GUIDA Maurizio Malvestiti
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La Vita
Fortunato Antonio Malvestiti, nato a Verolanuova il 17 Febbraio 1778. Nel 1788, la famiglia si trasferisce a Brescia in rua Confettoria, vicino al convento Francescano di San Giuseppe, studiando nel ginnasio pubblico maturava in lui la vocazione religiosa, entrò in convento come novizio nel 1794. Il governo Provvissorio Bresciano all'epoca proibiva di emettere i voti prima dei ventun'anni e questo convinse i superiori di inviare Fortunato, nel convento di Ferrara dove portava a termine gli studi senza interruzione, dedicandosi anche a studi di teologia. La notte di Natale del 1800, in anticipo di 6 mesi celebra la Sua prima Messa.
Cercando di tornare a Brescia nel 1801, si ferma a Verona dove dai superiori riceve l'ordine di recarsi a Roma e si sistema nel convento di Aracoeli dove riceve l'incarico di lettore di filosofia qualche anno dopo diventa anche lettore di teologia.
Ma il destino gli sta riservando qualcosa di particolare e questo succede nel 1807, con un incontro fortuito. Visitando le Catacombe di San Sebastiano incontra Luciano Bonaparte fratello di Napoleone, scambiando poche parole il Principe Luciano ne resta incantato e chiede ai superiori del Convento che Padre Maurizio da Brescia diventi l'istruttore dei suoi figli: Luigi, Carlotta e Letizia. Tra il giovane Frate e la famiglia di Luciano Bonaparte , inizia un'amicizia, una collaborazione e una consuetudine di vita durata quasi quarant'anni.
E' doveroso ricordare questa figura di umile frate : Scenziato, Ambasciatore del Papa presso un'imperatore, Si prostrava ai piedi del Generale Haynau per salvare Brescia dopo essere arrivato al castello con la tunica trapassta da palle austriache
Nel 1856 fu nominato Commissario della Terra Santa per il Lombardo Veneto, con questo incarico si recò a Parigi per ottenere da Napoleone III°, la protezione sui luoghi Santi e soprattutto la protezione sulla Custodia francescana, cose che riuscì a ottenere, fu anche concesso di aprire a Parigi un commissariato per la raccolta di offerte da inviare alla Custodia di Gerusalemme.
Nel 1859 fu instancabile prestando soccorso ai feriti della Battaglia di Solferino e San Martino, trasformando la Chiesa e il Convento di San Giuseppe (Brescia) in un affollato ospedale militare. Nel Giugno del 1859, Napoleone III°, passando a Brescia lo volle accanto a se, per un giorno intero a Palazzo Fenaroli. Il 19 Marzo 1860 riceveva la visita del Principe Luigi Bonaparte(Figlio di Luciano) che saputo quanto si prodigò con i feriti volle riverirlo, trattenendosi con lui alcuni giorni in convento
Gli ultimi anni di vita furono spesi invano, nel tentativo di salvare i conventi francescani dalla soppressione decretata dal Governo Italiano, riuscì a salvare soltanto il convento di Sant'Angelo a Milano.
Moriva a Brescia, nel Convento di San Giuseppe, il 25 Marzo 1865 a 88 anni, sempre per l'anticlericalismo dell'epoca è spiacevole ricordarlo non furono possibili da parte della città che lui stesso aveva salvato onoranze ufficiali per i funerali. Ma a 50 anni dal Suo memorabile gesto nel 1899, sulle pendici del Castello venne eretto un Monumento in Sua Memoria.
