GUIDA  Santa Maria di Licodia

Da Wiki.
Pagine Utili sul Comune
Scheda su Santa Maria di Licodia
Mappa Interattiva
Siti licodiesi
Amministrazione Comunale
Statistiche su Santa Maria di Licodia
Inserisci Bollino Wiki
Concorso Fotografico
Concorsofoto.jpg
Foto Santa Maria di Licodia:
2012, 2009, 2008

Santa Maria di Licodia è un comune di 6757 abitanti, situato nella Sicilia Orientale, facente parte della Provincia di Catania e dell'Arcidiocesi di Catania. Il comune sorge a 442 metri s.l.m. sul versante sud occidentale dell'Etna, circondato da lussoreggianti campagne coltivate ad agrumeti, uliveti e vigneti. Il comune fa parte del Parco dell'Etna. e confina con i comuni di: Paternò, Ragalna e Biancavilla. Dista circa venticinque chilometri da Catania.

Indice

Storia

Santa Maria di Licodia, è nata sul sito della antica città di Inessa, la cui origine si fa risalire ai Sicani e la fondazione nel XII o XI secolo a.C. confermata da Polieno Macedone. Nel 461 a.C., a seguito della disfatta di Trastibulo, la città fu occupata dai profughi, di origine Siracusana, provenienti dalla città di Etna (Catania), che ne cambiarono il nome in Etna, in ricordo della loro perduta patria. Nonostante ciò gli storici continuarono a indicare la città con entrambi i nomi. Durante l’occupazione romana la città di Etna era rinomatissima per la coltura del grano. In detto periodo abitavano nella città abili tessitori. Etna faceva parte delle città dette “Decumane”, come altre città siciliane aveva la propria zecca in grado di coniare le proprie monete. Parlano di essa gli itinerari romani, ma nessuno segna l’epoca della sua distruzione. Della città si hanno notizie sino all’epoca imperiale intorno al 117d.C. Il nome Licodia, deriva dal greco e vuol dire, lupo o terra dei lupi, ma secondo altre opinioni significherebbe, bella vista o bella veduta, o bosco. Esisteva, sin dall’epoca saracena, una chiesa dedicata alla Madre di Dio. In tal luogo chiamato Licodia il conte Simone di Policastro volle edificare un monastero. Con diploma datato 6 agosto 1143, donò al Monaco Geremia Cassinese di S Agata, il monastero con tutte le terre ad esso adiacenti, con l’obbligo di renderle fruttuose, sicché il Monaco, che nell’atto di infeudazione ne aveva avuta facoltà, non esitò, a chi ne faceva domanda, a donare un pezzetto di terra da coltivare ed un piccolo spazio nelle adiacenze del monastero, per costruirvi un abitazione. Così cominciarono a sorgere le prime case in quella parte della città denominata Caselle dove ancora si nota qualche rudere risalente a quell’epoca. Così l’antica Inessa, poi Etna, venne riedificata, e dal nome del Monastero di Santa Maria, e da quello della contrada Licodia, si chiamò Santa Maria di Licodia. Per privilegio del vescovo Ruggero, nel dicembre del 1205, il monastero di Santa Maria di Licodia, nella persona del suo priore fra Pietro Celio, già monaco di S. Agata, veniva innalzato alla dignità abbaziale, con facoltà ai successivi Abati di far uso della mitria, dell’anello e del baculo. Nel medesimo tempo veniva assegnato al monastero, il priorato di San Leone del Panacchio, nelle adiacenze di Nicolosi, con le sue pertinenze, di cui l’abate sarebbe stato priore per diritto. Da questo momento la storia dei tre cenobi benedettini, sull’Etna, vede il prevalere di quello di Santa Maria di Licodia, sede abbaziale, il quale ha sott’ordine i due monasteri di San Leone e San Nicolò . Nel 1336 l’abate Jacopo de Soris, con un decreto del marzo 1344 trasferì il monastero più a nord, ossia nell’ attuale sito, dove era la sua residenza, e il quel periodo il casale ebbe uno sviluppo tanto da distinguersi in due siti, Licodia Vetus e Licodia Nova. Con l’edificazione del grande monastero di San Nicolò l’Arena di Catania, nel 1515, 1520 e 1521, il priorato si trasferì dalla sede di Licodia a quella di Catania, nella casa madre rimasero pochi monaci, ma l’abate mantenne il titolo di Santa Maria di Licodia e San Nicolò l’Arena, fino alle leggi soppressive del 1884, che confiscarono i beni alla Chiesa e ai monasteri. Ultimo di essi fu il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet (1818-1894), che per ben due volte visitò il paese, la prima durante l’epidemia colerica del 1867, e la seconda nel 1878, quando concesse di celebrare la festa del Santo Patrono l’ultima domenica di Agosto. Nel 1817 S. Maria di Licodia divenne una borgata dipendente da Paternò, il paese reclamò la sua autonomia, ma le sue lamentele vennero ignorate per ventitré anni, ma per decreto di Ferdinando II del 20 agosto del 1840, dal I gennaio 1841 venne elevato a comune autonomo e indipendente da Paternò. Dal 1841 si dovette sostenere una lite col comune di Paternò per la cessione del territorio, che si concluse l’8 aprile 1878. Per tutto il novecento il paese visse e condivise le sorti dei centri limitrofi. La seconda guerra mondiale, non passò inosservata, anche se i bombardamenti non causarono numeri elevati di vittime, la popolazione infatti aveva trovato scampo nella fuga verso le vigne. La storia recente, ha visto il paese in continuo sviluppo demografico ed economico, grazie anche alla produzione di agrumi e di oliva, che gli ha datoli toponimo di Città dell’olio d’oliva.

