GUIDA La Thuile/Miti e Leggende
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Miti e Leggende
- In ogni comunità,nell’ambito delle tradizioni,si tramandano di generazione in generazione,le leggende locali.Per quanto attiene il Comune di La Thuile , eccone alcune:
- 1. La leggenda del Rutor: nella notte dei tempi, dove ora c’è il grande Ghiacciaio del Rutor, c’erano verdi pascoli e alberi fioriti e vi viveva un pastore che aveva molte mucche. Un giorno un mendicante andò a bussare alla sua porta chiedendo umilmente un po’ di latte per intingere il suo pane raffermo. Il pastore, che in quel momento stava riempiendo un enorme calderone di latte assieme a due aiutanti, gli rispose in malo modo di andarsene, aggiungendo che piuttosto il latte lo avrebbe rovesciato tutto per i prati. E così dicendo ordinò ai due servi di eseguire l'ordine. Il mendicante guardò il latte che colava e disse: "Ahimè, come si imbiancano i prati". Poi alzò gli occhi al cielo e disse: "Ecco, arrivano le nuvole". Mentre il pastore guardò in alto e vide che molte grandi nuvole scure cominciavano a coprire il sole ed una fitta nebbia si abbassava avvolgendo ogni cosa, il mendicante sparì e cominciò a nevicare. Nevicò per tanti giorni e tante notti, fino a che tutto fu coperto da uno spesso strato di neve, che non si sciolse mai più e formò il grande Ghiacciaio del Rutor.
- 2. Le pecore: un pastore, ritornando verso sera dal pascolo, si accorse che gli mancavano una decina di pecore. Le cercò dappertutto per diversi giorni, facendosi aiutare da altri pastori suoi amici, ma nessuno le trovò più. Poiché era il mese di ottobre, il pastore fu costretto a scendere a La Thuile con dieci pecore in meno e trascorse l’intero inverno cercando di immaginare dove potessero essere andate a finire le altre. All’inizio dell’estate successiva ritornò ai piedi del Monte Rutor con le sue pecore. Dopo alcuni giorni, in compagnia di altri pastori, si avventurò verso il ghiacciaio per una breve escursione e, superata la morena, decisero di spingersi fino alla Testa del Rutor. Ad un certo punto udirono dei belati, si misero a correre ed in un posto riparato tra le rocce, ritrovarono le dieci pecore che furono riconosciute dal pastore come proprie. Si chiese: Come erano arrivate fin lassù? E soprattutto come avevano fatto a resistere per tutto l’inverno? La cosa è sempre rimasta un mistero, ma quella località è adesso chiamata "Anvergnure" (altri, invece, dicono che quel luogo si chiami così perché è un posto dove i camosci d’inverno possono trovare da mangiare).
- 3. Uno scheletro a "Comba Chorda": verso la fine del 1800 un giovane pastore di La Thuile , una sera tornò dal pascolo con alcune pecore in meno e raccontò che gli erano scappate. Sgridato dal padrone fu subito mandato indietro a cercarle ma, da quel momento, nessuno ritrovò più né lui né le pecore. Trascorsi 40 anni, due cacciatori (battendo la zona alla ricerca di camosci e fermatisi per riposarsi) scorsero uno scheletro disteso, con la testa appoggiata ad un sasso ed un bastone ancora stretto nella mano. Lo guardarono sorpresi senza toccarlo e capirono che, per trovarsi in quella posizione, doveva essere stato colpito dal "mal di montagna" che lo portò alla morte. Recarono la notizia in paese dove pochi, all’infuori della famiglia, si ricordavano ancora di quel pastorello scomparso ed una sorella, accompagnata dai due cacciatori e da altra gente, salì fino al luogo del ritrovamento e riconobbe un pezzo di stoffa dei pantaloni del fratello ed il suo bastone. Riportato lo scheletro in paese si fecero le esequie ed in quell’occasione la sorella rivelò un fatto strano accaduto il giorno della morte del fratello: "a quel tempo, mentre si trovava a Morgex presso una famiglia a fare da balia ad un bambino, passò a trovarla suo padre con alcuni amici. Mentre bevevano del'ottimo vino bianco locale, alla seconda mescita dei bicchieri, il padre notò che il suo vino aveva cambiato gusto diventando dolce. Riferì ciò agli amici, tutti ne assaggiarono e poterono constatare che era diverso, molto dolce, al contrario del vino degli altri bicchieri che aveva il solito gusto. "Il va m’arriver un maleur" - disse il padre - ed uscì da quella casa molto turbato. Gli amici cercarono di distrarlo ma lui ripeteva sempre più spaventato: "C’est un signe... c’est un signe...". Quando tornò a La Thuile , seppe della disgrazia accaduta a suo figlio, ne ebbe un gran dolore e morì prima che lo stesso potesse essere ritrovato".