Dal racconto di Lucio Fiorentini: "Le Dieci giornate di Brescia del 1849:"... era in tali frangenti che Frate Maurizio procedeva, fra le bajonette dei croati i quali non volevano lasciarlo andare innanzi, e gli improperii di alcuno dei nostri che gl'ingiungevano di retrocedere; ma il padre supplicante presso gli uni e presso gli altri, pur s'avanzava (...). Lasciato il Marchesini al ponte levatoio, egli entrò nel forte col compagno, munito del foglio del Municipio...Condotto alla presenza dell Haynau, Padre Maurizio umilmente gli si prostrava dinnanzi. L'Haynau vedendo il frate in quella miserrima posizione ordinò in modo aspro e severo di alzarsi, chiedendo cosa vuoi da me? Padre Maurizio ignorando il rozzo tono con ogni dignità slacciandosi il bavero della tonaca e mostrado il petto fregiato delle alte decorazioni di cui era insignito, sorprese l'Haynau che apparve più mite..." Di questa Sua impresa un anno dopo nel 1850, Padre Maurizio consegnò una relazione alla Principessa di Canino moglie di Luciano Bonaparte.
Relazione di Padre Malvestiti
"Alla principessa di Canino - Vedova di Luciano Bonaparte Brescia - San Giuseppe, 19 Giugno 1850
Voi mi avete domandato Madama, qualche particolare sopra le sventure, cui fu esposta l'anno passato la mia cara Patria, "la mia buona città di Brescia", come la chiamava un alto Personaggio, ben conosciuto nel 1815) Io ve l'ho promesso già da un'anno, me ne ricordo, e sono assai vergognoso d'aver tardato così a lungo tempo a mantenervi la mia parola.
Però io vi devo confessare ch'io mi sono messo molte volte all'opera e che io sono rimasto scoraggiato dalla difficoltà di evitare gli scogli di opinioni calde, anzi ardentissime, dalle quali io era circondato e quasi oppresso e ucciso(assomè). E poi come parlarvi delle sventure di Brescia in presenza di quelle di Bologna, di Ancona, di Roma, di Venezia, che si sono succedute l'una appresso l'altra in così poco tempo?
Ma poichè voi avete la bontà d'interressarvi di me, io lascerò da parte i nove giorni di bombardamento interrotto e ripreso molte volte verso la fine di marzo 1849, de quale io vi ho scritto già un'altra volta, per non parlarvi che del decimo ed ultimo giorno che fu il 1° di aprile dello stesso anno, quando dalla platea io stesso fui portato sul proscenico del nostro piccolo ma sanguinoso teatro.
Io aveva appena terminato( al rumor del cannone) la lunga messa delle Palme, che il grido della Patria in pericolo penetrò fino al fondo del mio sacro asilo. E' un signore che io non conosco, il quale viene da parte del Municipio ad invocare la mia debolezza, per procurare di salvare la città, la quale doveva tantosto essere presa d'assalto ed abbandonata al saccheggio. Io giro l'occhio sopra una ventina di Religiosi che mi circondano e fo segno a quello (il Padre Ilario da Milano) ch'era meno pallido fra loro di seguirmi, e noi partimmo.
La nostra guida ci precede e con la voce e col gesto e più efficacemente ancora con l'esempio c'insegna sentieri per dove bisognava correre o pittosto saltare, traversando la "via degli Orefici", per evitare la portata di certe finestre, dalle quali partivano colpi di fucile sopra i passanti e quest'erano le finestre di "Porta Bruciata". Noi infatti avevamo sentito delle detonazioni, senza tuttavia esserne colpiti.
Noi entriamo nel palazzo della città detto "Palazzo della Loggia". Il Dirigente Signor Sangervasio, facendo l'officio di "Podestà" ci ha fatti scendere a lato di lui ed eccoci circondati da gente armata, gli eroi della giornata. Ci aveva pure alcuni consiglieri od assessori senz'armi. Io non conoscevo alcuno, e per me era tutta gente nuova. Il signor Dirigente mi espone il fine pel quale mi aveva mandato a richiedere. Io accetto di buon cuore la commissione d'andare come parlamentario al generale Haynau, purchè egli mi desse per iscritto ciò che io doveva domandare.
