13 Agosto 2011

Abolizione delle Province: il parere dei Presidenti

di Massimo Di Bello (Editoriali)

Tra il 2008 e il 2009 abbiamo intervistato diversi Presidenti di Provincia. Visto che già allora si parlava dell’abolizione delle Province avevamo chiesto il loro parere anche sul ruolo di tale ente. Oggi che il tema è tornato alla ribalta, dopo che il Governo ha previsto l’abolizione delle province con meno di 300.000 abitanti, è interessante andare a rivedere le loro risposte, mettendole a confronto (interviste a cura del nostro Marcello Di Sarno).

Alcuni dei presidenti intervistati sono ancora oggi in carica, alcuni sono invece passati a guidare altre istituzioni.

Matteo Renzi, allora presidente della Provincia, oggi Sindaco di Firenze, diceva:
Chi definisce la Provincia come un Ente inutile, spesso non ha idea del lavoro che questa svolge e quante siano le funzioni assegnatele direttamente dallo Stato e delegatele dalle Regioni. La funzione di coordinamento nella programmazione che viene fatta, a livello territoriale, con tutti i Comuni della provincia è uno dei compiti che impegnano l’Ente in un ruolo di raccordo, del quale ogni piccola Istituzione sente la necessità.
Credo pertanto che la Provincia prevista in Costituzione non sarà abolita, ma se ciò avvenisse io non mi opporrei. Ricordo solo che le funzioni oggi svolte dall’Amministrazione provinciale dovrebbero essere ricollocate fra i Comuni, spezzettando così un ambito territoriale di programmazione di grande necessità per lo sviluppo delle aree ricomprese.

Ecco come si esprimeva Sergio Scaramal, ex Presidente della Provincia di Biella (una di quelle interessate oggi dal provvedimento del Governo):
Pur essendo naturalmente favorevole al mantenimento delle province, come enti di programmazione di area vasta, con ruolo di coordinamento tra Regione e Comuni, sono invece d’accordo sull’ipotesi di accorpamenti fra province. E sono anche d’accordo sull’eliminazione di numerosi enti che si sovrappongono alle funzioni della Provincia.
Bisogna in sostanza definire e riaggiornare i compiti delle province e le loro dimensioni sia per risparmiare denaro, sia per distribuire meglio le risorse finanziarie di cui, lo ripeto, siamo stati carenti.

Rimaniamo nel Piemonte e rivediamo il parere dell’ex Presidente della Provincia di Cuneo, Raffaele Costa:
Promotore di una personale campagna di sburocratizzazione e semplificazione normativa, ho in passato sostenuto in prima persona l’abolizione delle Province. La recente esperienza della presidenza in Granda ha però contribuito a modificare questo punto di vista.
Sono oggi consapevole del ruolo di coordinamento territoriale svolto su numerosi fronti dall’Ente Provincia, quale punto di contatto e mediazione tra le differenti realtà comunali e regionali. Alle Province vengono inoltre delegate sempre più numerose e importanti competenze dalle Regioni, a conferma del ruolo di ente territoriale di vasto respiro.

Andando in Basilicata, troviamo Carmine Nigro, ex Presidente della Provincia di Matera, un’altra delle province che sarebbe colpita dal provvedimento del Governo.
La Provincia ha avuto e continuerà ad avere un ruolo. L’ho detto prima: cinghia di trasmissione tra le istanze comunali e la programmazione regionale. Ente intermedio che deve continuare ad esercitare la sua azione a sostegno del territorio. Il suo è un ruolo fondamentale.
Chi si occuperà di viabilità, scuole, politiche del lavoro, formazione senza la Provincia?
Per questo ritengo necessaria un’azione corale in sua difesa. Cancellare la Provincia non è un segnale di modernizzazione del sistema-Paese.

Dalla Basilicata andiamo in Liguria dove ben tre province su quattro sono sotto la fatidica soglia dei 300.000 abitanti, tra cui la Provincia de La Spezia, con il suo (ancora attuale) Presidente Marino Fiasella, che proprio oggi si è espresso dicendo “Il costo delle province è una pagliuzza rispetto alla trave dell’evasione fiscale”. Ecco la sua risposta nell’intervista del 2009:
La Provincia, in quest’ultimo decennio, ha accentuato la propria “utilità” tanto nei servizi istituzionali di tutela e manutenzione del territorio quanto nell’utilizzo degli strumenti per il sostegno alla formazione ed al mercato del lavoro, sviluppando competenze nuove sia nel campo delle politiche comunitarie e della cooperazione, sia in quello del sostegno allo sviluppo dei piccoli comuni.
Proprio i piccoli comuni, per i quali la Provincia coordina strumenti di sostegno agli investimenti cofinanziati dalla Regione Liguria, sono gli interlocutori più sensibili al ruolo dell’ente, che tra gli obiettivi di fondo ha proprio quello del riequilibrio territoriale delle opportunità di sviluppo ed il superamento delle marginalità che per decenni hanno caratterizzato le aree interne e montane del nostro territorio.

