Il nome Sant’Agapito, di per sé, tradisce la presenza santa di qualcosa. Ad indagare, si scopre proprio la cosa più ovvia e cioè che, quel qualcosa, è un santo, antico martire sotto il regno dell’Imperatore Aureliano. Furono dei monaci benedettini a vedere nella vita di quest’uomo dei motivi validi per farne culto e costruire in suo onore una chiesa, a valle di quello che oggi è il piccolo comune in provincia di Isernia, la “Porta del Matese”, il borgo medievale, il feudo passato in proprietà a tante famiglie, tra cui i Caracciolo, il cui palazzo troneggia ancora, piccolo e antico, nel centro storico: il paese di Sant’Agapito.
Un paese che ha il nome di un santo, niente di più semplice. Eppure, la quotidiana conversazione con il resto del mondo deve necessariamente articolarsi in modo diverso dal consueto. Dire: “vivo a Sant’Agapito” sembra non essere sufficiente a localizzarsi. Solitamente gli interlocutori passano in rassegna tutte le possibili combinazioni fonetiche: Santacapito, San acapito, San Tacapito. La g di Agapito è la più difficile da assimilare. Chi è in grado di farlo, inverte il sesso del Santo, che diventa appunto Santa, e non una normalissima Santa Agapita, no, ma un’ambigua Santa Agapito. Per anni ho creduto di avere personali problemi a comunicare correttamente le parole e alla domanda “Dove vivi?” ho vagliato diverse risposte:
-“in provincia di Isernia” “ah, e dove di preciso?”
-“sono di Isernia” “dove scusa?”
-“sono molisana” “Ah e dove si trova molisana?”…!
- “beh insomma, comunque sono italiana. Non sono molto lontana da Roma… appena due ore e mezza!”
Insomma, una vera e propria mistificazione delle proprie origini per mettersi al servizio, diciamolo pure, dell’ignoranza altrui. L’aspetto interessante di tali complicanze identificative, è che esse risalgono addirittura al 1561, quando il latinissimo e venerabilissimo nome di Sanctum Agapitum fu deformato in Santa Capiata, poi in Santa Capita, per finire in Scapita nel 1700: una incomunicabilità secolare.
A fronte di un problema tanto radicalizzato, la strada migliore, in alternativa alla suddetta mistificazione, sembrerebbe quella religiosa. Se si inizia parlando di Agapito come di un uomo, per di più martire, divenuto santo, di una santità a cui è stato dedicato un paese, il discorso diventa più lungo ma paradossalmente più semplice. L’influenza degli aspetti religiosi…
Avallato il problema identificativo, se ne presenta un altro che matura di colpo, come un fungo atomico, alla domanda tipicamente giovanile e dunque spesso gergale “ma che si fa a Sant’ Ac… Ag… Santa… nel paese dove vivi?”. Delineare un percorso turistico che parta dal fiume, La Lorda, fino ad arrivare alle montagne, tra veri e propri quadri naturali, lascia il giovane interlocutore medio attonito. Si tenta allora la carta dell’attrattiva storico architettonica: Sant’Agapito era antico borgo medievale, c’è il palazzo feudale, una croce bizantina su capitello corinzio, una vecchia fontana, tutta in pietra, con bassorilievo raffigurante Bacco, la Chiesa della Madonna dell’Olmeto, dicono sia apparsa la Madonna qui, e poi, pensa, se attraversi la piazza del paese arrivi a una ringhiera che ti separa da un burrone, un vuoto, e le montagne ce l’hai di fronte, enormi; d’inverno, se ti sporgi, senti il vento gelido ed è così bello che, vent’anni che lo conosco, mi mozza ancora il fiato.
A questo punto, l’interlocutore medio aggrotta le sopracciglia, è un po’ confuso, ma sembra quasi conquistato dalla storia antica, le apparizioni, il vento gelido che ti toglie il respiro… gli aspetti intensi e travolgenti sono quelli che ci attirano di più… Cogli allora il coinvolgimento al balzo e, prima che ti venga giustamente chiesto un posto dove ballare o divertirsi, nel piccolo paesino, dribbli su un punto fermo, attrattiva universale garantita per grandi e piccini, terreno di sfida solitamente maschile dove si suda, si lotta, si esulta, si vince, si perde, si lasciano in panchina file di mogli annoiate e un po’ meno annoiate, con passeggino e senza, a guardare: la partita di calcetto estiva, annuale, immancabile. Amici di vecchia data hanno lasciato i legamenti sul campetto del paese e tutt’ora, con i dovuti tutori, non rinunciano al torneo. Coppie decennali si sono formate nei post partita, tra commenti su ammonizioni ingiuste, lattine di Fanta gelide, arrosti d’occasione per giocatori affamati e baci adolescenziali. Veri e propri scorci di gioventù paesana. Al di la della dimensione agonistica, su quei campi c’è storia.
Nei paesini che hanno il nome di un santo, e sono tanto piccoli e un po’ freddi, certe storie semplici rimangono nell’aria, si attaccano ai vicoli e se guardi bene sembrano emergere in altorilievo dalle mura. A questo punto, prendi coscienza del tuo essere stata parte di tante storie-altorilievi paesani e, con il ritrovato orgoglio, tipico di chi ha appena scoperto di essere un’opera scultorea, decidi di chiarire ancora meglio la situazione santagapitese. Per farlo, parti dal SAFF, l’annuale Sant’Agapito Film Festival, quando grazie alla magia cine maniaca della proloco paesana, la piazza diventa un cinema all’aperto, il frantoio un’Alcova per mostre di pittura, i vicoli degli spazi da video installazioni e il parcheggio vecchio, da raggiungere tenendosi ben saldi allo scorri mano delle scale ripidissime, un Panoramic- wine bar. Quando il parcheggio del tuo paese diventa un Panoramic (di tutte le lucine notturne di Isernia e dintorni) wine (servito allegramente in un chioschetto) bar (con cuscini al posto di sedie, e puff che riportano quadri di artisti del posto)… senti quasi l’obbligo di doverlo raccontare. In queste SAFF serate, sdraiata a terra, con la temperatura un po’ freddina dell’agosto molisano dopo la mezzanotte: impari ad apprezzare (le case intorno diventano meravigliosamente decadenti); a valorizzare (il panorama stimola quasi la meditazione); a sentirti a casa (la gente intorno è più familiare e vicina). Con la persona giusta accanto puoi addirittura sentirti in paradiso e decidere di non volerti alzare più. La musica è jazz, gli artisti che stai ascoltando sono fiorentini, le fiammelle che li circondano non sono visioni surreali, ma piccole candele sapientemente disposte per farti notare che il posto dove vivi sa essere davvero bello.
L’interlocutore è ormai del tutto attratto e quasi invidia il tuo status di “essere paesano”, invischiato in piccole vicende locali, appassionanti iniziative cinematografiche, invidiabili concerti panoramici e scorci storico medievali in cornice montanara. Adesso, è praticamente ovvio, Sant’Agapito non è solo un santo, ma anche un paese.
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