GUIDA  Torre Annunziata/Villa di Lucio Crasso Terzo

Da Wiki.
(Nuova pagina: Gli scavi per riportare alla luce tale villa iniziarono nel '''1974'''. E' in stile rustico ed è a due piani. La zona superiore era adibita alle stanze dei nobili e attualmente restan...)
 
Riga 1: Riga 1:
Gli scavi per riportare alla luce tale villa iniziarono nel '''1974'''. E' in stile rustico ed è a due piani. La zona superiore era adibita alle stanze dei nobili e attualmente restano solo alcune decorazioni lungo le pareti. La zona inferiore veniva, invece, utilizzata per il commercio del vino ed era caratterizzata da un peristilio con colonne in tufo.
+
Lo scavo della  Villa B cominciò nel 1975, quando, durante la costruzione della scuola media Parini, si notò l'esistenza di strutture archeologiche che in parte erano già state coperte dall'edificio scolastico. La villa si sviluppa intorno ad un imponente peristilio con colonne di tufo grigio, circondato da ambienti rustici in opera incerta. Gli ambienti del secondo piano erano destinati, invece, ad abitazione.
 +
I materiali e il tipo di strutture impiegati fanno risalire il primo impianto al II secolo a.C. (periodo sannitico), con restauri del I secolo prima e dopo Cristo.
 +
I rinvenimenti effettuati hanno fatto definire questa villa come villa rustica destinata essenzialmente al commercio ed allo smistamento del vino e dei prodotti agricoli.  Sono state trovate, infatti, lungo il peristilio più di quattrocento anfore vinarie, messe ad asciugare per poi essere riempite. Su un fornello, tra le colonne, è stata trovata una pentola di bronzo con resti di resina che veniva impiegata per rivestire l'interno delle anfore.   
 +
In un altro ambiente, poi, adagiate sul pavimento, delle melagrane erano state messe a seccare per poi utilizzarne, forse, le bucce.
 +
Un sigillo in bronzo recuperato nella villa ci suggerisce il nome del proprietario o del procuratore LUCIUS CRASSIUS TERTIUS.
  
La villa fu costruita tra il '''III''' e il '''II secolo a.C.''' e al suo interno sono state ritrovate statue di bronzo, ampolle di vetro colorato da estratti di melograni, quercia, vite e papaveri e circa 400 anfore con all'interno resti di vino solidificato. Tuttavia attualmente questi reperti sono conservati nella [[Torre Annunziata/Villa di Poppea|Villa di Poppea]].
+
*;[[/I Ritrovamenti]]
 +
Oltre agli oggetti connessi con l'attività produttiva, molti altri sono stati trovati in un ambiente del lato sud del peristilio, che costituiscono una testimonianza della presenza di persone al momento dell'eruzione: una cassaforte in legno e metalli preziosi, i resti di una cassa di legno contenente 170 monete d'argento, 1 moneta d'oro e 20 di bronzo, con le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma, anelli, orecchini e bracciali d'oro e d'argento, unguentari per cosmesi, stecche in osso e piastrine di vetro usate forse per preparare le creme da cosmesi.
 +
Successivamente, nell'ottobre '84, è stata fatta una scoperta ancora più importante e interessante: trentatré scheletri di persone che si erano rifugiate in un unico ambiente per ripararsi dalla pioggia di cenere e lapilli in attesa di un momento di calma per fuggire, forse via mare, e poi travolte e uccise dal crollo della volta.
 +
Presso alcuni scheletri si sono trovati gioielli d'oro, indossati o conservati in  borselli insieme al denaro: i risparmi e i beni che volevano portare in salvo. Solo di cinque corpi è stato possibile eseguire il calco. Per uno, "la fanciulla di Oplonti", è stata sperimentata una tecnica nuova, diversa da quella inventata dal Fiorelli nel 1861.
 +
 
