GUIDA Delia/Chiesa Madre di Maria SS. di Loreto
Sorta probabilmente sui resti della trecentesca Chiesa di San Nicola di Mira o di Bari, l’esistenza della Chiesa di Santa Maria di Loreto è documentata negli atti della visita del vescovo mons. Vincenzo Bonincontro nel 1608. La Chiesa diviene parrocchia nel 1622 con un suo «perpetuo parroco con l’onore, il titolo e la prerogativa di arciprete, il quale si dedicherà alla cura delle anime riconoscendole come sue proprie pecorelle». La configurazione dell’edificio resta pressoché immutata sino al 1712, anno in cui si avviano nella fabbrica importanti trasformazioni che ne rivisitano completamente l’immagine architettonica.
La costruzione del transetto e del presbiterio è postuma al 1739. Nel 1794 grazie al testamento di Calogero la Rizza si dà avvio al completamento dell’edificio con la costruzione del transetto e della cupola, coinvolgendo in cantiere mastro Gioacchino Messana da Canicattì.I lavori nella Chiesa, portati avanti sino ai primi anni dell’Ottocento, verranno compiuti da maestranze provenienti da Caltanissetta. Lo spazio all’interno della Chiesa ha un impianto a croce latina su tre navate caratterizzato da un linguaggio architettonico sobrio ed elegante impreziosito da paraste scanalate. L’esterno impostato sul modello di facciata con due campanili presenta compiuto solo il registro basamentale. Il registro superiore manca, infatti, del timpano e del campanile di sinistra.
Il Crocifisso disposto al centro della nicchia, collocata nella navata destra, rappresenta la scultura lignea più antica della Chiesa. Possiamo attribuire la sua creazione all’anno 1500 circa. Realizzato secondo gli stilemi tardo-bizantini che si rifanno alla tradizione iconografica ortodossa del Cristo Pantocratore, presenta lacerazioni ed escoriazioni disposte lungo il corpo, nonostante l’aspetto monocromo del Cristo, e lascia spazio ai contrasti di incarnato e di rosso sangue. L’opera presenta sulla gamba sinistra un tassello mancante di colore che rende visibile l’imprimitura di colore bianco. La scultura negli anni ‘70 del novecento ha subito interventi di restauro per fissare gli arti superiori, perché anticamente erano flessibili e snodabili, in quanto il crocifisso veniva impiegato nella “scinnenza”, secondo i riti fockloristici locali. Il Crocifisso non rispetta i canoni proporzionali scultorei , in quanto gli arti del patibulum (braccio corto della croce) sono più piccoli rispetto alle proporzioni del busto e degli arti inferiori. Lo scultore ha realizzato questa sproporzione per dare maggiore enfasi ai muscoli del collo e della spalla, ma, nonostante ciò, la scultura appare in tutta la sua integra e suggestiva bellezza.
La statua della Madonna di Loreto, disposta lungo la navata centrale della Chiesa, è di nuova fattura realizzata dallo scultore Barba di San Cataldo. La scultura ricavata da diversi legni assemblati disposti lungo l’asse verticale , presenta staticità frontale, il corpo non è impegnato in movimenti sinergici, in quanto a fare da corredo decorativo vi è la dalmatica di colore blu cadmio, segno iconografico della Madonna di Loreto, decorato con la tecnica scultorea dello stiacciato ( tecnica donatelliana). La decorazione cromatica è vasta. Il colore bruno del volto, ricavato da diversi pigmenti, fa da corredo alla gamma cromatica del volto che è da attribuire ai diversi aneddoti che che circondano la figura della Madonna di Loreto. Antichi ricettari tecnici attribuivano l’uso del bianco di piombo o biacca ai pittori medioevali e rinascimentali. La biacca, a contatto con gli agenti esterni, tende ad evolversi in cromatura: ingiallisce e imbrunisce.
In questo caso il contatto con i vapori e i fumi dei lumini, lasciati dai devoti e dai pellegrini, hanno provocato nelle icone l’imbrunimento. Molti artisti, sia pittori che scultori, si sono rifatti ai modelli delle icone bizantine, realizzando così la Madonna di Loreto, nel corso dei secoli, di colore scuro per cui questa peculiarità è diventata tradizione iconografica. La scultura della Madonna di Loreto è la più nuova di tutte le opere religiose presenti nella chiesa della Madrice di Delia.
