GUIDA  Sirmione/Memorie Storiche

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Il libro Verona e la sua provincia nuovamente descritte (1838) così riporta:

Sermione dicesi comunemente da tutti a voce e in iscritto, né so perché il Maffei deliberatamente, come pare, la dica Sarmione in tutta la sua Verona illustrata. Se poi da una terra di questo nome della Dalmazia o d'altronde, se da Catullo o da altri prima di lui, per somiglianza di sito o per altra ragione, Sirmio latinamente, quindi Sarmione siasi appellata, altri lo chiarisca per me. Certo è però, che non altramente s'intitola nelle più antiche memorie; e basta che fosse stata una terra cara e celebrata a Catullo, perché rinomata fosse pur anco. Tale sarò in avvenire, abbiavi egli o no avuti i natali, o possedutivi soltanto poderi e fabbriche, dal suo padre o sé acquistate ed erette; dappoiché già padrone di quest'isola assolutamente ei s'intitolò ne' suoi versi. Albergo d'imperadori, stazione di romane coorti, suggello di onorificenze e di privilegi, conserva di antichi edifizj, e delizia di tutte l'anime colte e gentili Sermione si fu mai sempre, quanto e come per la storia e per l'esperienza è palese. Quindi da tutte parti vi traggon le genti di sapere e di fama; e nessuno, io credo, ne parte, che la sua espettazione, se non vinta, non ne resti almen satisfatta, intendendo sempre della parte più elevata ed aprica: tanta è la celebrità di quest'isola, l'amenità del sito, la letizia dell'aere, la varietà delle viste, e la dignità degli oggetti. Sermione, come penisola, è congiunta alla Lugana per un istmo di un miglio e tre quarti, più o meno stretto. Ad isola fu essa ridotta, della cinconferenza di circa tre miglia, per un braccio d'acqua, che le mura bagna del nuovo castello, opera degli Scaligeri, come si vede ancora a qualche stemma sfuggito alla strage, che se ne fece degli altri. Dissi nuovo, perché in carta di Carlo Magno il quale, distrutto in Italia il regno de' Longobardi, intorno all'anno 774, donò tutta l'isola alla badia di s. Martino di Tours per lo vestiario de' monaci, vi si dice che un picciolo monastero e la chiesa di s. Salvatore da Ansa, moglie di Desiderio re de' Longobardi, furono fabbricati nel castello. D'esso non sussistono che alcuni frammenti di mura, che cortine s'appellano, colla tradizione che qui pur sussistesse quel monastero presso la detta chiesa, che ancor vi resta. Questo luogo privilegi ebbe assai, d'imperadori e d'altri sovrani; e i più degli originali vi si conservano ancora, presentati in Verona alla maesta dell'Imperatore Francesco I, che forte li commendò come preziosi documenti, dottamente parlando di quelle scritture e de' loro tempi col benemerito parroco di questa terra. Da lui stesso gentilmente n'ebbi la serie colla copia delle romane iscrizioni, che quivi restano: quindi piacemi per doppia ragione di farne presente al mio osservatore. Ciò tutto mostra, quanto illustre luogo fosse pur questo anche nello stato civile de' bassi tempi, ne' quali città fu detta dell'anonimo Ravennate, e suo proprio podestà vi aveva, eletto dai terrazzani, il quale, riconoscendo un jus superiore nella città di Verona, per suo proprio diritto li governava. Se n'ha la formola del giuramento in un atto del podestà Guizolo, figlio di Girardo conte di s. Martino, sotto il dì 29 Settembre del 1197. Altre cose su questo argomento lascio da parte; a sé chiamandomi la dignità, che ne contestan del luogo gli ancor magnifici avanzi di romana fabbrica, le Grotte di Catullo volgarmente appellata.