- 4. Uno strano pellegrino: sulla strada che porta al Colle del Piccolo San Bernardo, tanti secoli fa, esisteva un villaggio (denominato La Dzoü) i cui resti si possono scorgere ancora oggi. Si narra che nel pomeriggio della vigilia di un Natale, di un inverno molto nevoso, gli abitanti videro avanzare verso il loro nucleo abitato un pellegrino che, giunto alle prime case chiese ospitalità (dicendo di venire da molto lontano e di essere molto stanco). Come era usanza, gli fu offerto da mangiare e da bere e gli fu consentito di andare a riposarsi in un fienile ma, essendo un tipo taciturno non volle dire né chi fosse né da dove venisse e si mostrò anche non troppo contento di ciò che gli era stato offerto. Mentre i paesani partecipavano alla Santa Messa di mezzanotte, in un momento di silenzio tra un canto e l’altro, sentirono suonare a martello le campane e ricevettero la notizia che La Dzoü stava bruciando. Gli uomini corsero subito verso il villaggio nel tentativo di salvare il salvabile, ma tutto bruciava e lo strano pellegrino era scomparso(senza lasciare traccia), né i doganieri in servizio al Colle del Piccolo San Bernardo dissero di averlo visto passare.
- Ve ne sono ancora altre ancora più fantasiose,quali:
- 1. Una burla di carnevale : nel mese di febbraio dell’anno 1869 (durante il periodo di Carnevale) il paese ed i villaggi circostanti erano sepolti sotto cumuli di neve. Una notte, mentre gli abitanti dormivano profondamente, al Colle del Piccolo San Bernardo (presso il locale Ospizio ) quattro uomini di passaggio chiacchieravano allegramente, riuniti intorno al fuoco. Uno di questi, dopo aver conversato su vari argomenti, lanciò un grido che a stento cercò di trattenere in quanto una strana idea gli era balenata in mente ed i suoi occhi si erano illuminati mentre la sua bocca, sorridente, annunciava un singolare progetto. Ecco cosa disse ai compagni: "Diamo ai Thuilains (abitanti di La Thuile ) lo spettacolo di un passaggio notturno di truppe francesi sulle nostre montagne? Sarà il coronamento del Carnevale!" A quest’idea l’immaginazione di tutti prese fuoco ed in pochi minuti i piani furono preparati: vennero decisi i luoghi dove passare e le persone che avrebbero dovuto prendervi parte. Il giorno dopo, martedì grasso, un uomo che scendeva dal Colle del Piccolo San Bernardo in direzione di La Thuile fu incaricato di dare l’allarme. Fedele all’incarico ricevuto, egli ripeté a tutte le persone che incontrò: "Dall’altra parte del colle c’è un grande movimento di truppe e questa notte le vedrete passare". In poche ore la terribile notizia fece il giro di tutto il paese. C’era già chi assicurava che le truppe Francesi erano al Colle, pronte a scendere al calar della notte; c’era chi faceva il nome dei Battaglion; c’era persino chi valutava il numero dei soldati. Lo spavento divenne generale ed i giovani che si erano riuniti per ballare si dispersero. Intanto scese la notte e quale angoscia li colse! Tutti i poveri Thuilains (uomini, donne e bambini) si piazzarono di sentinella alle porte e alle finestre delle loro case, gli occhi fissi sulla strada che conduce al Colle, l’orecchio teso, osando appena respirare. Ad un tratto un grido di terrore riecheggiò di villaggio in villaggio: "Ecco i Francesi... Ecco i Francesi... !" Infatti sulla Testa del Caricatore (largo promontorio che domina la cittadina) , erano comparsi dei fuochi che si succedevano, salivano, scendevano nel vallone, simili ad una fiaccolata. Non vi era più alcun dubbio: era la guerra! Le autorità erano turbate e lungi dal calmare lo spavento generale, con atteggiamento calmo, lo aumentavano ancor di più. Molti abitanti della Frazione Petite Golette e Grande Golette raccolsero in fretta le loro cose e traslocarono (si racconta di: un padre di famiglia che