Passiamo ora all’ex Presidente della Provincia dell’Aquila, Stefania Pezzopane:
Ritengo che a sette anni di distanza dall’entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione, Parlamento e Governo non sono riusciti a dare ancora piena attuazione alle nuove disposizioni, soprattutto in termini di federalismo fiscale. Non ci sarebbe un reale risparmio di risorse sopprimendo le Province, considerando che le funzioni che svolgono dovranno essere attribuite ad altri enti a cui trasferire le relative risorse.
L’unica strada da percorrere è un nuovo riordino istituzionale, che consenta di trasferire effettivamente alle Province molte competenze, che al momento esistono solo sulla carta. Nel contempo andrebbero eliminati altri enti ridondanti, che non hanno una diretta legittimazione democratica e che dunque non hanno responsabilità dirette nei confronti dei cittadini.

Rimanendo ancora in Abruzzo, ecco l’ex Presidente della Provincia di Pescara Giuseppe De Dominicis:
Dice il vecchio proverbio cinese che “mentre il saggio indica la luna, lo sciocco guarda la mano”.
Il saggio dice che occorre ripensare l’assetto istituzionale complessivo del Paese, lo sciocco grida alla riduzione del costo della politica, ma non dice che nelle province italiane, complessivamente, tra indennità di carica e quant’altro, assorbe la miseria dello 0,84% del totale dei bilanci. Il saggio dice che occorrono Regioni che gestiscano il meno possibile, facciano più programmazione e lascino invece più gestione agli enti intermedi come le Province, espressione pur sempre di un’area vasta e coesa, o a più diretto contatto coi cittadini, come i Comuni; lo sciocco agita davanti all’opinione pubblica il simulacro delle Province, ma si tiene ben stretti tutti quei centri di potere anomali che sono invece i tantissimi enti d’ambito, gli infiniti consorzi, le miriadi di partecipate di ogni ordine e grado, con consigli di amministrazione e direttori generali.
E con questo credo di aver espresso con chiarezza quale sia il mio pensiero.

Passiamo nel Lazio, con l’ex Presidente della Provincia di Viterbo Alessandro Mazzoli, con la sua netta opposizione all’abolizione delle province:
Le Province sono una costola fondamentale delle istituzioni democratiche italiane. Non a caso, previste dalla Costituzione. La Provincia di Viterbo ha cercato, negli anni, di rafforzare il suo ruolo di ponte tra i Comuni della Tuscia Viterbese e la Regione Lazio.
A questo che è il principale ruolo, si affianca un compito di coordinamento senza il quale raggiungere risultati e traguardi per il territorio risulterebbe molto più complesso. Una funzione che negli ultimi anni si è anche rafforzata. Basti pensare alla creazione della Talete, società interamente pubblica che si occupa della gestione delle risorse idriche, un lavoro impegnativo portato avanti di concerto con gli enti locali.
Penso inoltre alle deleghe sul turismo e sull’urbanistica, passate alla Provincia. Significa che l’ente è entrato ancor più a far parte del quotidiano di tutti i Comuni, poiché presto sarà proprio la Provincia ad approvare piani regolatori, varianti e strumenti urbanistici.
Alla luce di questi e tanti altri motivi, mi sembra assurdo parlare di abolizione delle Province. Avallare questa scelta equivale a ritenere inutile qualsiasi altra realtà provinciale, il cui ruolo è invece insostituibile in ogni campo.