Cultura e Luoghi di interesse

La Chiesa Madre SS. Crocifisso

La Chiesa Madre di Santa Maria di Licodia, è l’edificio più significativo della storia licodiese. Essa è discendente diretta dell’Abbazia Benedettina, e benché durante gli anni il vasto patrimonio artistico e architettonico è stato purtroppo mutilato, racchiude tra le sue mura, testimonianze del fasto e del prestigio che detta Abbazia ricoprì nella storia siciliana. Il diploma di Fondazione del 1143 assegna la chiesa al periodo romanico. L’unica testimonianza artistica risalente a questo periodo è la Torre campanaria. L’edificio sacro, dedicato a Santa Maria, subì durante i secoli, modifiche ed ampliamenti, in proporzione alle esigenze dei Padri e al crescente numero degli abitanti del villaggio. Nel 1205, il vescovo Ruggero dichiarava la chiesa Sacramentale. Durante il piano di rinnovamento urbano effettuato nei primi del sec. XIV, dall’abate Jacopo De Sorris, l’edificio subì certamente delle modifiche. Gli abati che si susseguirono negli anni certamente si prodigarono all’accrescimento artistico dell’edificio, con l’aggiunta di opere d’arte. Nel 1734, la Confraternita del Santissimo Sacramento e delle Anime Purganti, per venire incontro alle esigenze cultuali della popolazione, eresse la Chiesa dedicata al Santissimo Crocifisso o Santissimo Salvatore, affiancata alla chiesa monastica, provvista di sacello per le sepolture. Questa divenne parrocchia nel 1754 e tra il 1831 e il 1856 la venne ingrandita. Durante il secolo XIX, a seguito di un progetto che prevedeva un disegno architettonico unitario per la piazza, il disegno di una facciata unica per le due chiese, fu realizzata l’attuale facciata neoclassica, tra il 1855 e il 1856. Nel 1919 in vista dell’aumento della popolazione, si decise di unire le due chiese, mediante l’apertura di tre archi nel muro mediano, che comportò però, la perdita di alcuni altari nelle rispettive navate. Nacque così una tipologia unica per le chiese, le due navate. Il patrimonio artistico della chiesa comprende una degna quantità di tele sculture e arredi liturgici, databili dal secolo XIII al secolo XVIII. Tra le opere pittoriche sono degne di ammirazione la Sacra Famiglia di Giuseppe Rapisardi del 1841, la Madonna Assunta di ignoto autore del secolo XVIII e San Leone di Matteo Desiderato. Le opere lignee da attenzionare sono il Crocifisso del secolo XIII, Santa Gertrude del 1350, San Giuseppe (Patrono del Comune) del secolo XVII, San Benedetto del secolo XVII, l’Immacolata di Francesco Lo Turco del 1753 e San Luigi del secolo XVIII.