mise i suoi bambini in una gerla e li trasportò nel bosco; un altro che nascose sua moglie in una cassapanca; un altro ancora che volle farsi murare in cantina). In mezzo a quello scompiglio generale, uno che doveva essere al corrente dello scherzo, si sforzò di calmare gli animi cercando di convincere la gente che quei terribili fuochi non erano che dei fuochi di gioia. Ma furono sforzi inutili! "Sono i Francesi...! Sono i Francesi...!" Verso le ore ventidue i doganieri fecero ai valligiani, riuniti davanti alla locale Chiesa, una proposta che fu gradita da tutti: "Noi andremo incontro al nemico e se più o meno, tra un’ora, udirete un colpo di pistola, quello sarà il segnale che le truppe avanzano... e vi metterete in salvo. Se non udirete nulla, restate tranquilli!" Gli intrepidi esploratori partirono subito, ben armati, aprendosi a fatica un varco nella neve alta. Ad un certo punto un colpo d’arma da fuoco si fece udire in direzione del Colle del Piccolo San Bernardo (in realtà un doganiere, ostacolato dalla neve, era scivolato e nella caduta un colpo era accidentalmente partito dal suo fucile) ed i Thuilains persero ogni speranza. Ma i doganieri tornarono dalla loro spedizione, spiegarono la fatalità ed assicurarono che la montagna era perfettamente tranquilla. A mezzanotte anche i terribili fuochi scomparvero. Se a quell’ora, qualcuno fosse stato alla Testa del Caricatore , avrebbe visto alcuni uomini ritirarsi a passi lenti ed avrebbe udito il capo di questa pacifica banda dire sorridendo: "Abbiamo rischiato di gelare per portare a passeggio le nostre torce su questa altura e forse a La Thuile nessuno se ne è accorto, all’infuori del grosso cane di Pont Serrand ". E così dicendo, lui ed i suoi ritornavano, gli uni verso l’ Ospizio , gli altri verso la Cantina, senza immaginare il terrore che i loro fuochi avevano sollevato nella vallata.
- Ecco tutto il segreto: alcuni uomini sepolti, durante un interminabile inverno, sotto le nevi delle Alpi, avevano voluto scuotere per un istante la noia che pesava su di loro ed avevano pensato di far divertire i loro vicini di La Thuile rialzando il tono dell’ultima notte di Carnevale. Ma questo fatto tragico-comico sta a dimostrare una cosa: i Thuilains dovettero soffrire moltissimo a causa delle invasioni Francesi, si i loro discendenti, secoli più tardi, subivano ancora gli stessi loro spaventi.
- 2. La battaglia delle "Tsoudire" : le truppe Francesi, durante una loro ritirata, entrarono con prepotenza nelle stalle e portarono via ai Thuilains tutte le "tsoüdire" (grossi recipienti, per lo più in rame, che ancora oggi servono per la lavorazione del latte), in quanto nessuno degli abitanti aveva pensato a nasconderle. Cosa potevano farsene? Il rame non serve per fare i cannoni, né i fucili. Le avevano prese semplicemente per rivenderle ai contadini della Savoia (nel versante Francese) e ricavare così un po’ di denaro. Infatti le caricarono sui muli, le trasportarono fino a Bourg Saint Maurice e qui le vendettero anche a poco prezzo perché era scomodo trasportarle più lontano. Dal termine della guerra, ogni anno, a Bourg Saint Maurice si teneva la fiera che richiamava gente da tutta la Savoia ed anche i Thuilains andavano là a fare i loro acquisti, attraversando a piedi il Colle del Piccolo San Bernardo. Guardando gli oggetti esposti, furono colpiti dalla quantità di "tsoüdire" messe in vendita ed osservandole più attentamente molti riconobbero quelle che i soldati avevano rubato loro. Cominciarono le discussioni: i Thuilains le volevano indietro perché erano state rubate mentre i venditori non le volevano mollare perché le avevano pagate. Dalle parole si passò ai fatti e ben presto nacque una zuffa generale, ma la maggior parte dei Thuilains riuscì a riportarsi a casa le sue "tsoüdire".