Arriviamo alla Presidente della Provincia di Reggio Emilia, rieletta di nuovo nel 2009 e oggi ancora in carica, Emilia Sonia Masini:
Non mi preoccupa il futuro dei singoli enti, quanto il pressappochismo che fa da sfondo al dibattito insulso di questi anni. Volendo giustamente denunciare gli sprechi ed i comportamenti scorretti, si finisce col colpire indiscriminatamente, confondendo gli enti che funzionano e quelli parassitari, le persone oneste con i mascalzoni.
Noi lavoriamo tanto, realizziamo strade, scuole, servizi; cerchiamo di pianificare e di programmare, per spendere meglio e produrre maggiore giustizia. Abbiamo tagliato spese correnti e spinto molto sugli investimenti. Vorremmo essere valutati nel merito, non per “categorie”.
Non credo sia finito il tempo delle province quanto quello dei doppioni, delle sovrapposizioni, della troppa ed inutile burocrazia, delle dimensioni inadeguate. E questa cura dovrebbe riguardare tutti: province, comuni, regioni, prefetture, ANAS, bonifiche, enti utili ed inutili. Allora sì che il Paese ne riceverebbe effetti benefici, il resto è confusione e demagogia. Ed è proprio ciò che non serve né agli stati né alle persone.

Per la Lombardia, abbiamo l’ex Presidente della Provincia di Pavia, Vittorio Poma:
Il futuro di questo ente sta nella capacità di farlo funzionare bene. Nella capacità politica, di indirizzo, che avremo o non avremo nei prossimi anni.
Io sono convinto che un ente che coordini le esigenze dei territori e si faccia portavoce in sede regionale di queste stesse esigenze abbia un ruolo importante. Dobbiamo anche tenere conto che le competenze della Provincia nel corso degli ultimi dieci anni si sono moltiplicate. Oltre a quelle tradizionali – strade e scuole – oggi la Provincia si occupa di formazione professionale, politiche del lavoro, programmazione dei trasporti, difesa dell’ambiente e del territorio, di protezione civile.
Abbiamo “imparato” a gestire le nuove deleghe con un portafoglio di spesa che spesso non ne teneva conto. Abbiamo maturato competenze, capacità, professionalità, realizzato investimenti. Non buttiamo a mare questo patrimonio.

I Presidenti delle province maggiori, di Roma, Milano e Napoli, puntano invece sulle “Città Metropolitane“, vediamo le loro risposte.

Dino Di Palma, ex presidente della Provincia di Napoli:
Il futuro è certamente quello delle Città metropolitane. E lungo il complesso percorso che porterà alla loro istituzione, va tenuto presente che quella di Napoli è la più significativa area metropolitana d’Italia, con più di tre milioni e mezzo di abitanti e con una complessità strutturale senza pari.
È necessario, pertanto, dedicarle l’attenzione che merita, anche in vista della realizzazione delle cosiddette Città metropolitane. Ciò va fatto attraverso una serie di azioni incisive, capaci di produrre autentico sviluppo su un territorio di fondamentale importanza per l’intero Paese Italia. Credo che, in tal senso, un ruolo centrale delle Province possa favorire il rilancio delle nostre città e un più efficace governo del territorio.

Filippo Penati, ex Presidente della Provincia di Milano (ultimamente assurto agli onori delle cronache per altri motivi):
La Provincia di Milano, per la sua caratteristica di area metropolitana, deve far posto alla Città metropolitana.
L’attuale ente deve essere sostituito con uno di area vasta, che al suo interno si articoli in comuni metropolitani (sulla base dei municipi esistenti), che assorba le funzioni delle Provincia - quali quelle relative a mobilità, ambiente, lavoro, sicurezza - e quelle strategiche più importanti del Comune capoluogo e degli altri che ne fanno parte.
Solo una riorganizzazione dei diversi livelli di governo può portare a quella semplificazione amministrativa e a quella efficienza che i cittadini attendono da anni.

Nicola Zingaretti, ancora oggi Presidente della Provincia di Roma:
Da quanto ho compreso, anche dagli interventi dei ministri Maroni e Ronchi all’ultimo congresso dell’Upi del 15 ottobre [2008], l’abolizione delle Province non è nel programma del Governo che anzi è consapevole del ruolo degli enti di area vasta a tutela dei piccoli comuni.
La questione della soppressione delle Province, mi sembra che sia stato un dibattito che ha avuto la sua forza nel corso della campagna elettorale, ma spenti i riflettori si è tornati a cercare il modo di rendere ancora più utili questi enti. Discorso diverso per quanto riguarda l’assetto istituzionale del nostro territorio che, comprendendo anche la Capitale, ha una sua specificità come tutti riconoscono.
Ribadisco l’esigenza di aprire una nuova fase che deve portare alla costituzione della “Città metropolitana”. Un ente di area vasta al quale vengano devoluti i poteri e che comprenda Roma ed i 120 comuni della provincia. Un sistema istituzionale più snello, razionale, efficiente e vicino ai cittadini, perché la crescita di Roma passa attraverso lo sviluppo e l’integrazione della sua area vasta.

