GUIDA  Città di Castello/Storia

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Indice

Origini

Città di Castello sorge lungo il Tevere. Le prime tracce dell'uomo risalgono allEra Paleolitica Media Inferiore e consistono in palafitte e fondi di capanne, ritrovate sotto all'attuale chiesa di San Francesco, che erano state costruite lungo le rive del fiume. DallEra Neolitica in avanti gli insediamenti si sviluppano principalmente sulle colline circostanti lungo i principali affluenti del Tevere.

Tra lEtà del Bronzo e lEtà del Ferro si insedianrono in zona gli Etruschi sulla sponda destra del Tevere e gli Umbri sulla sponda sinistra. Comunque Città di Castello e i suoi abitanti riuscirono sempre a mantenre una buona indipendenza dagli Etruschi. Questo anche grazie alla posizione strategica che la città cominciò ad acquisire, trovandosi lungo le principali direttrici appenniniche che collegavano le regioni adriatiche con quelle dell'Etruria, al crocevia delle grandi vie di comunicazione e di traffico commerciale che correvano da Sud-Ovest a Nord-Est verso il centro dell'Europa.

Epoca Romana

Dopo il 283 a.C. Roma assorbì progressivamente Città di Castello e l'Alta Valle del Tevere. Al capoluogo della valle viene dato il nome di Tifernum Tiberinum, il quale viene federato a Roma.

Tifernum Tiberinum fu municipio fiorente sin dalla fine del I secolo, anche in virtù della munificenza del potente patrono Plinio il Giovane, che nelle sue epistole scrisse della città e del paesaggio circostante. Si ritiene che il nucleo romano centrale sorgesse in corrispondenza degli attuali rioni Prato e Mattonata, dove sono stati ritrovati un mosaico ascrivibile al II secolo a.C. e porzioni consistenti di antiche mura e di un anfiteatro.

Con la riforma di Diocleziano (285/305 d.C.) Tifernum Tiberinum fu incluso nella provincia “Tuscia et Umbria” sotto la diretta amministrazione romana. A questo periodo viene fatta risalire la diffusione in zona del Cristianesimo per opera del martire San Crescenziano.

La figura più importante nella storia della città nel periodo successivo fu il vescovo Florido, all’epoca di Papa Gregorio Magno (540/604), il quale fece risorgere la città (di cui è patrono con il diacono Sant'Amanzio) dopo la distruzione subita ad opera dei Goti di Totila.

Epoca Bizantina

In epoca Bizantina (VI secolo) Città di Castello divenne parte della Regio Castellorum, la zona di difesa contro l'avanzata dei Longobardi, assunse il nome di Castrum Felicitatis e svolse l'importante funzione di garantire le comunicazioni tra Roma e Ravenna.

La città tuttavia venne comunque assoggettata alla dominazione longobarda finché non passò sotto il dominio dei Franchi e della Chiesa dopo essersi schierata con Re Desiderio contro Pipino. Fu in questo periodo, con la nomina da parte di Re Carlo a vicario della città del Marchese Arimberto del Monte, che iniziò l'influenza dei Bourbon sulla città.

Libero Comune

Costituitasi libero Comune dotato di proprio ordinamento, attorno al 1100 con vasta giurisdizione (da Cortona a Mercatello, da Borgo San Sepolcro a Urbania) Città di Castello subì il contemporaneo dominio di Chiesa e Impero. Ma una volta che recuperò la propria autonomia, la città acquisì una tale influenza politica da divenire punto strategico di importanza determinante tra Perugia ed Arezzo. Ora filo-guelfa, ora filoghibellina, e subì alternativamente la sovranità dei due grandi poteri, con brevi intervalli di libertà. Dopo la lunga sovranità di Federico II, la città si legò a Firenze e tornò definitivamente allo Stato Ecclesiastico, pur con ulteriori momenti di sopravvento ghibellino, con alcune terre altotiberine ancora in mano longobarda e con ulteriore ampliamento della diocesi. Dal 1257 al 1283 la città (denominata sin dal 1230 definitivamente Civitas Castelli) inizia l’espansione edilizia accrescendo da quattro a dieci il numero delle Porte (Capitananze) corrispondenti alle rispettive divisioni del territorio. Lo Statuto comunale del 1261 è volto a conferire ampi poteri al Capitano del Popolo (eletto dal Consiglio Generale) a scapito di quello del podestà. Liberati i servi della gleba nel 1270, tre anni dopo la città si dette un nuovo statuto con nuovi organismi di governo.