- 3. La campana del "Moulin" : le truppe Francesi, durante una delle tante invasioni, oltre ad incendiare, a saccheggiare ed a rubare nelle case, si misero anche a togliere tutte le campane delle Cappelle. Le prendevano e le portavano in Francia , dove le facevano fondere per costruire i cannoni. Tutti gli abitanti dei villaggi uscivano dalle case, si riunivano intorno alle Cappelle e cercavano di impedire ai soldati di salire sui campanili, ma potevano solo protestare, perché i soldati erano armati e se li facevano troppo arrabbiare, potevano anche sparare e uccidere. I soldati, che scendevano dal Colle del Piccolo San Bernardo, giungendo nel paese da sud ovest, cominciarono a togliere le campane delle Frazioni di Pont Serrand e di Petite Golette e Grande Golette, e la notizia del misfatto fece in tempo a diffondersi in tutta la vallata e ad arrivare fino al "Trofajo". Qui, e precisamente nella zona delle Frazioni Moulin - Thovex e Buic , avvenne un fatto quasi comico, di cui si parla ancora adesso. Tutti erano dispiaciuti di perdere le campane, perché erano costate molte giornate di lavoro, quando ad una donna venne un’idea geniale. Disse ad alcuni uomini presenti di tirare giù la campana e corse a casa a prendere un sacco. Disse ad altri di fare un bel buco nel suo letamaio e la campana, rinchiusa ben bene nel sacco, fu sepolta sotto due metri di letame. Quando arrivarono, i Francesi appoggiarono una scala al campanile e salirono, ma non trovarono nulla. Gli abitanti della Frazione Moulin dissero con indifferenza che su quel campanile la campana non c’era mai stata. I soldati non ne erano affatto convinti e misero sottosopra tutte le case, frugando nelle cantine, nelle soffitte, nei fienili e nelle stalle. Non venne loro in mente di scavare nei letamai e così la campana fu salva. Dopo un po’ di tempo, passato il pericolo, la campana fu dissotterrata, ripulita e rimessa a posto (oggi è ancora lì che suona in ogni occasione lieta o triste).
- 4. L'orologio di "Pont Serrand" : nella Chiesetta di Pont Serrand , dedicata allora come adesso a San Bernardo, vi era un bell’orologio a pendolo, antico e forse di grande valore. Per paura che le truppe Francesi lo rubassero durante una delle loro invasioni attraverso il Colle del Piccolo San Bernardo , decisero di nasconderlo e l’unico modo per non farlo trovare era quello di seppellirlo. Una notte tre uomini si misero d’accordo e trasportarono l’orologio in un prato non tanto distante dal villaggio, appena al di là del torrente. Fecero un buco profondo e lo sotterrarono. Ritornati in paese non vollero rivelare a nessuno il punto preciso in cui l’avevano messo, per paura che qualche male intenzionato andasse a rubarlo. Mantennero il segreto tra loro tre e tutti dicevano che facevano bene a non rivelarlo. I Francesi arrivarono, ma non si fermarono. Andarono fino in Piemonte, poi tornarono indietro. Ma i tempi non erano tranquilli; la guerra continuava tra la Francia ed il Piemonte e gli abitanti di Pont Serrand preferirono lasciare l’orologio dov’era finché non fosse tornata la pace sicura. Purtroppo, e non si sa come andarono le cose (forse dovettero andare in guerra; forse per malattia o forse per disgrazia), tutti e tre gli uomini che avevano sepolto l’orologio morirono nel volgere di poco tempo). Nessuno ritrovò più l’orologio! I vecchi, che più o meno sapevano la zona dove era sepolto ed ancora oggi l’orologio deve essere sotto terra.
