GUIDA Ledro/Lapide ai Garibaldini
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AI MORTI COMBATTENDO PER LA PATRIA I VOLONTARI ITALIANI 21 LUGLIO 1866 |
Fra la Chiesa Ossario di Santo Stefano e la sommità del Colle spicca una semplice lapide di granito, squadrata la cui scritta è stata rozzamente scolpita da alcuni Garibaldini agli ordini del maggiore Ocari subito dopo la battaglia.
Dopo l'obbedisco! di Garibaldi i garibaldini se ne andarono da Bezzecca e l'Austria era tornata di fretta a riprendersi il paese. La pietra edificata nei giorni del "credo" era li in piedi sul colle. Il pretore di Riva del Garda (quando il Trentino era ancora provincia dell'Austria), non esitò a segnalarla al consigliere Von Hohenwart capo della Luogotenenza di Trento e in seguito Primo Ministro Austriaco.
Il 25 settembre 1866 (due mesi dopo la battaglia) il Consigliere telegrafò alla questura di Riva del Garda e per mezzo di questa al Capo del Comune Generale di Ledro Giovanni Gigli: di rimuovere la lapide e di distruggere l'iscrizione ritenuta intollerabile.
La motivazione fu la seguente: "...Il monumento deve essere dunque demolito e ne ha l'obbligo che lo eresse, si prendano le opportune disposizioni perché venga possibilmente allontanato distruggendo in ogni caso la rispettiva iscrizione non ancora completamente scolpita."
Da qui inizia la controversia durata ben 53 anni e ne furono protagonisti: la Comunità di Bezzecca con il suo Capo Comune Giovanni Gigli; Enrico, Carolina e Damiano Cis, irredentisti e custodi della pietra; la Società Alpina del Trentino per aver scritto in più articoli lo stato di abbandono della Lapide, sciolta con disposizione da parte delle autorità austriache a causa di questi.
Il Capo del Comune Giovanni Gigli contrappose difficoltà solo in parte pretestuose compresa quella dovuta a costi eccessivi per l'operazione di demolimento.
Il 23 ottobre 1866, il consigliere Hohhenwart conferma l'ordine: "L'erezione di un monumento in luogo pubblico non può seguire se non dietro il permesso delle competenti autorità pertanto confermo l'ordine che il monumento venga demolito"
Il 30 Ottobre 1866, Giovanni Gigli risponde al Consigliere: "Il monumento di cui fa cenno suo ordine nr 3087 23c.m. è stato demolito, Bezzecca 30 Ottobre 1866 - Gigli Capo Comune." Ma non era vero. Le autorità austriache forse fecero finta di credere che il monumento fosse stato veramente demolito, anche per paura di eventuali motti rivoluzionari dovuti al fatto di un sempre maggiore desiderio da parte dei cittadini di italianità.
Passarono sette anni e la lapide era sempre lì; nel dicembre del 1873 mano ignota trasporto o fece rotolare la lapide nel terreno sottostante il colle di proprietà dei fratelli Cis e in quel terreno fu sotterrata la lapide. Una volta sotterrata, divenne il centro attorno al quale si riscaldavano gli animi irredentisti.
Nel 1896, 30 anni dopo la battaglia, le autorità austriache decisero di erigere nei pressi dove si trovava la lapide garibaldina, un monumento dedicato ai soldati Austriaci e Italiani che ancora oggi si può ammirare tutt'ora sul colle.
A Bezzecca intanto emerse la figura di Damiano Cis, figlio di Egidio e nipote di Enrico e Carolina Cis. Dalla famiglia Damiano aveva ereditato una profonda fede irredentista. Per le sue molteplici attività anti-austriache e quale informatore dell'esercito italiano, fu processato a Vienna e condannato a 11 mesi di carcere duro.
Nel 1907 alcuni trentini desideravano solennizzare il centenario della nascita di Garibaldi nel capoluogo (Trento), ma fu loro proibito. Si stabilì di raccogliersi il 21 luglio a Bezzecca. Cesare Battisti telegrafò a Damiano Cis di preparare nell'albergo di proprietà una sala per 200 persone; le autorità austriache a conoscenza dell'adunata fecero sventolare sul Colle la bandiera austriaca. Tutto questo irritò i convenuti, che marciando verso il Colle tolsero la bandiera austriaca sostituendola con un vistoso tricolore che Damiano Cis teneva nascosto nel suo albergo.
Damiano Cis all'inizio della prima Guerra Mondiale espatriò in Italia e divenne ufficiale informatore della I Armata della zona del Trentino. Curiosamente l'albergo dei Cis era dipinto con i colori della bandiera italiana: le mura rosse, i balconi e le porte verdi, i contorni bianchi.






