fra XIII e XIV secolo la località, come molte altre vicine, vide crescere esponenzialmente il numero della comunità valdese che divenne presto maggioritaria, anche col passaggio del culto alla riforma protestante.

Il Piemonte cattolico non può tollerare la presenza di riformati sul proprio territorio. La comunità inizia a subire la violenza della repressione antivaldese già nel 1561 con Emanuele Filiberto, appena dopo l'effimera Pace di Cavour; le truppe sabaude, in quell'occasione, diedero alle fiamme Rorà.

Con l'Editto di Fontainbleu, quando i Savoia ripresero la loro politica repressiva di cattolicizzazione coatta, si riscatenò la violenza antivaldese sulla comunità, con drammatiche rappresaglie. Con gli editti di proscrizione del Duca Vittorio Amedeo II che imponevano alla popolazione non cattolica o l'abiura o l'esilio forzato in Svizzera, nel 1655, la comunità dà prova di grande eroismo resistendo alle truppe sabaude, capeggiati dall'illustre rorenghese Giosuè Giavanello, detto il Leone di Rorà.

Giosuè Giavanello

Janaviel, come è il suo nome in francese, capeggiò la resistenza valdese di Rorà che alla fine capitolò sotto il fuoco sabaudo venendo praticamente rasa al suolo. Giavanello fu preso con la famiglia e condotto a Torino dove la sorte che gli toccava era il patibolo: ma da vero eroe, riuscì a sfuggire la morsa della soldataglia e, con una fuga avventurosa fra le Alpi, riuscì a riparare in Svizzera dove mise su una truppa con la quale ritornare in Piemonte per riprendersi la famiglia: in realtà, dopo gli eccidi delle Pasque Piemontesi, allorquando i Savoia erano sicuri di essere riusciti ad estirpare il culto riformato dal Piemonte, le autorità sabaude decisero inizialmente di perdonare i rivoltosi, Janaviel incluso; a patto che questi abbandonasse definitivamente la val Pellice.

La scelta dell'abiura o dell'esilio coatto spinsero il Nostro a prendere la via della macchia e ha iniziare una vita da brigante, continuando a dare filo da torcere alle autorità. Il 25 giugno del 1663 le autorità emanarono una sorta di taglia sulla testa di Janaviel, da prendersi vivo o morto: anzi, a memento per la popolazione rivoltosa, l'atto di condanna prevedeva che ci dovesse essere la pubblica esposizione della testa mozza del Nostro; questi, allora, fu costretto a rifugiarsi definitivamente in Svizzera.

Ma il suo ruolo affianco della resistenza valdese non si era concluso. Prima che gli altri esiliati riprovassero per l'ultima volta da Ginevra di ritornare in patria, dando vita ad un'altra pagina epica di storia valdese nota col nome di Glorieuse rentrèe, fu proprio Janaviel, allora settantenne, che diede loro una mano ad organizzare logisticamente il rientro.

Il rientro fu drammatico, con molti valdesi che morirono lungo il cammino. Ma, questa volta, l'impresa non ci fu. Le truppe sabaude del conte di Verrua e quelle francesi capeggiate dal Marchese De Feuquières, alla fine, piegano la resistenza dei valdesi guidati da Enrico Arnaud che, in larga parte sono costretti a rifugiarsi definitivamente in Svizzera.

Dal Settecento in poi

Pur se privati della libertà civili e nonostante nelle città vicine le comunità fossero state espulse, i valdesi rorenghesi continuarono a rappresentare la maggioranza della comunità.

Con Carlo Emanuele III e Vittorio Emanuele III, i Savoia ricercarono di riportare nuovamente i cattolici a Rorà, ma attraverso una politica missionaria e di evangelizzazione. La costruzione della chiesa cattolica di Sant'Anna, infatti, risale al 1736.

La libertà di culto, in Piemonte, sarà raggiunta comunque molto tardi, solo nel 1848 e grazie a Carlo Alberto: solo allora i valdesi poterono ricostruire un luogo di culto ufficiale, grazie, anche ai contributi inglesi promossi dal generale Charles Beckwith. Carlo Alberto, d'altronde, era animato da un forte spirito filoinglese, tipico delle elites liberali piemontesi dell'Ottocento.

In epoca moderna si sviluppa una lavorazione pregiata di minerali; in località Bounet si scoprirono, infatti, delle importanti miniere di Gneiss, per la cui lavorazione i rorenghesi sono rinomati.

Nel 1928 il fascismo fonde il centro con Luserna San Giovanni, Lusernetta e Bibiana.

Solo nel 1947 il comune riguadagna definitivamente l'autonomia.

Dove Mangiare

  • Ristorante Pian Prà, Via Piamprà, 39
  • Bar Ristorante Koliba, Parco Montano di Rorà

Memorie Storiche

In Corografia fisica, storica e statistica (1837) così viene descritto il comune:

Rorà è sul pendìo meridionale della montagna, lambita alle falde dal rio Luserna: vuolsi che derivi il suo nome dalla boscaglia di roveri che in antico ingombrava il suo territorio. La popolazione cattolica ha una vicaria parrocchiale ed una Congregazione di carità: e la religionaria possiede un Tempio di discreta grandezza ed una Borsa di beneficenza, nella quale vengono deposte anche l'elemosine raccolte in paese ed in luoghi stranieri.