- 5. Pecore prigioniere nella Cappella : il mattino del 20 luglio 1868 un pastore, che pascolava il suo gregge nei pressi del Lago del Ruitor (formato dal disgelo del Ghiacciaio del Rutor ) , si accorse che gli mancavano undici montoni. Cominciò a cercarli dappertutto, dove lo consigliavano la pratica e l’esperienza, ma le sue ricerche furono vane. Anche i proprietari dei montoni ordinarono delle ricerche minuziose, ma anche queste furono inutili. Tutta la gente di La Thuile fu ben presto messa al corrente dell’accaduto ed ognuno faceva le sue ipotesi: chi pensava che i montoni fossero precipitati in qualche crepaccio del ghiacciaio; chi pensava che fossero penetrati in qualche anfratto roccioso; chi diceva che era un furto; a tutti però la cosa sembrava molto strana. Dopo una settimana si cominciò a non parlarne più ad esclusione dei proprietari degli animali in quanto, per loro, la perdita del bestiame è sempre grave. Vicino al Lago del Ruitor esiste una Cappella situata dietro una prominenza rocciosa che delimita il lago a sud-ovest. La porta di questa Cappella è abitualmente aperta per garantire un rifugio ai cacciatori in caso di temporale. Del resto i ladri non avrebbero nulla da rubare in questo luogo deserto ed all’interno del piccolo edificio non vi era che un crocefisso deforme e due statue di legno mutilate, corrose dal tempo e di un colore nerastro (esse raffiguravano Santa Margherita e San Grato). Tredici giorni dopo la scomparsa dei montoni, il 2 agosto, un certo Pierre Chenal di La Thuile , ebbe occasione di attraversare la zona, ad una certa distanza dalla Cappella, accompagnato dal suo cane. Senza che il padrone se ne accorgesse, quest’ultimo sparì. Chenal lo chiamò e lo sentì abbaiare: lo scorse vicino all’umile Cappella. Raggiuntolo si stupì di trovare la porta chiusa, a differenza del solito. Ancor più si stupì quando udì giungere dall’interno un rumore confuso di respiri affannosi e di rantoli continui. Chenal si spaventò. Provò a spingere la porta, ma incontrò una certa resistenza. Allora la spinse con forza a la porta cedette. I suoi occhi distinsero a mala pena nell’oscurità... dei montoni! Ed un odore fetido quasi lo soffocò. La sua sorpresa e la sua emozione furono grandi. Senza soffermarsi troppo andò a cercare un certo Jean-Baptiste Vassoney , che sapeva essere a poca distanza da là. Quest’ultimo credette dapprima che il suo amico volesse prenderlo in giro. Infine, dopo qualche spiegazione andarono a verificare il fatto insieme. Penetrarono nella stretta Cappella. Era un luogo di terrore ove sembravano essersi rinnovati i cruenti sacrifici dei secoli pagani. Vi trovarono undici montoni che parevano ammucchiati, tanto erano allo stretto. Due pecore ed un giovane montone erano già morti. Essi erano privi di una parte della loro lana perché probabilmente gli altri l’avevano strappata per nutrirsi. Questi ultimi erano in piedi. Avevano un’aria stordita, la testa bassa, il muso gonfio, gli occhi socchiusi e quasi immobili. La loro magrezza era estrema. Le statue dei Santi erano state rovesciate ed erano rotolate nel fango, sotto i piedi delle vittime. Un montone aveva preso il loro posto. In piedi sull’altare, esso sembrava offrirsi alla venerazione dei suoi compagni di sventura e sembrava incoraggiarli nella loro sofferenza. Invece era salito là per proprio conto. Per stare più largo esso si era rifugiato sull’altare, probabilmente fin dai primi giorni della sua prigionia, a giudicarne dalle tracce. I due montanari si dettero da fare per riportare in libertà quei prigionieri di nuovo genere. Non fu una cosa facile. Bisognò, per farli uscire, trasportarli uno a uno tanto la loro esistenza ere compromessa. L’aria pura sembrò agitarli e render più vivo il dolore che si era impadronito delle loro membra, unica cosa che sembrasse animarli un po’; vacillarono sulle loro deboli gambe, le loro forze erano esaurite tanto da non poter sostenere la loro testa pesante, che ricadeva mollemente. Il loro appetito era talmente paralizzato che l’erba fiorita li lasciava indifferenti. Si abbeverarono ripetutamente, tanto da stupire i due montanari. Era giunto intanto il calar della notte. Chenal e Vassoney si ritirarono in un vicino chalet e dovettero abbandonare i montoni a se stessi. La loro vita era in pericolo mal grado la libertà recuperata e malgrado il loro istinto. Infatti l’indomani mattina trovarono due montoni morti, là dove li avevano lasciati la vigilia. Anche un terzo morì, vicino al Ghiacciaio del Rutor, a breve distanza dalla Cappella. Delle undici vittime che la morte aveva segnato, cinque sfuggirono, ma essa aveva avuto cura di abbattere le più grasse. Tutti questi montoni, di cui quattro pecore e sette maschi, furono riconosciuti per essere quelli che si erano persi alla fine del mese di luglio. Il calore del sole, così contrario a questi animali li aveva spinti a cercare l’ombra. Il caso li condusse nella cappella di Santa Margherita. Spingendosi si sbarrarono la porta poiché questa si chiudeva dal di dentro al di fuori. E fu così che cercando la libertà, essi trovarono invece un’austera prigionia per tredici lunghi giorni.
