Parla Rino Botte della Locanda del Palazzo di Barile.
Cucina e territorio.
Il legame è nel modo di interpretare il territorio. La cucina lucana è fisiologicamente ed intrinsecamente moderna. Mi spiego. Io e mia moglie siamo stati a lavorare per tanto tempo al nord, a Cremona. Circa 30 anni fa, assistemmo alla “rivoluzione” di Gualtiero Marchesi. Egli sottolineò l’importanza dell’ingrediente, scremando i grassi, mirando all’essenziale. Propose una poetica minimalista che mirava alla sostanza della gastronomia.
Bene, quella rivoluzione fu per noi come tornare alle origini: perché la cucina lucana è imperniata sulla semplicità e sull’essenziale. Olio, verdure, pasta… ovviamente i nostri piatti dovevano essere “abbelliti”.
Ma se la cucina lucana è tradizionalmente moderna, come lei sostiene, come mai nella ristorazione – nelle guide, fra i critici – c’è spesso stata una sottorappresentazione e una sottovalutazione dei cuochi lucani?
Accetto l’idea del “pregiudizio etnocentrico in campo gastronomico” solo fino ad un certo punto. Quel pregiudizio per il quale si è puntato innanzitutto sulla gastronomia di altre regioni, al Nord, che per motivi storici e geografici per prime, ad esempio, hanno importato certe novità provenienti dalla Francia. Bisogna dirlo. C’era una non adeguata preparazione e coscienza da parte della ristorazione a Sud.
In cucina, come in tutte le forme d’arte, quando operiamo una sintesi, non dobbiamo essere banali. Ritornare all’essenza, vi dicevo; ma devono esserci i contenuti. Le faccio l’esempio della pittura: lo squarcio sulla tela oggi è banale, ma quando Lucio Fontana lo propose per la prima volta era pura innovazione. Così al Sud, mancava questa consapevolezza gastronomica, anche perché il mercato era diverso e non c’era un pubblico che richiedeva certe cose.
Il contesto economico è ciò che determina l’ambiente culturale. In un Mezzogiorno povero, la cucina ha una funzione iscritta nella società, nella famiglia. Diverso era il caso del Nord, dove già trent’anni fa, la gastronomia assurgeva a manifestazione artistica pop, cioè di massa, non solo più per gli ambasciatori francesi che risiedevano nelle grande capitali. Oggi la situazione è diversa ed abbiamo grandi proposte nella ristorazione di questa regione. E questa trasformazione è agevolata dalla grammatica culinaria tradizionale lucana che sente la modernità, attraverso la semplicità che ci caratterizza.
I prodotti lucani ai quali non potrebbe mai rinunciare.
Il peperone crusco di Senise, il nostro olio Dop, il pecorino di Filiano.
Qual è l’anima di Barile?
Un anima multietnica. Siamo un paese arbesh e la cultura albanese – con i suoi profumi d’Oriente e le spezie – si sente.
Poi, nomina sunt omina: siamo un barile pieno di vino! Ed io mi chiamo pure Botte…
Ci troviamo nel cuore del Vulture. Nel cuore dell’Aglianico. La mia azienda vinicola – la Macarico – è dotata di cantine d’eccezione. In questa zona, si ricavavano le cantine dalla collina tufacea: abbiamo due grandi anfratti scavati nel tufo lavico e risalenti al ‘500.
Sa? io sono nato con il vino… e al vino sono tornato.
La mia famiglia aveva un’azienda che ha chiuso negli anni ’60. Per me, entrare nella ristorazione, è stato un modo per tornare alle origini.
Il piatto della tradizione al quale si sente più legato.
Come dimenticarlo… un dolce che, con le sue spezie, incarna l’animo arbesh di Barile.
I “capelli d’angelo” cotti nel latte con zucchero e cannella. Mia madre li nascondeva in casa per non farmeli trovare perché me li divoravo.
Ma alla fine li trovavo sempre. Mia madre non sapeva più dove metterli!
Le sue creazioni alle quali si sente maggiormente legato?
La zuppa di fave secche e cicoria con provolone podolico e i ravioli arbesh al profumo di cannella, con ricotta e con ragù di agnello.
Siete stati tanti anni a Cremona. Vini preferiti della Lombardia?
Gli spumanti della Franciacorta.
Riferimenti:
Locanda del Palazzo
Piazza Caracciolo, 7 – Barile (PZ)
Telefono: 0972-771.051
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