 +
*;[[/La Struttura]]
 +
La villa B si sviluppa intorno al peristilio, cortile colonnato a due ordini di colonne doriche di tufo grigio di Nocera. Sul lato est si trova l'ingresso ed il profondo incastro derivante dall'usura su una delle colonne, insieme ai solchi tracciati sul pavimento dalle ruote dei carri, fanno pensare a frequenti passaggi. Sul lato nord gli unici ambienti di soggiorno del piano terra e quindi tutta una serie di grandi ambienti coperti a volta che venivano usati come deposito di merce. Sempre sul lato est, un'ampia scala portava al primo piano.
 +
Il piano superiore, collegato al lato Nord col piano terra da un'ampia scala, è occupato da un quartiere signorile, evidentemente la residenza del “Dominus".    Sono ambienti di soggiorno con scarse testimonianze decorative per lo più del IV stile, tra le quali vi è un raro esempio di II stile, cosiddetto "schematizzato” risalente all'età repubblicana, caratterizzato dalla presenza di esili elementi "a candelabri", su uno sfondo che imita il marmo.  
 +
A testimoniare ulteriormente che la famiglia soggiornava in questi ambienti è il ritrovamento di pentole da cucina in bronzo, in terracotta e bruciatori. E forse cadde proprio da questo piano la splendida cassaforte in legno e metalli preziosi trovata presso la parete Est del peristilio.
 +
 
 +
*;[[/Le Attività]]
 +
Lungo i bracci del peristilio della villa B, sono state rinvenute più di quattrocento anfore vinarie, messe lì capovolte ed impilate ad asciugare per essere riempite. Vicino ad esse un fornellino, sul quale poggiava una pentola in cui veniva sciolta la resina conifera utilizzata per rivestire gli interni delle anfore. Questo fa pensare che l'attività prevalente fosse il commercio del vino, attivissimo al momento dell'eruzione. Nella Villa, luogo di smercio e non di produzione, perché non sono stati trovati macchinari per la lavorazione, si conservava e si distribuiva vino anche nella vicina Pompei. Era abitudine mescolare il vino con il miele e perfino con acqua di mare e aromatizzarlo con resina, olii profumati, pece. Veniva anche annacquato perché essendo molte le libagioni, se ne potesse bere in maggiori quantità. Un vino molto decantato era quello pompeiano VITIS  HOLCONIA.
 +
Su alcune anfore sono state rilevate indicazioni di qualità di vini; vino di LESBO, di produzione locale e di pregiata fattura, proveniente dai vigneti vesuviani.
 +
Su altre anfore la scritta ANICETUS, nome noto nel commercio vinario di Pompei, rappresentava la garanzia del prodotto; su altre JUNIOR per indicare che conteneva vino novello.
 +
 +
*;[[/I Reperti]]
 +
La villa B era destinata all'immagazzinamento e allo smercio dei prodotti agricoli. Negli ambienti intorno al peristilio sono stati infatti trovati cumuli di anfore da vino, pesi di pietra, noci, nocelle e alcuni modii per la misurazione del grano e di imballaggi, mucchi di piccoli melograni acerbi disposti a strati nelle foglie a seccare. Questi frutti, splendidamente raffigurati in una coppa di vetro nella sala da pranzo della Villa A di Poppea, venivano anche usati per estrarre tannino che serviva per la  lavorazione dei tessuti. Dagli studi effettuati dal Laboratorio di Scienze applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei sui materiali organici della Villa B, sono stati evidenziati i pollini di grandi quantità di specie vegetali presenti nella zona.
 +
Il notevole numero di pentolame in bronzo e terracotta, insieme a due bellissime lucerne dal manico cesellato a testa di cavallo e a foglia a cuore, sono un’ulteriore riprova che al momento dell’eruzione la Villa era abitata. Tra i pezzi da poco restaurati sono brocche per acqua e vino, pentole da fuoco, un tegame largo con coperchio, una coppa in terracotta invetriata decorata a bassorilievo, un candelabro in bronzo a piantana, perfino contenitori in vetro.
 +
L’oggettistica in vetro è stata salvata miracolosamente dal crollo di una porzione di parete che ha creato una specie di intercapedine, provvidenziale riparo. Tanti altri i reperti ancora da restaurare, dai fermi delle porte ai cardini, tutti sono fonti eloquenti del nostro passato.
 +
 