- 6. Le pecore di "Tsavarettaz" : all’inizio del XX secolo ed in un’estate molto calda, un pastore di nome Jean-Joseph Berger , aveva portato a pascolare le proprie pecore (in località Tsavarettaz ) e, constatato che le stesse brucavano placidamente, si era coricato all’ombra di un sasso e si era addormentato. Ma anche le pecore ad un certo punto sentirono molto caldo e cominciarono ad ammucchiarsi le une contro le altre ed a nascondere la testa per tenerla all’ombra. Così facendo cominciarono a spingersi e pian piano tutto il gregge si spostò verso il limite del pascolo, dove il fianco della montagna scende quasi a strapiombo su una località sottostante chiamata Arpettaz. Arrivate sul bordo del dirupo, alcune pecore cominciarono a precipitare, senza che il pastore (che continuava a dormire) si accorgesse di nulla. Altri pastori che pascolavano il gregge dall’altra parte del vallone, verso l’ Orgère , se ne accorsero e cominciarono a gridare. Ma il pastore non si svegliò, mentre le pecore continuavano a precipitare. Resisi conto di quello che stava succedendo, due di loro lasciarono il loro gregge alla custodia di un terzo, si misero a correre, attraversarono il ponte e risalirono il fianco della montagna. Arrivati a Tsavarettaz , uno andò a fermare le pecore, mentre l’altro andò a cercare il pastore. Il primo riuscì a fatica a fermare il gregge che sembrava irresistibilmente attratto dal burrone ed il secondo faticò un po’ a trovare il pastore, a svegliarlo ed a fargli capire ciò che stava succedendo. Riportato il gregge in località sicura, scesero tutti e tre all’ Arpettaz per cercare di recuperare i montoni precipitati e ne trovarono ventisette, tutti morti.
- 7. Il tesoro di "San di Mor" : vicino alla Frazione Petite Golette e Grande Golette, nel punto in cui l’antica rotabile del Colle del Piccolo San Bernardo incrocia l'attuale Strada Statale 26 , c’è un campo che tutti ancora oggi chiamano "lo san di mor", cioè il campo dei morti. Infatti, nell’anno 1793, durante la guerra che si svolgeva al Traverset tra le truppe del Re di Spagna ed i rivoluzionari Francesi , scoppiò una violenta epidemia che colpì i soldati e la popolazione. I morti erano tanti e venivano sepolti in questo campo chiamato la "madeleira" in quanto, lì vicino, c’era un’antica Cappella dedicata a Santa Maddalena (adesso non esiste più ed è stata sostituita da una villa). Un giorno (non si sa di quale anno) arrivarono a La Thuile due stranieri muniti di un vecchio documento e cominciarono a scavare nel campo dei morti. Le loro ricerche furono vane, ma tutti capirono che lì doveva esserci un tesoro. Alcuni anni dopo, verso l'anno 1870, fu iniziata la costruzione della nuova strada per il Colle del Piccolo San Bernardo e tra gli operai che vi lavoravano al cantiere della Frazione Petite Golette e Grande Golette c’era un biellese che, scavando, dovette trovare qualcosa di molto importante, perché il suo comportamento si fece strano e sospettoso. Una notte i suoi compagni lo videro alzarsi in silenzio, andare al campo dei morti, dissotterrare qualcosa e fuggire. Doveva essere il tesoro perché l’operaio fuggì senza neppure aspettare di essere pagato. Della cosa fu informato il Comune che ordinò di continuare gli scavi ed infatti fu trovata ancora qualche piccola moneta d’oro: il tesoro di "San di Mor" ;
- 8. Il cavaliere misterioso : la vecchia strada per il Colle del Piccolo San Bernardo è chiamata ancor oggi da tutti "rotte villie". Nel tratto che va dalla località Faubourg de l’Etoile alla Frazione Petite Golette e Grande Golette vi è una piccola Cappella dedicata a Santa Barbara e vicino ad essa l’acqua di un ruscello che, scendendo dal Monte Belleface , forma un bel getto d’acqua. Un giorno, una fanciulla che abitava al Faubourg si recò qui a lavare e ad un tratto udì alle sue spalle il rumore degli zoccoli di un cavallo. Si voltò e lungo il sentiero vide avanzare un cavaliere. Questo, arrivato vicino alla Cappella, scese e chiese se poteva far bere il suo cavallo. La ragazza tolse i panni ed il cavallo bevve a lungo (intanto la ragazza si sentiva addosso gli occhi del cavaliere che aveva uno sguardo strano e molto intenso, ma per timidezza non lo guardava). Quando il cavallo ebbe finito di bere, il cavaliere risalì in groppa e salutò la ragazza, ma dopo aver fatto qualche passo verso la Petite Golette e Grande Golette si fermò e tornò indietro. Fu allora che chiese alla fanciulla se le fosse piaciuto andare via con lui. Ella rispose un no deciso, ma lui insistette (guardando la fanciulla con uno sguardo talmente magnetico che lei poverina non osava muoversi). Il cavaliere insisteva ancora, promettendo alla fanciulla ogni felicità, e ad un tratto la ragazza sentì che il suo scialle si sfilava dalle sue braccia. Si guardò le spalle e vide lo scialle volare dal cavaliere che era a qualche metro di distanza. Fece appena in tempo a vedere che questi lo prendeva al volo, poi, terrorizzata, si voltò e scappò a casa. Chiuse precipitosamente la porta a chiave e quando, molto tempo dopo osò andare alla finestra, la strada era deserta. Solo alcuni giorni dopo osò andare a prendere i suoi panni.