Intanto si consultavano per iscritto il dispaccio, era un movimento continuo di gente armata che andava, che veniva, che bisbigliava, che minacciava di amazzare i prigionieri, di sgozzare le spie; e il Dirigente, occupato a scrivere, era costretto ad interrompere il suo lavoro per calmare questi, per isgridare quelli. Finalmente la brutta copia è quasi finita, e se ne dà lettura: "Considerato che non c'è più Governo provvisorio in questa città, il Municipio "SUPPLICA" V.E. a voler risparmiare gli abitanti inoqui...."-Quale codardia grida un interlocutore armato! Questo è troppo umiliante: "Il Municipio vi Supplica!!!!" non è la parola che ci vuole. Scrivete il Municipio vi consiglia...
Il Dirigente si rivolge a destra e a manca per sapere ciò che convenisse scrivere. Un borghese dice: "Se non conviene a questi signori che si vada a -- supplicare -- non conviene neppure che si vada a -- consigliare --; io scriverei semplicementi: Vi si prega...."
Mentre il Dirigente scrive, uno dei capi armati dice ad alta voce: "Bisogna assolutamente domandare prima di tutto un salvacondotto per tutti noi, affine chè noi possimao liberamente ritirarci a casa nostra, senza che ci vengano a dare disturbi ne oggi ne in seguito... altrimenti" e carezzava il suo fucile in una maniera significativa.
Il Dirigente si alza e dice con tono fermo: "Signori che cosa volete voi? La pace o la guerra?" e la banda armata battendo il calcio dei fucili sul pavimento, tutti in una volta gridano: "Guerra"
Mi alzo anch'io e ringraziando il Dirigente dico a voce alta: ch'io vorrei eben esporre la mia vita a qualunque pericolo eventuale per essere utile alla mia cara Patria, ma che nello stato attuale degli spiriti, io vedo questo essere impossibile: che io mi ritiro, sempre pronto a ritornare quando tutti "saremo d'accordo" La banda armata si divide in due ali sul nostro passaggio ed uno dei capi mi stringe la mano, dicendomi a mezza voce "BRAVO".
Era evidente che il Municipio faceva tutti gli sforzi per salvare la città e che i capi e le bande armate, volevano, inanzitutto, salvare se stessi. Bisognava dunque lasciare il loro tempo di ritirarsi. S'io fossi partito come parlamentario in quel momento, dalle finestre stesse del Palazzo Municipale m'avrebbero fucilato.
Era quasi mezzogiorno. Un'ora dopo io era in refettorio co miei Religiosi, e un nuovo messaggio viene a chiamarmi da parte del Dirigente. Eccomi al Municipio, non c'erano più soldati, ma solo due giovani, che avevano l'aria di essere molto galantuomini ed erano evidentemente là per potreggere possibilmente gli ordini del Dirigente. Questi mi presenta il dispaccio riveduto e corretto e tradotto anche in tedesco, me ne spiega il contenuto e m'invita a partir subito verso il Broletto, palazzo abituale del Governo, ov'era in questo momento il posto più avanzato degli austriaci.
Eccoci dunque in funzione. Un bravo giovane Pietro Marchesini Cappellaio, portando bandiera bianca, si mette tra noi due frati e noi taversiamo "Piazza Vecchia" con passo grave e solenne. La piazza era assolutamente vuota, non c'era neppure una mosca. Due tre passi prima d'arrivare sotto il portico, sopra del quale domina il grande orologio, un grido di "Viva i Frati" parte dalle finestre della contrada Spadarie che va al Granarolo a nostra dritta; e nello stesso tempo alla nostra sinistra dalle finestre di "Porta Bruciata" parte un grido di "Morte ai Frati", accompagnato dall'esplosione di alcuni colpi di fucile. Fortunatamente (direbbe Marmontel), la nostra ora non era ancora sonata sull'orologio che grandeggiava sopra le nostre teste.