 +
*;[[/La Cassaforte]]
 +
La grande cassa in legno e metalli preziosi ritrovata presso la parete Est del peristilio, è un magnifico, elegante esempio di arte ellenistica con decorazioni ad agemina in oro, argento e rame con sportello sul lato superiore ed un sistema di apertura talmente particolare da essere oggetto di studio. Sulla parte superiore una testa femminile entro un tondo, appliques in bronzo raffiguranti due cani accovacciati, come a guardia, due busti di fanciulli che funzionano da manopole girevoli, un’anatra. Sulla faccia anteriore una decorazione in lamina bronzea, nel mezzo della quale, tra girali di acanto, si leggono le firme degli artefici: Pythonimos, Pytheas e Nikokrates. Al di sotto la testa di un sileno tra foglie e rami di vite. Insieme a questa, ma nell’ambiente del lato Sud, furono ritrovati i resti di un’altra cassa, con ori e argenti e oggetti per cosmesi. 
 +
Altre casse sono state ritrovate nell’ambiente 10, portate forse da quelli che vi si erano rifugiati, di queste è stato possibile eseguire il calco.
 +
Una presenta una sorta di imbragatura con cordicelle, l’altra sembra avvolta in stoffa e poi legata. Dovevano contenere materiali organici che non si sono conservati.
 +
La terza cassa conteneva un beauty-case.
 +
 
 +
*;[[/Le Monete]]
 +
Durante gli scavi condotti nel 1984, in due degli ambienti del piano terra  vennero trovate circa 1200 monete, tra cui un aureo di Nerone, circa 100  d'oro , 900 di argento e il resto di bronzo.  Un primo nucleo di monete, insieme ad oggetti d'oro, venne  trovato nel peristilio, caduto dal crollo del  piano superiore, frammisto ai resti di una cassaforte di legno e ferro. Il secondo gruppo è venuto alla luce nel corso dello scavo  dell'ambiente 10, rifugio delle persone, anche esterne alla Villa. Vicino a questi scheletri sono state trovate moltissime monete ed altri gioielli in resti di borselli di stoffa e cuoio.  Le monete sono importantissime anche dal punto di vista storico perché vi si  trovano impresse le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma.
 +
Gli ori rappresentano un insieme unico proprio perché, essendo stati trovati diffusamente addosso o vicino a scheletri di donne, testimoniano che non fossero privilegio di  pochi ma avessero un'ampia diffusione sociale anche tra le classi del ceto medio. 
 +
I gioielli, per carattere e tipologia, non si discostano da quelli di Pompei e Ercolano. Sono lavorati su superfici lisce con gemme, non troppo costosi, nonostante il prezzo sempre alto dell’oro.
 +
 
 +
*;[[/I Gioielli]]
 +
Abbiamo numerosi esempi di gioielli, tra i quali si distinguono: anelli, orecchini, bracciali, collane lunghe e collane corte.
 +
Gli anelli sono i più numerosi tra i monili ritrovati. Venivano portati in età imperiale da uomini e donne di vari ceti sociali, tranne che dagli schiavi. C’era l’abitudine, nonostante le leggi repubblicane tese a frenare il lusso, di portare più di un anello; uno degli scheletri dell’ambiente 10 portava tre anelli di cui due al mignolo.
 +
Il tipo più semplice è quello in oro o argento con verga a fascetta e castone ovoidale liscio o inciso. Più interessante è l’anello ornato da una maschera di attore comico e quelli in filo godronato con o senza perla raffiguranti figure di uccelli. Gli anelli a serpente si rifanno a modelli ellenistici e sono con più spirali o a due teste affrontate.
 +
Ampiamente rappresentato è il tipo ornato con gemma, liscia o incisa. L’uso delle gemme iniziò a diffondersi a partire dal I secolo a.C. con l’intensificarsi dei rapporti con l’Oriente.
 +
Alle pietre preziose si attribuivano proprietà magiche e perciò venivano impiegate come amuleti ed incise con immagini per lo più di divinità ed animali
 +
Gli orecchini sono un ornamento femminile di origine antichissima e molto diffuso in tutte le età.
 +
Il tipo a “spicchio a sfera”, forse è il più caratteristico della produzione Romana, è presente sia nella forma completamente liscia, secondo lo stile dell’oreficeria tarda-Etrusca, sia in quella ricoperta da una fitta puntinatura ottenuta a sbalzo, ad imitare la tecnica della granulazione. Una variante non molto diffusa è il tipo con piccoli quarzi disposti a canestro.
 +
Secondo Seneca e Plinio il Vecchio, il tipo con pendente ornato da perle era molto amato dalle donne Romane. Infine vanno notati orecchini in semplice filo d’oro liscio annodati a cerchio.
 +
I bracciali  “armillae” venivano portati prevalentemente dalle donne su entrambe le braccia, sia nella parte alta, che ai polsi, nonché alle caviglie.
 +
Le collane, invece, si dividono in corte “monilia” e lunghe “catellae”, queste ultime giungevano fino ai fianchi, intrecciandosi sul petto dove potevano essere fissate da fermagli scorrevoli in forma di borchie, l’unico o il maggior ornamento della collana.
 +
Altro ornamento è il “pendente”; diffusi sono quelli a forma di ruota e di crescente lunare con globetti all’estremità, di origine Siriana.
 +
Variante fastosa e poco diffusa di “crescente” è questa decorata con perline e grani di smeraldo.
 +
Le collane a “giro collo” sono sia in forma più sobria, costituita da una semplice catenina, sia in quelle dove appare il contrasto tra il giallo dell’oro e il verde dello smeraldo.
 +
 