Link.pngVedi Anche: Grotte di Catullo

Di più bassi tempi rimangon qui sopra due chiese una è la già ricordata di s. Salvatore a sola una navata, e con di sotto al coro la cripta; l'altra sul monte da sera, dedicata a s. Pietro. In questa a piè dell'arco della porta, alla destra di chi entra, in un quadrello v'è scolpito: A. D. .M.CCC.XX. All'altar maggiore nella curva del coro sono a fresco dipinti gli apostoli con sopra le teste i respettivi lor nomi, e il Redentore tra la Vergine e s. Giuseppe. Dai lati d'ambedue sta un Angelo sonante la tromba: e a' quei del Redentore v'han due quadretti a picciole figure, da dieci in ognuno, de' quali uno rappresenta gli eletti, tutti pietà e letizia, ed uno i dannati, che hanno le persone corrucciate, sparute, e tutte sparse di serpentelli, idea che tien del Dantesco, non istrana da quel tempo. Una figura, oltre gli apostoli, e forse quella del pittore, a sinistra accenna col dito l'epigrafe: Anno Domini M.CCC.XXI. Indictione quarta. Nella cappella alla diritta v'ha un s. Nicola a mirabile arte dipinto, e pare di Domenico Brusasorzi. I ss. Pietro e Paolo a grandi figure in due portelli, che furon dell'organo, hanno segnalo l'anno 1541, buona età per la pittura.

Il paese, abitato da circa 420 terrazzani, li più pescatori, sta in basso luogo, donde s'entra al castello, nè v'ha che ammirarvi, tranne qualche piaggia in parte ventilata ed erbosa. Ragion di mal aere, com'è di tutti si fatti luoghi, vi procede principalmente dal calar dell'acque tra l'agosto e il settembre, andandovi le rive più o meno inondate, comunemente nel luglio. Del castello restano ancora qua e là dattorno mura con torri, e fu già opera come dicemmo degli Scaligeri, la cui famiglia secondo alcuni fin da' tempi di Carlo Magno andò investita di questa terra. Di bei marmi e variati nella chiesa parrocchiale intitolata a s. Maria Maggiore, è il suo altare; dei due laterali sono del Voltolini le tavole de' ss. Andrea, Girolamo ec., e della Cena; d'ignoto sono quelle degli altri due. Bella è poi quella de' ss. Francesco, Lucia e Carlo sopra la porta. Il Crocifisso tra' ss. Domenico e Francesco dicesi di Felice Brusasorzi; ma lo smentisce la leggenda: Anno Domini MDCXVIII, morto Felice nel 1605, come segna il dal Pozzo. Nell'atrio della chiesa tra le cinque colonne, che sostentan la volta, due sono di bell'affricano, due del rosso di Malsesine, ed una di bianco marmo coll'epigrafe dell'imperador Giuliano. Sulle esterne pareti della casa parrocchiale e in altri luoghi di qua e di sopra veggonsi incastonate alcune lapidi a basso rilievo, a sarcofaghi cristiani o ad altre cristiane antichità appartenenti.

A capo dell'istmo donde si esce in sulla via di Brescia, sono più anni che scavatosi, quasi rincontro alle Bettole, trovaronsi non poche arche di cotto co' loro lambelli, entrovi medaglie d'oro, d'argento e di rame, ed altre funerarie suppellettili, come pure bassi rilievi, e qualche statuetta di bronzo; nuove spoglie passate ad ornare la cenomana Brescia. Qui forse doveva esservi il cimitero de' Romani Sirmiesi, e poco lunge anche parte dell'antica Sirmione, donde sulla via tra Brescia e Verona le romane coorti, come dicemmo, vi avessero la stazione già ricordata nell'itinerario di Antonino. Cotesta parte di lago fronteggia la Lugana, antica selva da Rivoltella a Peschiera.

E qui è da osservare, che il lago da questa parte sempre più s'inoltra infra terra; e che già all'età nostra da due a tre volte s'è dovuto rinnovar la via pubblica, che vi fronteggia la riva. Al danno di sempre nuovi rifacimenti avea ben provveduto il nostro egregio ingegnere Pietro Ceroni, presentato al Senato Veneto il disegno di una via da resistere all'impeto dell'onde, non altramente che quella de' così detti murazzi nelle lagune. Che se mirisi a cotesto ingrandimento del lago da questa parte, non è al tutto inverisimile ciò che si ha per tradizione, cioè che tra Manerba e Sermione sia stato già terra, o meno esteso d'assai fosse tra loro due il varco delle acque. E basti di Sermione.