La Torre campanaria

Simbolo del comune, la Torre Campanaria, coronata da merli è un opera che risale al 1143. Lo stile è quello di transizione dal romanico al gotico. La pianta è quadrata e la facciata principale è rivolta ad oriente. Le bifore rivolte a ovest, hanno gli archetti con l’intradosso a tutto sesto, e l’estradosso a sesto acuto, decorato con motivi ornamentali e animali di stile romanico. Notevole è l’effetto decorativo della loggia superiore, dato dal contrasto tra la pietra lavica scura e la bianca pietra calcarea. Al pian terreno dell’edificio si osservano tracce della medioevale cappella di San Leone, antico luogo di sepoltura dei monaci.

La fontana del Cherubino

La Fontana del Cherubino, chiamata popolarmente “‘a funtana”, si trova a valle dell’abitato, sotto una rupe basaltica. Esisteva già precedentemente una fonte nel periodo Aragonese, alimentata dalla sorgente naturale L’attuale struttura è del 1757 da come si legge dalla data incisa su una lastra di pietra lavica posta al centro. La struttura architettonica, dalle aggraziate forme barocche, si presenta sobria e armoniosa. L’acqua scaturisce dalle bocche di dieci mascheroni in pietra lavica, posti sotto una fila di archetti cechi posti a guisa di loggia, poggianti su delle colonnine sagomate in pietra calcarea. La struttura, di forma longitudinale, è aggraziata da un acroterio centrale su cui poggiava un tempo lo stemma bazziale.

Il palazzo municipale

Di origini medioevali, più volte ampliato ed trasformato durante i secoli, l’edificio aveva funzione di rappresentanza, in questo corpo di fabbrica prospiciente sul piano centrale ed affiancato alla chiesa monastica, risiedeva infatti l’abate. L’attuale edificio risale al 1646, come è riportato sulla facciata, a metà ottocento, vennero però apportate delle modifiche al prospetto. A seguito della scorporazione di beni ecclesiastici, nel 1860, fu adattato a sede municipale. L’arco in pietra lavica del XII secolo, cavalca via che consente il passaggio in piazza, dal “piano della Badia” attuale piazza Madonna delle Grazie, è il fulcro del prospetto, ed è sovrastato da barocco balcone principale, in pietra bianca. Testimonianze dell’epoca medioevale e delle sovrapposizioni architettoniche dei vari secoli, si notano nella prima sezione della facciata, dove si apre il varco di accesso all’edificio. Il pian terreno è arricchito dalla presenza di elementi gotici e romanici.

Le altre Chiese

  • Chiesa della Madonna del Carmelo. Seconda parrocchia del paese. Edificata su iniziativa del sacerdote Giuseppe Ronsisvalle Corsaro nel 1929. Presenta al suo interno interessanti stucchi di gusto barocco, creati dall’artista licodiese, Giuseppe Anile.
  • Chiesa di Piano Ammalati. Secondo la tradizione sarebbe la prima chiesa costruita a Santa Maria di Licodia. Di sicure origini medioevali, è purtroppo inaccessibile poiché dentro una proprietà privata.
  • Chiesa della Madonna della Consolazione. Costruita nel 1857 come cappella cimiteriale, fu restaurata e riaperta al culto nel 1928 dal sacerdote Luigi Panepinto. Subì seri danni a causa della II Guerra Mondiale, e fu abbattuta negli anni ’50 del Novecento per essere costruita ex novo. Tuttavia per oltre cinquanta anni rimase incompleta fino all’anno 2002, quando grazie alle offerte dei fedeli, e all’interesse del sacerdote Salvatore Palella, fu riaperta al culto.
  • Chiesa delle Anime del Purgatorio. Eretta a metà ottocento per devozione della signora Rosaria Scaccianoce, a seguito di una miracolosa apparizione. Importante nella piccola chiesa è il culto per i Santi Martiri Alfio, Filadelfo e Cirino.
  • Chiesa del Cimitero. Del 1893. Caratterizzata da una svettante facciata in stile Liberty
  • Chiesa dell’Immacolata. Fabbricata in Contrada Cavaliere, nel 1932 a beneficio dei coloni della contrada. Negli anni ‘80 del novecento, alla chiesa sono stati annessi dei locali per ospitare ritiri e campeggi per gruppi. La vecchia chiesa è stata quindi sostituita con un nuovo edificio di culto più ampio.