 +
*;[[/I Cosmetici]]
 +
In uno degli ambienti della Villa è stata ritrovata un’altra cassa che conteneva, oltre a materiali organici, una sorta di cassettina beauty-case con unguentari di vetro, una stecca cosmetica in osso, tre dadi da gioco ed alcuni oggetti di ornamento.
 +
Le donne del I secolo dell'Impero romano, utilizzavano per il proprio aspetto esteriore il fondotinta, ombretti, deodoranti, dentifrici, rossetti, tinture, profumi e maschere di bellezza.      Il fondotinta era ricavato dalla biacca mescolata con il miele e sostanze grasse; gli ombretti si ricavavano da un miscuglio composto da galena, ossidi di ferro rame, ocra, malachite e caolino; i deodoranti per ascelle erano fatti con il fieno greco cotto; i dentifrici si facevano con polvere di pomice e mastice di chio; i rossetti erano ottenuti con il cinabro, gesso    rosso, e minio. I profumi si ottenevano pestando o spremendo i fiori, foglie, legni e radici. L'estratto unito a cera d'api e vegetali, era reso più denso con l'aggiunta di zenzero o mirra. Le tinture con l'henné, cenere di faggio per ottenere il rosso, antimonio nero e grasso animale o cenere d'assenzio per il nero e lle maschere di bellezza si ottenevano con l'oesipum mescolato con il miele.
 +
 
 +
Nell'ottobre del 1984 nell'ambiente 10, furono trovati 33 scheletri appartenenti forse a donne e bambini ed ad un uomo con spada, probabilmente abitanti della villa ma anche provenienti dall'esterno. E' la prova che c'era vita nella villa B contrariamente alla villa A, deserta al momento dell'eruzione perché in ristrutturazione. Accanto ai corpi, una cospicua quantità di gioielli oltre a numerose monete, molte delle quali in oro e argento. Dagli scheletri sono stati realizzati due calchi di giovani donne, una ritrovata a poca distanza dall'uscio dell'ambiente 10, è stato eseguito in gesso, l'altro fu eseguito in "Fiberglass" nel 1984-85 dal restauratore Amedeo Cecchitti. Si può così vedere questo scheletro adornato di gioielli mentre stringe in mano un sacchetto di monete: è la "fanciulla di Oplonti".
 +
 