Nella tela di Santa Rosalia, la prospettiva presenta uno schema con distribuzione centrale del punto di fuga, che converge nei personaggi e nel paesaggio. In primo piano predomina le figura della santa disposta sul lato destro dello schema prospettico, al di sotto di essa vi è la figura di un angelo impegnato nella donazione della corona di rose alla santa. Nella parte soprastante dello schema, Dio emerge dai cieli, avvolto da una nuvola di color porpora, atto ad interrogare Rosalia.Nello schema sottostante la santa è impegnata nella presentazione del paesaggio urbano a Dio. La composizione della struttura prospettica è suddivisa in due parti, delimitate da una linea immaginaria orizzontale, che scandaglia due schemi prospettici, la parte sottostante e parte sovrastante, secondo lo schema tardo manierista. L’ambiente presenta sia un paesaggio rurale che urbano.
I monti, che predominano il paesaggio, si distribuiscono in una scena di profondità prospettica con variazioni cromatiche. Il paesaggio urbano presenta abitazioni di diverso genere: secondo l’impaginatura prospettica della prima meta del XVI secolo. I colori costituiscono una ricca gamma cromatica: il giallo cadmio, rosso, blu, fanno da corredo nell’area cromatica, sfumature accese e vive. L’abito della santa presenta un panneggio continuo ben delineato da profondi solchi, drappi rossi emergono dalla campiture brune. Diversi simboli alludono agli aspetti peculiari della sua vita interiore e alle vicissitudini temporali. In ordine di distribuzione prospettica abbiamo le rose, simbolo di devozione mariana, di colore rosso che indicano i misteri dolorosi. Tra le mani dell’angelo vi è la corona di rose, emblema di santità e di supremazia spirituale, il teschio,simbolo di sacrificio e di distaccamento della vita terrena, il giglio, emblema di purezza e di verginità, accompagnato infine da uno strumento di martirio, simbolo di penitenza e di sacrificio.
L’autore fu Pietro d’Asaro detto “ il monocolo di Racalmuto” (per via di una malformazione congenita all’ occhio sinistro) (Racalmuto 1575-1647). Influenzato dagli stilemi tardo manieristi della cultura nordica, d’Asaro portò in Sicilia esperienze artistiche e schemi della pittura barocca. Per spessore di riferimenti e di originalità di elaborazione, pur nei limiti della cultura figurativa provinciale, l’artista si impone come una delle figure più rappresentative ed eclettiche, insieme allo zoppo di Gangi, nel variegato panorama artistico della Sicilia occidentale dei primi decenni del seicento.
La tela di S. Nicola o delle Anime del Purgatorio, di grandi dimensioni, è disposta nella navata destra. Risale al XVII secolo ed è stata realizzata, secondo gli stilemi dominanti del periodo di matrice barocca, dal frate gesuita Felice di Sambuca di origine licatese. La composizione è suddivisa in due sezioni: piano sovrastante o arretrato e piano soprastante o alto. Presenta due aree occupate da diversi personaggi. Il punto di fuga distribuito nella porzione centrale scandaglia i personaggi nella superficie pittorica. Diversi simboli fanno da corredo al nucleo della pittura: il foglio,che è tra le mani del detenuto del purgatorio visibile dietro le sbarre, è un messaggio o meglio una preghiera rivolta allo spettatore e riporta un iscrizione in latino: la traduzione del messaggio è “Amici miei pregate per noi” Nel piano alto o soprastante vi è la figura di un vescovo impegnato nella consacrazione dell’ostia, circondato da fedeli, anime beate.
La figura della Vergine Santa predomina nella porzione destra della superficie. Ipoteticamente la figura del vescovo è attribuibile a San Nicola di Bari, in quanto la chiesa preesistente era dedicata al medesimo santo. Il piano sovrastante o arretrato presenta le anime condannate al supplizio chiuse all’ interno di una prigione delimitate da delle sbarre. La figura dominante del piano arretrato è un uomo con un foglio che racchiude il messaggio. L’opera, nonostante i piccoli segni lasciati dal tempo, si presenta in discreto stato di conservazione. Il colore steso attraverso le pennellate è disposto uniformemente e lascia le sfumature visibili nei dettagli. Il quadro presenta piccoli interventi di restauro, non buoni, ma l’opera appare in tutta la sua integrità e bellezza ed è degna di essere collocata tra i beni di carattere storico e artistico del patrimonio culturale di Delia.