Eccoci lungo la "Strada Nuova" che tuttavia è più vecchia dime, però che nascendo io lho trovata così nuova come al presente. E volgendosi obliquamente a dritta eccoci alla grande porta del "Broletto" Un plotone di soldati austriaci occupa l'ingresso e ci accoglie con fucili spianati e prendendoci di mira. Io mi fermo inalzando con la destra il mio largo dispaccio. L'ufficiale con un gesto imperioso solleva i fucili de suoi soldati e nello stesso tempo me fa segno d'avanzare. Obbedisco ed occoci d'un sol passo in Austria. L'ufficiale prende il dispaccio e vi legge "HAYNAU" e mi domanda se voglio andare io stesso sull'alto del Castello a portare il dispaccio al Generale., o s'io voglio aspettare la risposta al basso. Io scelgo la prima proposta, purchè egli mi dia una scorta. Ecco la scorta. un caporale e 4 granatieri.
Noi usciamo da lato del nord per una porta secreta. Subito i soldati alzano i loro fucili, mirando come se volessero tirare alle rondinelle e si mettono a correre. Noi facciamo altrettanto senza sapere il perchè, ma tirati soltanto dalla forza dell'esempio. Bentosto io m'accorgo che per andare sull'alto del Castello, bisognava passare sotto le posteriori fineste di "Porta Bruciata" A buon intenditore basta una mezza parola. E noi passimo correndo senza accidenti. Eccoci dunque su per la china del Castello, tra due file di case brucianti. I travi dei soffitti cadevano al nostro fianco come i tizzoni fumanti. L'interno delle case era ingombrato di carboni ardenti e la via era gremita di cadaveri ammonticchiati. Tuttavia non si vedeva che qualche goccia di sangue qui e qua, perchè non si era avuto un combattimento ad arma bianca. Erano tutti caduti da una parte e dall'altra come passerotti colpiti dal piombo uccisore. Io vedo la casa e lo studio del pittore Theosa mio amico, bruciati: la casa del rettore delle "Consolazioni", mio amico bruciata.
Continuando a salire il dosso scoperto della collina. sulla quale s'eleva il forte, fabbricato da Cidneo, figlio di Ercole (figlio di Agrone, figlio di Nino, figlio di Belo: Donna Maria Vi spiegherà tutto questo) si cammina a zig-zag, di modo che io senza voltarmi addietro, ho potuto contemplare la mia povera Patria in fiamme come Troia. Il fumo di ogni casa ch'era data alle fiamme in quel momento saliva dritto al cielo come il fumo di un incensiere immobile. Se il vento tanto quanto vi avesse soffiato, mio Dio! la città intera sarebbe stata bruciata, non si sarebbe salvata una casa sola. Ma eccoci introdotti nell'alta fortezza. La nostra bandiera bianca è consegnata ad una guardia che la terrà esposta alla vista di tutta la città durante il nostro colloquio. Il generale, avvertito, discende dai bastioni e viene ad incontrarci su la piazza d'armi.