 +
*;[[/La Fanciulla di Oplontis]]
 +
E’ il calco di una giovane donna trovata, insieme ad altre vittime dell’ eruzione del 79 d.C., in uno degli ambienti della villa detta B ad Oplontis, lo stesso ambiente dove, accanto ad alcune di queste vittime, furono trovati i gioielli.
 +
Sì tratta di un calco eseguito con una tecnica ideata dal restauratore Amedeo Cicchitti e sperimentata per la prima volta ad Oplontis nel 1984, che al gesso, materiale usato tradizionalmente fin dal 1863 quando il Fiorelli introdusse il sistema dei calchi, sostituisce una resina epossidica.
 +
Il procedimento, alquanto complesso, consiste nel realizzare prima un calco in cera, intorno al quale si costruisce una matrice in gesso; quindi, con una tecnica simile a quella della «cera perduta», si sostituisce alla cera la resina epossidica. Si ottiene, in tal modo, un calco piú resistente, di quello in gesso, agli urti ed alle variazioni climatiche, piú facile da trasportare e che, grazie alla sua semitrasparenza, consente di vedere i piccoli oggetti che, eventualmente, la persona indossava. Così, in questo caso, si è potuto recuperare, sostituendoli con copie, il bracciale che la fanciulla aveva al braccio e il borsellino con monete, e gemme, che era accanto alla mano. All'interno, ricoperte e fermate dalla resina, restano, in tutta la loro tragica testimonianza, le ossa  ed il teschio.  
  
Probabilmente tali qualità di vino, il cui nome sulle anfore è '''Lesbo''' e '''Aniceto''', fanno pensare che il proprietario era un commerciante di vino. Tuttavia si pensa che la vita di questa villa fu fermata dalle colate di lava in quanto fu ritrovato il corpo di una donna ornata di gioielli.
 
  
 
[[Categoria: Ville]]
 
[[Categoria: Ville]]

Versione delle 11:27, 19 mag 2010

Lo scavo della Villa B cominciò nel 1975, quando, durante la costruzione della scuola media Parini, si notò l'esistenza di strutture archeologiche che in parte erano già state coperte dall'edificio scolastico. La villa si sviluppa intorno ad un imponente peristilio con colonne di tufo grigio, circondato da ambienti rustici in opera incerta. Gli ambienti del secondo piano erano destinati, invece, ad abitazione. I materiali e il tipo di strutture impiegati fanno risalire il primo impianto al II secolo a.C. (periodo sannitico), con restauri del I secolo prima e dopo Cristo. I rinvenimenti effettuati hanno fatto definire questa villa come villa rustica destinata essenzialmente al commercio ed allo smistamento del vino e dei prodotti agricoli. Sono state trovate, infatti, lungo il peristilio più di quattrocento anfore vinarie, messe ad asciugare per poi essere riempite. Su un fornello, tra le colonne, è stata trovata una pentola di bronzo con resti di resina che veniva impiegata per rivestire l'interno delle anfore. In un altro ambiente, poi, adagiate sul pavimento, delle melagrane erano state messe a seccare per poi utilizzarne, forse, le bucce. Un sigillo in bronzo recuperato nella villa ci suggerisce il nome del proprietario o del procuratore LUCIUS CRASSIUS TERTIUS.

Oltre agli oggetti connessi con l'attività produttiva, molti altri sono stati trovati in un ambiente del lato sud del peristilio, che costituiscono una testimonianza della presenza di persone al momento dell'eruzione: una cassaforte in legno e metalli preziosi, i resti di una cassa di legno contenente 170 monete d'argento, 1 moneta d'oro e 20 di bronzo, con le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma, anelli, orecchini e bracciali d'oro e d'argento, unguentari per cosmesi, stecche in osso e piastrine di vetro usate forse per preparare le creme da cosmesi. Successivamente, nell'ottobre '84, è stata fatta una scoperta ancora più importante e interessante: trentatré scheletri di persone che si erano rifugiate in un unico ambiente per ripararsi dalla pioggia di cenere e lapilli in attesa di un momento di calma per fuggire, forse via mare, e poi travolte e uccise dal crollo della volta. Presso alcuni scheletri si sono trovati gioielli d'oro, indossati o conservati in borselli insieme al denaro: i risparmi e i beni che volevano portare in salvo. Solo di cinque corpi è stato possibile eseguire il calco. Per uno, "la fanciulla di Oplonti", è stata sperimentata una tecnica nuova, diversa da quella inventata dal Fiorelli nel 1861.