Beni Archeologici, archittettonici e naturalistici

  • La zona archeologica in contrada Civita, dove si riscontrano i reperti dell’antica città greco romana di Inessa, nonché i numerosi resti dell’acquedotto che portava l’acqua da Licodia a Catania.
  • Le Tre Cisterne in contrada Cavaliere, di origine romana, adoperate per l’abbeveraggio dei capi in transito per le zone. Citate nel diploma normanno del 1143.
  • La leggendaria “Petra Pirciata”, citata anch’essa nel diploma di Fondazione del 1143. secondo la leggenda la roccia venne forata dal dito del ciclope Carlapone.
  • La Casina del Cavaliere, nella contrada omonima, edificio del secolo XIII, eretto dai Padri Benedettini come residenza estiva per l’ordine. Subì nei secoli vari rimaneggiamenti e cambiò più volte funzione, fino a giungere all’attuale adattamento in ristorante, che ne ha permesso tuttavia la conservazione. Federico de Roberto nel romanzo “I viceré” cita questo luogo.
  • Gli Ulivi millenari, nella piazza omonima. Secondo la relazione della Commissione dell’Accademia delle Scienze di Berlino, venuta in Sicilia per lo studio dell’Etna nel 1840, e preseduta dal Barone Walterschausen, essi furono considerati dell’età di 25 secoli. Se il calcolo risultasse veritiero, essi sarebbero i più antichi di Sicilia. Di questo ne da testimonianza storica Cicerone, nel libro III delle Verrine.
  • Tra gli edifici del paese, spiccano principalmente i palazzi Ardizzone, e Bruno, rispettivamente dei secoli XVIII e XIX. Inoltre è possibile ammirare notevoli e delicati prospetti liberty sulla via Vittorio Emanuele e tra le strade del centro storico. Va menzionato anche lo storico altarino del Purrazzaro, per le sue elaborate forme barocchegianti. Per una ristorante passeggiata sono consigliate la villa Comunale Belvedere, da cui si gode un magnifico panorama, e la Villa delle Consuetudini.