Di Fronte ad Haynau
"Il suo aspeto era severo, irritato, terribile... Bisogna sapere che la minaccia orribile di amazzare gli Austriaci, che si trovavano all'ospitale (circa 200 uomini) e di sgozzare i prigionieri (circa 14 persone) che i nostri insorti avevano fatto nel primo sollevamento, dieci giorni innanzi, non era di tal natura da renderci il Generale propizio. Ed era per rimuovere questo ostacolo che il Municipio dopo aver lavorato efficacemente alla sicurezza dei malati e degli ostaggi, aveva avuto la felice idea di far sottoscrivere il dispaccio di cui noi eravamo portatori, da tutti gli individui della stessa categoria, che si trovavano custoditi sotto una scorta fedele allo stesso palazzo Municipale, e che venivano così a testimoniare la loro esistenza e la loro conservazione attuale:, il medico austriaco uno degli ostaggi attestava egualmente per i malati. Non è dunque naturale che la vista di quelle firme producesse sul Generale un effetto magico in nostro favore? "Vituperato sia che mal pensa"
"Avendo letto il dispaccio il Generale, si rivolge a me e mi dice: "E' troppo tardi"; si, è troppo tardi! Come volete che io possa arrestare i miei soldati vincitori, irritati di aver visto scorrere il sangue dei loro compagni? Essi han veduto cadere un Maggiore, ferire un Generale!!! Sapete voi ch'eglino (i vostri) mi hanno amazzato duecento uomini da ieri in qua? Perchè non siete voi venuto ieri? Noi non avremmo dovuto oggi piangere...io i miei soldati e voi i vostri concittadini. Venite venite a vedere se è possibile in questo momento qui arrestare il macello e l'incendio..." Dicendo questo egli mi condusse su l'alto del bastione. Tutta la città era sotto i nostri occhi. Si vedevano le truppe austriache in possesso della porta di "Torrelunga" avanzarsi sui bastioni verso la porta di "Sant'Alessandro" bruciando qua e la le case che l'inferno loro disegnavasa. Una colonna marciava verso il centro della città per "San Barnaba", un'altra per il "Mercato Nuovo" si dirigeva verso il Broletto"
"...Ecco una città bella, ricca, dotta (mi dice il Generale) piena di brava e onesta gente che io conosco, ...incapaci di fare la menoma cattiva azione...come avenne che questa brava gente si sia lasciata dominare da un pugno di scellerati?...In questo momento dalle finestre di una casa particolare partono dei colpi di fucile: "Sono i vostri che tirano sopra de miei...è una casa che sarà bruciata in cinque minuti...Come dunque? Voi non potete arrestare i vostri e voi volete che io arresti i miei? Andate fate ritirare tutti i vostri, che la bandiera bianca sventoli sul palazzo municipale, su tutte le torri, sui principali edifici. Forse la vista di quella bandiera bianca calmerà i miei soldati; io mi sforzerò di moderarli del mio meglio. Io lo prego d'una risposta in iscritto: "E' Giusto" (egli mi dice) e si ritira nel suo quartiere per fare la sua risposta.
Con la risposta scritta noi torniamo in città accompagnati dalla stessa scorta fino al "Broletto" Noi vi entriamo dalla stessa piccola porta del nord e siamo fatti uscire noi tre, tutti soli dalla grande porta meridionale che da sul fianco della Cattedrale. Eccoci ora sulla piazza del Duomo, cercando di raggiungere il Municipio. Noi prendevamo la direzione della via che è in faccia al Duomo e che conduce a Sant'Ambrogio, quando dall'angolo di questa stessa via (Contrada del Duomo), parte un colpo di fuoco, poi un secondo, poi un terzo. Le palle passavano in mezzo a noi come confetti. Il nostro porta bandiera che portava anche il dispaccio fissato sul suo cappello, faceva salti e sgambetti per evitare i confetti, che si vedevano venire dalla bocca di una canna, di cui non si scorgeva che l'estremità come incollata contro l'angolo del muro. In quattro salti io corro a quest'angolo e sorprendo il nostro avversario, che, con altri due compagni leva confuso la estremità del suo fucile; ed io, in un movimento di collera, prendo con la mano destra l'estremità del mio mantello e gli do un piccolo colpo come di frusta sulla spalla, come avrei fatto, Signora Principessa, col vostro Chincillà (voi vi ricordate Madama, di Chincillà, il vostro cagnolino favorito), dicendo: "Non vedi tu infelice, che noi siamo tuoi amici?" "Padre,(risponde) io non vedo più niente, io non conosco più nessuno" Il nostro porta bandiera lo sgrida pure e l'invita a seguirci al Municipio, dove ben presto arriviamo senza altri incidenti.
