Campane che suonano: descrizione metaforica di un innamoramento, domenica di festa, fede religiosa, canto liberatorio, annunci tristi. Ci sono momenti che si parcheggiano di colpo, entrando nei pensieri con l’irruenza di un testa coda che lascia tanto di polverone, con colonna sonora campanaria, appunto. Per una mente molisana, e non totalmente integra ma spaccata di netto in un cinquanta percento profondamente alto molisano, le campane hanno un solo, montanaro rimando: Agnone.
Nella mia mente divisa, quando suonano le campane, Agnone risponde, in un richiamo sfarzoso e di gusto un po’ barocco.
-Din don dan: lavoro paterno.
-Don don don: lutti ingiusti.
-Din don dan: parenti lontani e un po’ troppo sconosciuti.
-Din don: ricordi insidiosi.
-Don don don: racconti immaginati o trasformati in incubi.
-Din din din: visite artistiche, perché Agnone è città d’arte.
L’arte che si faceva… nelle botteghe ricalcate su modello veneziano nel territorio agnonese, da tal Landolfo Borrello che prestò servizio, per l’appunto, sotto il Doge. Le particolari entrate e finestre, di questo tipo di botteghe, sono ancora visibilissime nei vicoli del centro storico della cittadina.
L’arte che si contempla… nelle numerose chiese agnonesi, affrescate da validissimi artisti, del posto e non.
L’arte che si legge… e si può ascoltare, nell’affascinante Caffè Letterario, dove inaspettatamente, in un pomeriggio assolato, un rintocco di campana ti ha trascinato.
-Din don don din din Dacia Maraini, letture dei testi di Dacia Maraini. Il Caffè Letterario è piccolo, accoglie una ventina di persone e si riempie di tavolini e sedie ondeggianti in una rilassante pitture verde acqua che facilita il divagare mentale, nell’attesa dell’inizio delle letture. La dimensione estranea ed estraniante, costantemente parallela alla tua quotidianità, ha aspettato solo pochi istanti prima di proiettarti altrove.
La piazzetta che ospita il Caffè, diventa immediatamente francese e i vicoli a cui è collegata sono romanticamente bohémien. Un disperato Gobbo di Notre Dame suona una campana, senza dubbio agnonese. Se ti concentri, in una di quelle finestrelle con i gerani rossi, apparentemente ordinari, potrebbe nascondersi un poeta maledetto, intento per l’appunto a poetare, magari in preda a deliri oppiacei. E tu, ti senti in diritto di avere dei folti boccoli corvini raccolti in testa eccentricamente e la tua sedia è diligentemente scomparsa tra i mille veli della tua gonna ottocentesca, nella quale non attendi altro che sorseggiare raffinato tè, in raffinate tazzine di porcellana. Ma il must dell’atmosfera artistica alla Montmartre si ridimensiona e torna al suo posto, nell’irreale, all’inizio preciso delle poesie della Maraini. Torni ad essere in jeans e maglietta, con boccoli meno voluminosi e una bottiglietta d’acqua in mano ma le campane non smettono di suonare, di essere agnonesi e di saper accompagnare benissimo la tua realtà.
La metrica marainiana parla di cibo e amore, passione, calore e colore. La gente la sa ascoltare, si cimenta ad interpretarla, le lettrici sono agnonesi, scrittrici in carriera e il Caffè diventa piacevolmente letterario e poetico, in quadro alto molisano.
Al termine, valuti tale ritaglio pomeridiano eccezionalmente piacevole, uno di quei rintocchi che non sentivi da tempo.
(Foto gentile concessione di Francesco Paolo)
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