Festa Patronale

I solenni festeggiamenti, che la città di Santa Maria di Licodia tributa in onore al Patrono San Giuseppe, vengono celebrati l’ultimo sabato domenica e lunedì del mese di agosto, dal lontano 1876, benché la festa tragga le sue origini nel secolo XVI, in quell’anno il Beato Giuseppe Benedetto Dusmet, decise di collocare i festeggiamenti nel mese di Agosto, in concomitanza con la festa del Comune. Per i cittadini licodiesi è la ricorrenza annuale più sentita e partecipata. L’ultima domenica di luglio lo sparo di mortaretti e il suono della banda, annunciano il preminente inizio delle celebrazioni. L’effettivo inizio della festa si ha il mercoledì precedente l’ultima domenica con l’inizio del solenne triduo in preparazione in Chiesa Madre. Il primo dei momenti più attesi è la svelata del simulacro, detta in gergo locale “a sbarrata di San Giuseppi”. Nella serata del sabato, dopo la messa nella chiesa della Consolazione e la processione delle confraternite e associazioni locali, nella chiesa Madre gremita, i fedeli assistono alla commovente elevazione del simulacro, che attraverso un argano, sale lentamente da dietro l’altare, accolto dai VIVA SAN GIUSEPPE, dagli applausi, dal suono dell’organo, delle campane e della banda e dallo sparo di fuochi d’artificio. Segue la Cantata dei devoti in onore al Patrono. La domenica è l’apice dei festeggiamenti. Dopo la messa solenne delle nove, tutto si mobilita per la trionfale uscita, il prezioso fercolo settecentesco, “a’vara”, viene portato all’altare maggiore, da qui il Santo scende, e il grido “E GRIDAMU TUTTI VIVA! VIVA SAN GIUSEPPI!” rimbomba tra le navate della chiesa. Quando il Santo è già ancorato al fercolo si passa alla cerimonia della vestizione, nella quale i preziosi che i devoti offrono al Patrono vengono sistemati sul simulacro. Quando anche questa finisce, il capo fercolo “u mastru di vara” suona la campanella che da inizio alla processione. Il fercolo è accolto dalla piazza gremita dai viva, dagli applausi, dalla musica dal lancio di volantini, “zaareddi”, dalla interminabile moschetteria e da una tempesta di fuochi d’artificio. Quando lo spettacolo finisce, il popolo devoto saluta il proprio Protettore con la Cantata , a questa segue la benedizione e la distribuzione del pane di San Giuseppe, simbolo della Divina Provvidenza, che i devoti si contendono a gran fatica. La processione si snoda per le vie del centro, adornate dalle caratteristiche bandiere ocra e blu, accolta dai devoti, che elargiscono offerte e doni a San Giuseppe. La vara è tirata mediante il cordone da bambini, giovani, adulti,e anziani, tutti uniti nel nome di Giuseppe. Momento particolare della processione e la corsa nella ripidissima “cchianata de Caseddi”, qui i devoti si cimentano, in una faticosa impresa, per percorrere di corsa la salita, che data la difficoltà del percorso viene effettuata in tre riprese. L’arrivo sotto la piazza è trionfalmente accolto dai numerosi spettatori e dai fuochi. La processione continua per i quartieri della Matrice. Nell’antico rione Pepe, avviene la benedizione dei bambini, che offrono al Santo il giglio. La serata della domenica è conclusa dal Pontificale e dallo spettacolo di musica leggera. La giornata del lunedì è aperta dai colpi di cannone, e la mattinata è allietata dalle note del corpo bandistico per le vie della cittadina. La sera dopo la messa vespertina avviene la seconda uscita del fercolo. La lunga processione, coinvolge quasi tutti i quartieri del paese. Frequenti sono le soste del fercolo per le offerte di cacciagione, frutta, pane e qualsiasi altro prodotto, che verrà conteso all’asta quando la processione avrà fine. Momenti salienti della processione serale del lunedì sono gli omaggi dei vigili urbani, dell’arma dei carabinieri e della parrocchia della Madonna del Carmelo, dove al passaggio della processione si ripete la cantata. Attesissima la “Calata dell’Angelo”, al quartiere dei Larghi. Nella sua parte conclusiva la processione percorre tutta la via principale, e arriva nella piazza gremita di fedeli e devoti che aspettano l’asta, durante la quale vengono contesi i doni che la cittadinanza ha offerto al Patrono. Al termine dell’asta il fercolo rientra in chiesa, e tra i viva incessanti dei devoti il simulacro di San Giuseppe viene prelevato dal fercolo e deposto e velato nella Cameretta che lo custodisce durante l’anno. In tarda nottata un grandioso spettacolo pirotecnico chiude i festeggiamenti in onore al Sommo Patriarca.


Biblioteche

  • Biblioteca Comunale Luigi Sturzo, Via Vittorio Emanuele 305

Volontariato, Onlus e Associazioni

  • Associazione Etna Soccorso Volontariato Protezione Civile, Via Ameglio 101
  • Fraternitadi Misericordia, Madonna Del Carmelo 20

Bibliografia

  • G. Ambra, Santa Maria di Licodia - Guida storico turistica, Edizioni Aesse