La villa B si sviluppa intorno al peristilio, cortile colonnato a due ordini di colonne doriche di tufo grigio di Nocera. Sul lato est si trova l'ingresso ed il profondo incastro derivante dall'usura su una delle colonne, insieme ai solchi tracciati sul pavimento dalle ruote dei carri, fanno pensare a frequenti passaggi. Sul lato nord gli unici ambienti di soggiorno del piano terra e quindi tutta una serie di grandi ambienti coperti a volta che venivano usati come deposito di merce. Sempre sul lato est, un'ampia scala portava al primo piano. Il piano superiore, collegato al lato Nord col piano terra da un'ampia scala, è occupato da un quartiere signorile, evidentemente la residenza del “Dominus". Sono ambienti di soggiorno con scarse testimonianze decorative per lo più del IV stile, tra le quali vi è un raro esempio di II stile, cosiddetto "schematizzato” risalente all'età repubblicana, caratterizzato dalla presenza di esili elementi "a candelabri", su uno sfondo che imita il marmo. A testimoniare ulteriormente che la famiglia soggiornava in questi ambienti è il ritrovamento di pentole da cucina in bronzo, in terracotta e bruciatori. E forse cadde proprio da questo piano la splendida cassaforte in legno e metalli preziosi trovata presso la parete Est del peristilio.

Lungo i bracci del peristilio della villa B, sono state rinvenute più di quattrocento anfore vinarie, messe lì capovolte ed impilate ad asciugare per essere riempite. Vicino ad esse un fornellino, sul quale poggiava una pentola in cui veniva sciolta la resina conifera utilizzata per rivestire gli interni delle anfore. Questo fa pensare che l'attività prevalente fosse il commercio del vino, attivissimo al momento dell'eruzione. Nella Villa, luogo di smercio e non di produzione, perché non sono stati trovati macchinari per la lavorazione, si conservava e si distribuiva vino anche nella vicina Pompei. Era abitudine mescolare il vino con il miele e perfino con acqua di mare e aromatizzarlo con resina, olii profumati, pece. Veniva anche annacquato perché essendo molte le libagioni, se ne potesse bere in maggiori quantità. Un vino molto decantato era quello pompeiano VITIS HOLCONIA. Su alcune anfore sono state rilevate indicazioni di qualità di vini; vino di LESBO, di produzione locale e di pregiata fattura, proveniente dai vigneti vesuviani. Su altre anfore la scritta ANICETUS, nome noto nel commercio vinario di Pompei, rappresentava la garanzia del prodotto; su altre JUNIOR per indicare che conteneva vino novello.

La villa B era destinata all'immagazzinamento e allo smercio dei prodotti agricoli. Negli ambienti intorno al peristilio sono stati infatti trovati cumuli di anfore da vino, pesi di pietra, noci, nocelle e alcuni modii per la misurazione del grano e di imballaggi, mucchi di piccoli melograni acerbi disposti a strati nelle foglie a seccare. Questi frutti, splendidamente raffigurati in una coppa di vetro nella sala da pranzo della Villa A di Poppea, venivano anche usati per estrarre tannino che serviva per la lavorazione dei tessuti. Dagli studi effettuati dal Laboratorio di Scienze applicate della Soprintendenza archeologica di Pompei sui materiali organici della Villa B, sono stati evidenziati i pollini di grandi quantità di specie vegetali presenti nella zona. Il notevole numero di pentolame in bronzo e terracotta, insieme a due bellissime lucerne dal manico cesellato a testa di cavallo e a foglia a cuore, sono un’ulteriore riprova che al momento dell’eruzione la Villa era abitata. Tra i pezzi da poco restaurati sono brocche per acqua e vino, pentole da fuoco, un tegame largo con coperchio, una coppa in terracotta invetriata decorata a bassorilievo, un candelabro in bronzo a piantana, perfino contenitori in vetro. L’oggettistica in vetro è stata salvata miracolosamente dal crollo di una porzione di parete che ha creato una specie di intercapedine, provvidenziale riparo. Tanti altri i reperti ancora da restaurare, dai fermi delle porte ai cardini, tutti sono fonti eloquenti del nostro passato.