Il Dirigente lesse la risposta del Generale, la quale conteneva presso a poco ciò che mi aveva detto a voce. Egli aggiungeva tuttavia: "che non rispondeva di nulla fintantochè non avesse la restituzione degli ostaggi" Il Dirigente si ritira nel Suo gabinetto per un nuovo dispaccio e mi prega di aspettare per una seconda spedizione. Il nuovo dispaccio conteneva la preghiera al Generale, che avesse la bontà d'inviare subito un Ufficiale di sua fiducia, al quale si sarebbe fatta la consegna degli ostaggi, ch'erano custoditi nel palazzo stesso sotto la responsabilità del Municipio. Al momento di partire il nostro compagno "portabandiera" si sente male ed è quasi svenuto sopra una poltrona. Se ne cerca un'altro; poi si cerca la bandiera bianca che ci aveva servito per la prima volta, ma non esiste più. Andate a prendere quella che è sul balcone del palazzo; è sparita (questa era la quinta che il Dirigente aveva fatto mettere per rimpiazzare quelle che mano a mano di ponevano e l'inferno portava via)
Si manda subito bussare alla porta di un vicino ben noto mercante per avere un rotolo di tele bianca; presto presto il bastone per attacarvi la bandiera; non si trova più neppure; ecco una canna che serve ad accendere i lumi di quella Madonna là in alto: va bene, essa ci darà fortuna, detto fatto: presto, presto, partite che è tempo.
Appena noi siamo sulla gran piazza che tre colpi di "stuzzen" partiti dall'alto " Torre del Popolo" (Torre del Pegol) lanciano le loro tre palle obliquamente sul terreno che noi andiamo a percorrere. Una delle palle ha percosso la terra così vicino a me che io ho sentito pizzicarmi le guancie dalla ghiaia sollevata dalla violenza del colpo. La torre del popolo è unita al "Broletto"; sono dunque gli Austriaci e i Tirolesi che ci salutano così. D'altra parte noi siamo fuori del loro tiro quanto a distanza! Questo potrebbe essere un segnale convenuto, la parola dell'uomo che sfida il leone (il leone è lo stemma di Brescia). In effetto, un momento dopo, una colonna di fanti austriaci sbocca dalla via "Granarolo" (Contrada delle Spade), e svolta all'angolo della piazza e viene coi fucili protesi contro di noi a passo di carica. Immobile io sollevo il dispaccio, e la colobba s'arresta. L'Officiale mi fa cenno d'avanzare: mi circondano, mi interrogano in una lingua di cui io non intendo sillaba. Per tutta la risposta io fo vedere l'indirizzo "Haynau" e il dispaccio passa da uno a l'altro nelle mani degli Officiali. Uno di essi mi fa segno di seguirlo, noi lo seguitiamo e la colonna riprende il suo movimento verso il Municipio.
Il nostro Officiale, che arrivava allora allora dalla porta di "Torrelunga", mi domanda con un gesto dove bisognasse andare per trovare il Generale Haynau; io gli fo segno che io conosco la strada e noi andiamo dritti al "Broletto" e di la al "Castello" come la prima volta; eccetto che questa volta qui non si temeva più "Porta Bruciata"
Eccomi dunque di nuovo alla presenza del Generale, il quale mi conduce una seconda volta sopra i bastioni per mostrarmi una colonna di seimila croati che venivano a marce sforzate da Mantova. Si vedeva chiaramente la polvere sollevata dai loro passi a tre miglia dalla città. " Se quella gente (diceami Haynau) può arrivare avanti che la città sia interamente sottomessa, ed avanti che io abbia potuto mettere guardie a tutte le porte, io non rispondo più di niente: quei soldati non dipendono da me."
Ed oh quanto tardava a me di vedere la città occupata (prima dell'arrivo di questi altri soldati)! Intanto il fumo diminuiva sensibilmente e gli austriaci s'impadronivano successivamente di tutte le porte della città. Allora il Generale chiamò l'Officiale che mi aveva scortato: gli diede suoi ordini e poi senz'altra risposta in iscritto mi disse: "Ecco qui l'Officiale di mia fiducia che prenderà la consegna degli ostaggi."