- 9. La Conta de la "Cheregouda" : lungo la strada molto ripida che porta alla località La Joux e prima di arrivare alla località Forchetta c’è una curva chiamata ancor oggi "lo detor du noublo" (e tale nome è assegnato a tutta la zona circostante). Non se ne conosce il motivo ma si racconta che in un tempo molto lontano, in quel luogo, avvenivano strane riunioni notturne. Chi di notte si era trovato a passare nelle vicinanze aveva riferito di aver visto strane luci provenire da fuochi accesi dei quali, il giorno dopo, non restava alcuna traccia e chi aveva avuto il coraggio di avvicinarsi aveva visto strani esseri danzare intorno. Potevano essere riunioni di streghe, di diavoli o di fantasmi di anime dannate. Alcuni riferirono, però, che li avevano visti mangiare e bere ed altri che li avevano uditi emettere strani suoni. Le riunioni erano accompagnate da un gran numero di catene, rumore che a volte era stato udito anche di giorno. Certo non dovevano essere in molti ad avere il coraggio di avventurarsi di notte in quella zona. Più numerosi erano senz’altro coloro che avevano occasione di passare di giorno. Sparsasi in paese la voce che una di quelle riunioni aveva avuto luogo una notte, degli uomini un po’ più coraggiosi decisero di ritornarvi di giorno. Non vi trovarono più alcuna traccia, ma mentre si aggiravano tra i casolari, improvvisamente udirono grugnire. Si fermarono meravigliati e non osarono più proseguire perché ben sapevano che lì non potevano esserci maiali.
- 10. Il fantasma del Lago Rutor : un giorno un cacciatore che abitava a La Thuile , di nome Pantaléon Dottin , decise di andare a caccia nei pressi del Lago del Rutor . Mentre camminava tranquillo, giunse nei pressi della località (allora detta) "le gex du Rhutors" e vide sbucare all’improvviso una lepre bianca. Prese il fucile e fece fuoco, ma non la colpì. Sparò una seconda volta, ma fu di nuovo invano. Allora si meravigliò molto perché era sempre stato un buon tiratore e quasi mai aveva mancato un bersaglio. La lepre intanto continuava a scappare verso il lago e il cacciatore la inseguì. Arrivata nei pressi del lago, la lepre bianca si nascose in un buco e non ricomparve più. Allora Pantaléon Dottin , dalla rabbia gettò via il fucile. Poi scese in riva al lago e mise un segno per vedere di quanto aumentava (da qualche anno il lago straripava e provocava delle violente inondazioni). Mangiò un boccone e si addormentò, ma continuava sempre a pensare a quella strana lepre bianca che era stata più furba di lui. Al suo risveglio andò a controllare di nuovo il livello del lago e trovò che era cresciuto di un dito. Si diresse allora verso l’imboccatura per vedere se l’acqua colasse regolarmente, deciso anche a recuperare il suo fucile. Cammin facendo sentì una voce simile a quella di un cacciatore suo amico e vide un uomo seduto su un masso, con la faccia girata verso il lago e gli disse: Oh l’homme, nous en allons nous? Allora l’uomo, che era seduto, si alzò e Pantaléon , dopo averlo ben scrutato, si accorse che era uno spirito e non un uomo. Il poveretto, tremando dalla paura, fece qualche passo indietro, dicendo: Jésus! Il fantasma era quello di un uomo con cui Pantaléon aveva mangiato e bevuto molte volte prima che morisse. Questo, dopo un po’ gli rivolse la parola in questi termini: Ne te baille point peur, car je ne porterai point dommage ed il acciatore rispose: Je n’estime point que tu me puisses porter aucune dommage, car j’ai le ferme foi en Dieu . Il fantasma proseguì: Ne me connais tu pas? Ed il cacciatore, sempre più tremante rispose: Oui, mais je n’estimais pas que vous fuissiez ici d’autant qu’il y a longtemps que vous êtes allés en Dieu! Poi lo spirito lo incaricò di portare un messaggio ai suoi parenti (cosa che Pantaléon fece, ma non volle mai rivelarlo a nessun altro dicendo