La grande cassa in legno e metalli preziosi ritrovata presso la parete Est del peristilio, è un magnifico, elegante esempio di arte ellenistica con decorazioni ad agemina in oro, argento e rame con sportello sul lato superiore ed un sistema di apertura talmente particolare da essere oggetto di studio. Sulla parte superiore una testa femminile entro un tondo, appliques in bronzo raffiguranti due cani accovacciati, come a guardia, due busti di fanciulli che funzionano da manopole girevoli, un’anatra. Sulla faccia anteriore una decorazione in lamina bronzea, nel mezzo della quale, tra girali di acanto, si leggono le firme degli artefici: Pythonimos, Pytheas e Nikokrates. Al di sotto la testa di un sileno tra foglie e rami di vite. Insieme a questa, ma nell’ambiente del lato Sud, furono ritrovati i resti di un’altra cassa, con ori e argenti e oggetti per cosmesi. Altre casse sono state ritrovate nell’ambiente 10, portate forse da quelli che vi si erano rifugiati, di queste è stato possibile eseguire il calco. Una presenta una sorta di imbragatura con cordicelle, l’altra sembra avvolta in stoffa e poi legata. Dovevano contenere materiali organici che non si sono conservati. La terza cassa conteneva un beauty-case.

Durante gli scavi condotti nel 1984, in due degli ambienti del piano terra vennero trovate circa 1200 monete, tra cui un aureo di Nerone, circa 100 d'oro , 900 di argento e il resto di bronzo. Un primo nucleo di monete, insieme ad oggetti d'oro, venne trovato nel peristilio, caduto dal crollo del piano superiore, frammisto ai resti di una cassaforte di legno e ferro. Il secondo gruppo è venuto alla luce nel corso dello scavo dell'ambiente 10, rifugio delle persone, anche esterne alla Villa. Vicino a questi scheletri sono state trovate moltissime monete ed altri gioielli in resti di borselli di stoffa e cuoio. Le monete sono importantissime anche dal punto di vista storico perché vi si trovano impresse le effigi di quasi tutti gli imperatori di Roma. Gli ori rappresentano un insieme unico proprio perché, essendo stati trovati diffusamente addosso o vicino a scheletri di donne, testimoniano che non fossero privilegio di pochi ma avessero un'ampia diffusione sociale anche tra le classi del ceto medio. I gioielli, per carattere e tipologia, non si discostano da quelli di Pompei e Ercolano. Sono lavorati su superfici lisce con gemme, non troppo costosi, nonostante il prezzo sempre alto dell’oro.

Abbiamo numerosi esempi di gioielli, tra i quali si distinguono: anelli, orecchini, bracciali, collane lunghe e collane corte. Gli anelli sono i più numerosi tra i monili ritrovati. Venivano portati in età imperiale da uomini e donne di vari ceti sociali, tranne che dagli schiavi. C’era l’abitudine, nonostante le leggi repubblicane tese a frenare il lusso, di portare più di un anello; uno degli scheletri dell’ambiente 10 portava tre anelli di cui due al mignolo. Il tipo più semplice è quello in oro o argento con verga a fascetta e castone ovoidale liscio o inciso. Più interessante è l’anello ornato da una maschera di attore comico e quelli in filo godronato con o senza perla raffiguranti figure di uccelli. Gli anelli a serpente si rifanno a modelli ellenistici e sono con più spirali o a due teste affrontate. Ampiamente rappresentato è il tipo ornato con gemma, liscia o incisa. L’uso delle gemme iniziò a diffondersi a partire dal I secolo a.C. con l’intensificarsi dei rapporti con l’Oriente. Alle pietre preziose si attribuivano proprietà magiche e perciò venivano impiegate come amuleti ed incise con immagini per lo più di divinità ed animali Gli orecchini sono un ornamento femminile di origine antichissima e molto diffuso in tutte le età. Il tipo a “spicchio a sfera”, forse è il più caratteristico della produzione Romana, è presente sia nella forma completamente liscia, secondo lo stile dell’oreficeria tarda-Etrusca, sia in quella ricoperta da una fitta puntinatura ottenuta a sbalzo, ad imitare la tecnica della granulazione. Una variante non molto diffusa è il tipo con piccoli quarzi disposti a canestro. Secondo Seneca e Plinio il Vecchio, il tipo con pendente ornato da perle era molto amato dalle donne Romane. Infine vanno notati orecchini in semplice filo d’oro liscio annodati a cerchio. I bracciali “armillae” venivano portati prevalentemente dalle donne su entrambe le braccia, sia nella parte alta, che ai polsi, nonché alle caviglie. Le collane, invece, si dividono in corte “monilia” e lunghe “catellae”, queste ultime giungevano fino ai fianchi, intrecciandosi sul petto dove potevano essere fissate da fermagli scorrevoli in forma di borchie, l’unico o il maggior ornamento della collana. Altro ornamento è il “pendente”; diffusi sono quelli a forma di ruota e di crescente lunare con globetti all’estremità, di origine Siriana. Variante fastosa e poco diffusa di “crescente” è questa decorata con perline e grani di smeraldo. Le collane a “giro collo” sono sia in forma più sobria, costituita da una semplice catenina, sia in quelle dove appare il contrasto tra il giallo dell’oro e il verde dello smeraldo.