Eccomi sollevato da un gran peso che mi premeva sul cuore. La mia missione era finita e io respiro più liberamente uscendo dal Castello. Intanto però ancora un triste spettacolo si para avanti a miei occhi. Sono due infelici che presi con le armi alla mano, la legge marziale condanna ad essere fucilati. Essi passano avanti a me, scortati da un plotone di cacciatori, ed avevano l'aria d'essere compagni del mo "Chincillà", forse egli stesso era uno di loro; l'abito, l'età la statura me lo facevano suppore. Io avre voltuto offrir loro il mio sacro ministero; ma chi sa se son o cattolici o protestanti? E poi senza essere invitato a ciò dll'autorità competente? Ci si fa segno di fermarci. I bastioni dentro e fuori sono coperti di spettatori; cioè a dire di tutti i soldati che non erano altrove in fazione. Si fa discendere i condannati nel fossato, passano sotto il ponte, piegano le ginocchia, contro il terrapieno, si bendano loro gli occhi. Uno dei due il più forte grida ad alta voce: "Gesù, Giuseppe, Maria, vi raccomando l'anima mia." Io gli do la soluzione, così come avre fatto per Maria Antonietta o Maria Stuarda. L'altro pure, ma con voce debolissima pronuncia la stessa preghiera; ed a lui anche do la soluzione.
I cacciatori sono pronti a tre a tre: il più debole è spacciato prima, si piega sopra se stesso e resta immobile con la testa quasi fra le ginocchia. Dell'altro avviene lo stesso. Rulla il tamburo. Ci si rende la nostra bandiera bianca, discendiamo dalla collina, prendendo direttamente la via del Municipio. Erano le sei di sera. Così fini il mio 1° Aprile del 1849.(ERA DOMENICA DELLE PALME)
Nota addizionale
Alcune settimane dopo una domenica fra le undici ore e mezzogiorno, si batte alla porta della mia piccola cella. "Avanti" Io vedo un giovane ch'entra timidamente e si mette in ginocchio.
---Avanti, aventi, amico, credo d'avervi veduto in qualche luogo, ma non mi ricordo dove...
---Padre vi domando perdono d'avervi offeso.
---Ma io non sono mai stato offeso da nessuno, voi vi ingannate...
---Io non mi inganno, Padre, io sono quello che voi avete toccato con l'estremità del mantello---
---E dei vostri compagni ch'è avvenuto?
---I miei due compagni, Padre, non sono stati come me toccati dal vostro mantello; si sono sviati, furono presi con le armi in mano, condotti lassù in alto nel Castello e fucilati (Qual tratto di luce)
Con questi due giovani traviati lasciando la vita avevano trovato la porta del cielo aperta; ed a questo Iddio si è servito del ministero di colui sul quale avevano alcune ore prima tirato essi medesimi dei colpi di fucile. Oh sapienza divina! Come i tuoi giudizi sono incomprensibili e le tue vie imperscrutabili!
Io sono, Madama Principessa
Vostro Devotissimo Servitore
IL PADRE MAURIZIO DA BRESCIA
Ministro Provinciale degli Osservanti di San Francesco d'Assisi.
Così si compiva la missione di Padre Maurizio. Ma egli e i suoi frati continuarono a vivere le angosce del popolo bresciano, giacchè anche se fu risparmiata sulla città l'indiscriminata rappresaglia ed un feroce bombardamento, non mancarono gravi fatti di atrocità e vendette. Il dieci Aprile egli era a Milano, assieme ad altre due persone, sempre per incarico del Municipio si recarono dal Feld- Maresciallo Radertzky per chiedere una dimuinuzione della pesante multa inposta a Brescia e provincia in risarcimento ai danni compiuti durante le Dieci Giornate. Richiesta che in parte fu accolta.