22 Giugno 2008

Il tragitto dei bambini, da Lequio Tanaro a Benevagienna

di Lorenzo Rulfo (Blog Lequio Tanaro. Racconti di Viaggio)

ScuolabusSono le sei e trenta del mattino, fa freddo, è buio, e sono perso nelle Langhe. Non perso fisicamente, il navigatore attaccato al vetro conosce la risposta, la posizione è chiara, sono a Lequio Tanaro, ospite di una famiglia di amici. Ma entro le otto devo essere a Torino e non posso permettermi il lusso di pensare, di guardare il paese con occhio critico per poter, poi, scrivere qualcosa. Eppure l’occasione è ghiotta, sono qui e chissà quando ci tornerò. Nulla, vuoto pneumatico, freddo e buio.

Certo, conosco la chiesa barocca di San Michele Arcangelo consacrata nel 1765, potrei parlare di quella; oppure più semplicemente della storia di questo spicchio di terra, del paese, posto sull’antica strada che collegava Pollenzo alla capitale dei Vagienni. Eppure la mente, a questi pensieri e a quest’ora, non si accende. Il cancello della villa si apre, scruto il volto assonnato di Alessandro che si è alzato solo per permettermi di uscire, qualche abbaiare di cani, un cenno del capo e sono sullo stradone. Senza guardare, chi mai potrebbe passare a quest’ora da qui, su una strada che conta, dall’alba al tramonto, non più di un centinaio di passaggi? Invece devo inchiodare, un grosso pullman giallo mi attraversa la strada. Non l’avessi mai detto! Metto a fuoco, è uno scuolabus. Sopra porta la scritta SCUOLABUS DEL COMUNE DI LEQUIO TANARO. Beh, faremo la strada insieme. Mi metto sulla sua scia. E ci vuole poco a che i miei sensi si risveglino. Perché è strano, un pullman, a quest’ora, che carica decine di bambini, davanti alle loro case, in aperta campagna. Tutti già svegli, con il camice indosso, pettinati, puliti, pronti alla giornata di scuola. Eccoli, su un pullman giallo, che taglia tutte le mattine fette di Langa, per portare la cultura a casa, o meglio, i bambini verso la cultura, verso la scuola, verso il futuro. Decido di seguirlo.

E capisco, ecco di cosa scriverò, l’idea è bella, un colore acceso che parte chissà a che ora, bambini che sparsi a caso, o in ordine, si sistemano ognuno all’ora indicata, fermi sul vialone aspettano, forse ansiosi, forse tristi, forse spaventati, comunque aspettano il grosso pullman giallo che li porterà a scuola. Con ogni tempo, ogni umore, in ogni strada, eccolo, lui, lo scuolabus, procede lento, maestoso e alle sette e trenta, inesorabile, arriverà davanti ai cancelli grigi e tristi della scuola di Benevagienna. Il pullman si ferma e gli alunni scendono. Ora tocca a loro aspettare l’apertura di quei cancelli, girando per il paese, ripassando disperatamente per le imminenti interrogazioni o semplicemente dormendo con lo zaino a cuscino. Guardo l’orologio, è tardi, troppo tardi. Riparto sfrecciando di fianco a quei ragazzi, decine di mani mi salutano, torno indietro nel tempo a quando, bambino, in viaggio per la gita, salutavo le macchine che sfrecciavano accanto felice ed eccitato. E mi commuovo. Arrivo a Torino con un’ora di ritardo, ancora una volta il mondo mi ha rubato il tempo.

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