Tarlati di Pietramala

Nel 1323/1325 la città cade sotto la signoria dei Tarlati di Pietramala, ghibellini aretini, mentre la signoria dei Malatesta riminesi si estendeva sino a Borgo San Sepolcro. S’accentuò in questo periodo l’ingerenza nella politica tifernate di Firenze i cui Signori erano parenti dei Malatesta e amici/tutori dei Pietramala da cui i Tifernati si liberarono con l’insurrezione del 1334. La crescente potenza raggiunta portò Civitas Castelli anche ad un rilevante sviluppo economico che costituì il presupposto per la notevole importanza che contrassegnò la città per l’intero periodo medievale e soprattutto per tutto il Rinascimento.

Il Rinascimento e lo sviluppo commerciale

Con lo Statuto del 1336 la città venne affidata a otto priori, verso la metà del ‘300 nacque la figura del vicario (nominato dal commissario pontificio), nel 1371 venne istituito il consiglio degli “otto di balìa”. Tra le 56 corporazioni di Arti e Mestieri (quali Coltriciai, Sartori, Calzolari e Conciatori, Tintori, Pellicciai, Guardaioli e Bambagiai, Cimatori), governate da speciali statuti, attive nel territorio, da notare in particolare la floridezza che raggiunse da quella dei Lanaioli; la fioritura di botteghe per la lavorazione delle stoffe e dei panni attrasse mercanti da Firenze, favorita dai buoni rapporti con la città medicea. Sin dalla fine del ‘200 la stessa famiglia Vitelli, destinata a divenire la Signoria locale, si affermò come famiglia di rango che esercita la mercatura. L’Università dei Lanari assurse a tale prestigio che il Comune gli concesse l’ospedale di San Giacomo situato nella via che ha mantenuto l’antica denominazione.

I conflitti e la supremazia dei Vitelli

Alla supremazia di Brancaleone Guelfucci nel ‘300 venne posta fine con la sollevazione del 1375 appoggiata dai Fiorentini con il recupero della libertà di un comune peraltro ormai connotato da un governo degenerato in una sorta di oligarchia. Dopo ulteriori rivolgimenti interni e lotte con i potenti vicini, Città di Castello venne sottomessa da Braccio Fortebraccio (1422/1424). Dopo una serie di lotte cruente tra le maggiori famiglie tifernati per il predominio sulla città, per qualche tempo in mano ai Montefeltro, e successivamente sotto la protezione dei Fiorentini, emerse con forza il casato dei Vitelli. Con Vitellozzo prima e con Niccolò poi, i Vitelli raggiunsero l’egemonia assoluta.

Nel 1474 Niccolò difese la città dall’assalto pontificio nel corso dei memorabili 80 giorni d’assedio. Sconfitto ed esiliato da Papa Sisto IV ad Urbino, otto anni dopo liberò la città sotto le insegne dei Medici con l’aiuto dei Montefeltro, meritandosi l’appellativo di “Padre della Patria”. Gli successero Paolo e Vitellozzo Vitelli.

Polo Artistico Rinascimentale

I meriti della loro Signoria non furono solo politici. Quelli maggiori e più duraturi sono quelli di natura artistica. Il loro mecenatismo fece di Città di Castello un nodo strategico di varie tendenze artistiche sino a farla divenire un angolo di Toscana in terra umbra per lo stile architettonico delle dimore e dei palazzi, chiaramente ispirati al gusto fiorentino. Nell’epoca a cavallo tra XV e XVI secolo alcuni tra i più importanti artisti della penisola si videro commissionare opere a Città di Castello: da Raffaello a Luca Signorelli, da Vasari al Parmigianino, da Gentile da Fabriano a Rosso Fiorentino, dal Doceno al Ghirlandaio. La città divenne luogo di gradevole benessere dove vissero non solo nobili e guerrieri ma anche “infiniti letterati et valentissimi dottori”, mentre s’impose la nascente arte della stampa che viene fatta risalire al 1538 con Magister Mazzocchi. I frequenti terremoti, le ripetute pestilenze (terribili furono già quelle del 1347 e del 1400) e le piene del Tevere (tremenda quella del 1557) costituirono flagelli ricorrenti (anche se servirono a mitigare le guerre intestine e a favorire periodi di tregua) mentre furono le feste a contribuire a fare della città un “luogo di molto piacere” e ad alimentare la fama degli abitanti quali “gente ospitale e munifica”.

Nello Stato Pontificio

Dopo un breve dominio del Duca Valentino, che nel sanguinoso “convegno di Senigallia” (1502) fece assassinare anche Vitellozzo Vitelli, la città perse gradualmente la propria influenza e cadde definitivamente sotto il dominio dello Stato della Chiesa, anche se per tutto il ‘500 continuò ad essere governata dai Vitelli, tra i quali emerse la figura di Alessandro, uno dei più valorosi condottieri del suo tempo. Arroccata entro le sue mura nel ‘600 Città di Castello non subì altre trasformazioni profonde anche se a livello urbanistico furono potenziati gli elementi strutturali controriformistici mentre dilagò il gusto barocco. La politica pontificia penalizzò sensibilmente la città che viene progressivamente chiusa agli scambi commerciali con l’esterno ed esclusa dalle principali vie di comunicazione, gravata per di più, quale terra di confine, da dazi e gabelle doganali; uno scenario contrassegnato oltretutto dalle ripetute pestilenze come quella del 1631 con conseguente carestia che fece molte vittime. Figura centrale del secolo fu quella della cappuccina Suor Veronica Giuliani, autrice di un’esperienza ascetica eccezionale, stimmatizzata e acclamata Santa già in vita.