In uno degli ambienti della Villa è stata ritrovata un’altra cassa che conteneva, oltre a materiali organici, una sorta di cassettina beauty-case con unguentari di vetro, una stecca cosmetica in osso, tre dadi da gioco ed alcuni oggetti di ornamento. Le donne del I secolo dell'Impero romano, utilizzavano per il proprio aspetto esteriore il fondotinta, ombretti, deodoranti, dentifrici, rossetti, tinture, profumi e maschere di bellezza. Il fondotinta era ricavato dalla biacca mescolata con il miele e sostanze grasse; gli ombretti si ricavavano da un miscuglio composto da galena, ossidi di ferro rame, ocra, malachite e caolino; i deodoranti per ascelle erano fatti con il fieno greco cotto; i dentifrici si facevano con polvere di pomice e mastice di chio; i rossetti erano ottenuti con il cinabro, gesso rosso, e minio. I profumi si ottenevano pestando o spremendo i fiori, foglie, legni e radici. L'estratto unito a cera d'api e vegetali, era reso più denso con l'aggiunta di zenzero o mirra. Le tinture con l'henné, cenere di faggio per ottenere il rosso, antimonio nero e grasso animale o cenere d'assenzio per il nero e lle maschere di bellezza si ottenevano con l'oesipum mescolato con il miele.

Nell'ottobre del 1984 nell'ambiente 10, furono trovati 33 scheletri appartenenti forse a donne e bambini ed ad un uomo con spada, probabilmente abitanti della villa ma anche provenienti dall'esterno. E' la prova che c'era vita nella villa B contrariamente alla villa A, deserta al momento dell'eruzione perché in ristrutturazione. Accanto ai corpi, una cospicua quantità di gioielli oltre a numerose monete, molte delle quali in oro e argento. Dagli scheletri sono stati realizzati due calchi di giovani donne, una ritrovata a poca distanza dall'uscio dell'ambiente 10, è stato eseguito in gesso, l'altro fu eseguito in "Fiberglass" nel 1984-85 dal restauratore Amedeo Cecchitti. Si può così vedere questo scheletro adornato di gioielli mentre stringe in mano un sacchetto di monete: è la "fanciulla di Oplonti".

E’ il calco di una giovane donna trovata, insieme ad altre vittime dell’ eruzione del 79 d.C., in uno degli ambienti della villa detta B ad Oplontis, lo stesso ambiente dove, accanto ad alcune di queste vittime, furono trovati i gioielli. Sì tratta di un calco eseguito con una tecnica ideata dal restauratore Amedeo Cicchitti e sperimentata per la prima volta ad Oplontis nel 1984, che al gesso, materiale usato tradizionalmente fin dal 1863 quando il Fiorelli introdusse il sistema dei calchi, sostituisce una resina epossidica. Il procedimento, alquanto complesso, consiste nel realizzare prima un calco in cera, intorno al quale si costruisce una matrice in gesso; quindi, con una tecnica simile a quella della «cera perduta», si sostituisce alla cera la resina epossidica. Si ottiene, in tal modo, un calco piú resistente, di quello in gesso, agli urti ed alle variazioni climatiche, piú facile da trasportare e che, grazie alla sua semitrasparenza, consente di vedere i piccoli oggetti che, eventualmente, la persona indossava. Così, in questo caso, si è potuto recuperare, sostituendoli con copie, il bracciale che la fanciulla aveva al braccio e il borsellino con monete, e gemme, che era accanto alla mano. All'interno, ricoperte e fermate dalla resina, restano, in tutta la loro tragica testimonianza, le ossa ed il teschio.