che il fantasma glielo aveva detto in confessione). Alla fine il cacciatore prese il coraggio a quattro mani e chiese allo spirito se il lago sarebbe straripato ancora e se avrebbe causato ancora gravi danni. Lui rispose: Ils sont des secrets à Dieu, il n’est pas à faire à moi de le savoir, mais pourvu que vous accomplissez la résolution prise se de fonder une chapelle à l’honneur de Monsieur Saint Grat, et qu’on lui vienne célébrer la messe une fois l’année, que le dit lac remplisse tout ce qu’il voudra, il ne portera point dommage! A questo punto Pantaléon non ne poté più; sudava a grosse gocce e disse allo spirito che desiderava andarsene, perchè le gambe gli mancavano. A Dieu , disse lo spirito. A Dieu , rispose il cacciatore mentre il fantasma proseguì: Mais garde-toi bien de tirer davantage de ton arquebuse pour aujourd’hui, nonobstant que tu trouves des bêtes de chasse, comme chamois ou lièvres blancs . Pantaléon Dottin scappò via e si mise a correre per quanto le sue povere gambe glielo consentivano. Ogni tanto vedeva qualche bestia, ma girava la testa dall’altra parte. Il suo fucile restò muto. Arrivato in paese si mise a letto ammalato e vi rimase molti giorni. Mandò solo a chiamare i parenti del fantasma. Quando si fu ristabilito e la paura gli fu passata, andò dal parroco, don Pierre Charvoz e gli raccontò tutto. Questi alcuni giorni dopo gli fece giurare di aver detto la verità e gli fece firmare una deposizione scritta davanti ad un notaio, il Signor Pierre Peclet e davanti al canonico Jean Pascal , inviato dal Vescovo di Aosta . A seguito di questo evento, molti anni più tardi fu edificata la Cappella che ancora oggi esiste.
- 11. La donna a due teste : nella località Tsan di Praz , non lontano della riva destra del torrente che scende dal Monte Ruitor , in un’epoca difficile da precisare, viveva una giovane fanciulla, di nome Maria Berger. I suoi genitori erano certo molto più vicini alla povertà che all’agiatezza. Questa fanciulla è da ricordare ancor oggi perché aveva due teste che crescevano sopra lo stesso busto, due belle teste regolarmente sviluppate, ognuna delle quali aveva dei movimenti autonomi, potendo muoversi, parlare, sorridere, indipendentemente dall’altra. Le loro voci erano melodiose; a volte una delle due cantava mentre l’altra taceva e l’ascoltava; più spesso esse cantavano in coro ed incantavano tutti con i loro melodiosi accordi. La tradizione dice che mai queste due teste manifestarono una qualche gelosia o qualche moto d’ira e di discordia tra di loro. Quando una piangeva l’altra non avrebbe potuto ridere. L’unione più perfetta non cessò un solo istante di regnare tra di loro. Si dice che mai questa ragazza, che passò la sua vita a pascolare le greggi, a filare e a lavorare la terra, poté pensare di allontanarsi dal paese dove era nata, temendo di attirare una indiscreta curiosità non appena avesse cessato di vivere in mezzo ai suoi vicini, abituati ormai a vederla, né mai i suoi genitori la invitarono a farlo. Se fosse vissuta ai nostri giorni, probabilmente sarebbe stata portata in tutte le capitali del mondo e avrebbe fatto senz’altro la fortuna dei suoi genitori. Ma a quei tempi la povertà l’accompagnò fino alla morte. Arrivata al ventiquattresimo anno d’età, una delle due teste si ammalò e verso la fine dello stesso anno non diede più segni di vita. Durante tutto questo tempo l’altra perse il sorriso e non cantò più. Mai ella diede il permesso di asportare la testa sorella, sebbene la decomposizione progredisse sempre di più e cominciasse ad intaccare il corpo. Infine anche ella morì, verso la fine dell’anno seguente. Così le due teste erano ancora attaccate allo stesso busto quando scesero nella tomba. Si possono facilmente immaginare quali poterono essere le sofferenze della testa che sopravvisse alla sua compagna.