Le molte confraternite in cui si riunirono le rappresentanze artigianali di arti e mestieri, non riuscirono a costituire un fenomeno economicamente portante, mentre il buio culturale venne mitigato dalla fioritura di numerose Accademie, la più importante delle quali, quella degli Illuminati, edificò nel 1666 il Teatro, quarta struttura del genere sorta in Italia.

La Repubblica Cisalpina

Città di Castello fu la prima città umbra ad adottare, alla fine del ‘700, gli Statuti della Rivoluzione giacobina con l’ingresso delle truppe cisalpine (13 gennaio 1798) cui seguirono (1 febbraio) i Francesi. Con la proclamazione della Repubblica Romana (15 febbraio), nella piazza principale venne innalzato l’Albero della Libertà ma di quel periodo la memoria maggiore resta purtroppo la spoliazione artistica del territorio con la perdita del capolavoro di Raffaello, “Lo Sposalizio della Vergine”, consegnato al comandante della legione napoleonica occupante (29 gennaio).

Un anno terribile per la città massacrata da un tremendo sisma (30 settembre), che seguiva quello terribile di nove anni prima. Tutti i tentativi esperiti nell’800 per rientrare in possesso dell’eccezionale opera del Sanzio risultarono vani nonostante la dimostrata illegalità della depredazione, perpetrata contro il volere stesso della municipalità rivoluzionaria.

La rivolta contadina al grido di “viva Maria”(un motto che copriva la parola d’ordine di morte ai Repubblicani, ai Giacobini, agli Ebrei) dal clero e dagli aristocratici s’impose in un paio di mesi e il 5 maggio i 150 soldati francesi furono uccisi insieme ai componenti la municipalità repubblicana e lo stesso presidente, sen. Giulio Bufalini, ex Marchese. Ripresa in mano dai Transalpini una settimana dopo, al termine di un anno travagliato, nel giugno 1799, cancellate le istituzioni borghesi repubblicane, Città di Castello fu occupata dalle truppe austro-aretine che ristabilirono il potere pontificio, restaurando il previgente regime.

Dalla restaurazione all'Unità d'Italia

Nella prima metà dell’ '800 Città di Castello ebbe tre brevi parentesi di libertà: l’annessione all’Impero Napoleonico (1809-1814) che portò anche a Città di Castello, fra l’altro, l’abolizione della tassa sul macinato e l’istituzione dell’ufficio di stato civile; la costituzione, nel 1831, di un Comitato Provvisorio, sull’onda dei primi rivolgimenti risorgimentali; l’adesione alla Repubblica Romana nel 1849, preceduta dai significativi eventi della formazione della Guardia Civica e dalla cacciata dei Gesuiti, che vide molti Tifernati, tra i quali Fulgenzio Fabrizi cadere in nome della libertà, contro gli Austriaci.

Città di Castello si liberò dal dominio pontificio con l’ingresso delle truppe piemontesi del generale Fanti, l’11 settembre 1860, e il Plebiscito di adesione al Regno d’Italia.

La Seconda Guerra Mondiale

Gli altri fatti salienti ci portano alla Seconda Guerra Mondiale, che ha effetti devastanti sulla città che subisce 11 bombardamenti nelle settimane immediatamente precedenti la liberazione da parte degli Alleati (22 luglio 1944) con la distruzione di ponti, ferrovia, acquedotto, fabbricati civili e industriali nonché i gravi danni al Torrione di Porta Santa Maria. La guerra partigiana fu condotta nel territorio dalla Brigata d’Urto “San Faustino” e dalla “Pio Borri” nelle quali erano confluiti numerosi giovani, la maggior parte dei quali, si arruolò poi nei ranghi della divisione “Cremona”, continuando verso nord la guerra di Liberazione.

Il tenente colonnello Venanzio Gabriotti, già medaglia al valor militare nel primo conflitto mondiale nonché esponente politico regionale di primo piano e amico personale del Vescovo Carlo Liviero (personaggio di spicco della vita cittadina tra le due guerre), pagò con la vita la sua fede nella libertà e fu trucidato dai nazisti e fascisti sul greto del torrente Scatorbia il 9 maggio 1944.