GUIDA  Piemonte/Ritratto della Regione/Pastorizia

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Piemonte/Ritratto della Regione/Pastorizia

  • La pastorizia è un’attività molto antica e lo sfruttamento dei pascoli d’alta quota, nelle Alpi sudoccidentali, ha permesso alle comunità alpine, nel corso del tempo, di avviare un’economia originale ed equilibrata: gli alpigiani hanno saputo sviluppare un’ampia gamma di prodotti, alimentari e non, derivati dall'allevamento e ciò che non veniva consumato poteva essere venduto per integrare il reddito. Attualmente i marchi di qualità e di origine forniscono la chiave di una pastorizia alpina in costante trasformazione. Solo a decorrere dal XII secolo si trovano i primi scritti che trattano esplicitamente della pastorizia, prodotti dai monasteri quali Pedona di Borgo San Dalmazzo e Certosa di Pesio, ubicata in Valle Pesio . Risalgono a quei tempi, infatti, le prime costruzioni destinate ad accogliere mandrie e greggi ed adibite alla duplice funzione di alloggio dei pastori e dei margari (che trascorrono la stagione estiva all’alpeggio) e di laboratorio per produrre i formaggi. La pastorizia ha conosciuto un notevole sviluppo alla fine del XVI secolo. Per tutta l’epoca moderna, i pascoli continuano a rappresentare un reddito importante per i comuni e l’allevamento del bestiame conosce una sensibile trasformazione a partire dal XVIII secolo. I bovini diventano più numerosi, a scapito degli ovicaprini provocando la suddivisione dei pascoli delle comunità in funzione delle loro caratteristiche, permettendo di ottimizzare l’allevamento dei diversi tipi di animali. Il sistema di allevamento tradizionale, molto costoso, per lungo tempo ha permesso alla pastorizia di produrre degli utili. I redditi generati dall’allevamento di ovini erano quelli provenienti dalla vendita della lana (i quantitativi di lana di pecora, utilizzati sul posto per fabbricare tessuti, non erano nemmeno sufficienti e coprire il fabbisogno locale, tanto da costringere ad importare la materia prima d’oltralpe o dal nord Italia) e della carne, soprattutto bovina, che produceva il rendimento migliore generando un rilevante flusso commerciale verso la pianura piemontese. E’ evidente dunque l’importanza dell’allevamento di questi ruminanti anche attraverso la transumanza (pratica che oltre a rappresentare un patrimonio di conoscenze legate ai sistemi di allevamento tradizionali, meriterebbe oggi di essere salvaguardata anche per il suo ruolo ecologico, sociale e culturale). Già da tempo è attivo il Consorzio di recupero e valorizzazione della razza ovina autoctona Sambucana, che, passo dopo passo, ha condotto decine di allevatori a riunirsi nel consorzio "L’Escaroun", generatore a sua volta della cooperativa per la commercializzazione delle carni "Lou Barmaset". Sulle sue orme è sorto successivamente un analogo consorzio operante a favore di un’altra razza ovina autoctona a rischio d’estinzione, la "Roaschina-Frabosana".


Curiosità:
- Le fondamenta dei ricoveri in quota erano realizzate con pietre a secco e le parti superiori con materiali deperibili. Intorno al riparo del pastore sorgevano numerosi recinti, costruiti anch’essi con pietre a secco. I recinti possono essere semplici o doppi, alti circa ottanta centimetri. Nei muretti viene lasciata un’apertura, facile da chiudere con un cancello o con dei semplici rami. Oltre a raccogliere e proteggere gli animali durante la notte, le recinzioni servivano e servono a facilitarne la mungitura. I recinti possono inoltre servire per isolare alcuni capi che devono essere tenuti separati dagli altri animali. Di estensione variabile tra qualche decina e qualche centinaio di metri quadri, i recinti hanno forme che dipendono sia dalla conformazione del terreno che dall’inventiva del costruttore: per lo più sono ovoidali o poligonali. Si possono inoltre apprezzare differenze di stile fra una zona di pascolo e l’altra. Verso la fine del XIX secolo, vengono costruite le prime grandi stalle moderne per le vacche: sono edifici lunghi, dal tetto in forte pendenza, che alloggiano gli animali proteggendoli dalle intemperie. Nelle vicinanze si trova sempre un piccolo caseificio, un edificio basso la cui parte inferiore è parzialmente interrata. L’ingresso, stretto e basso, obbliga a curvarsi per entrare. All’interno, un locale con il soffitto a volta è attrezzato con scaffalature adibite alla stagionatura dei formaggi. Delle piccole aperture, simili a feritoie, permettono la circolazione dell’aria. Al di sopra di questo vano si trova il caseificio vero e proprio, nel quale si preparano i formaggi che saranno poi affinati nello scantinato. Nei paraggi scorre sempre un corso d’acqua in modo per che le tome possano maturare nelle migliori condizioni.