Speriamo che l’avere raccolti qui le opinioni di diversi Presidenti di Provincia, da tutta l’Italia, sia un valido contributo alla discussione attualmente in corso nel Paese, sulla questione abolizione sì abolizione no. Sicuramente possono essere degli spunti interessanti da tenere conto.

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4 commenti a “Abolizione delle Province: il parere dei Presidenti”

  1. greenleaf scrive:

    Da semplice cittadino, non sono contrario ad una riorganizzazione degli enti locali, ovvero ad una riduzione degli enti locali (quali i comuni, le province ed anche le regioni) troppo piccole ma anche agenzie regionali e provinciali inutili.
    Questo potrebbe liberare risorse riducendo i duplicati nelle cariche ma anche nelle persone assunte.
    Se proprio non si volesse fare ciò, si potrebbe cominciare (come già in uso in alcune zone d’italia) alla creazione di rete di servizi unificati (questo però dovrebbe tradursi sempre in una diminuzione delle cariche e dei dipendenti di un ente); altrimenti è solo un aggravio di costi che l’italia non può più permettersi visto che mi sembra di assistere ad una de-industrializzazione del paese (con tutto quello che ne comporta, ovvero una riduzione della ricchezza, che non è controbilanciata dal commercio e dai servizi).
    Non ci sono più italiani che vanno a lavorare all’estero e riportano capitali ma solo italiani che comprano oggetti prodotti all’estero e quindi i capitali escono. Se continua così abbiamo poco meno di 10 anni prima che i soldi prima entrati con gli emigranti e l’export della nostra industria, tornino all’estero.

  2. Massimo Di Bello scrive:

    Sicuramente i costi della politica vanno abbassati e vanno ridotti sprechi e inutili privilegi.
    Ma non sono convinto che questi tagli fatti con l’accetta, in maniera indiscriminata siano la soluzione migliore.

    Molti piccoli comuni hanno una loro storia alle spalle e sono un importante presidio del territorio. Già oggi molti comuni montani hanno il problema dello spopolamento. Una volta che li aggreghi, costringendo i cittadini a fare chilometri e chilometri per avere dei servizi di base (carta d’identità, anagrafe, etc.), diventa una ulteriore spinta ad abbandonare i luoghi.

    Avere una propria rappresentanza elettiva locale può essere un elemento fondamentale. Un piccolo comune buttato in un generico aggregatore diventerebbero solo quattro casupole di cui nessuno si occupa, periferia senza più la possibilità di autogestirsi e di provvedere alle proprie necessità.

    Prendiamo ad esempio un caso estremo, Morterone, con soli 37 abitanti (ma che ne aveva quasi trecento negli anni ‘50, vedi: http://www.comuni-italiani.it/097/055/statistiche/popolazione.html il grafico è molto significativo)

    Basta guardare la mappa per capire di cosa stiamo parlando:
    http://www.comuni-italiani.it/mappa/?ll=45.8765,9.4832&z=14&t=h
    questa la strada che conduce a Morterone:
    http://morteronese.altervista.org/la_tortuosa_strada_che_conduce_a.htm
    strada che viene così descritta “La strada che da Ballabio sale a Morterone si snoda per 15 faticosi chilometri di curve ininterrotte”

    Ha davvero senso che il centro cittadino sia spostato altrove in una poco raggiungibile località,
    rendendo la popolazione lì presente senza più un proprio centro di gravità?
    Il Sindaco di questo nuovo aggregato sarebbe in grado di seguire la vita e i problemi di quella comunità?

    Da notare che anche se ha una piccola popolazione, è una località che ha comunque un suo fascino turistico, punto di partenza per escursioni:
    http://www.passolento.it/schede_gite/morterone.htm

    Se la comunità sparisce, a perderci non sono solo i morteronesi, ma tutti noi, che perdiamo un angolo d’Italia.

    Ora in realtà, non conosco in maniera specifica la situazione di quel comune,
    magari davvero in quel caso può essere utile un accorpamento,
    il punto è che sono cose da valutare con attenzione caso per caso,
    non imponendo in maniera verticistica un’unione non sentita dalle comunità locali
    o non adatta alle esigenze di quel territorio

    Più che accorpare in maniera coatta i comuni, punterei più ad una migliore gestione, informatizzazione dei servizi, controllo dei costi, etc. etc.

  3. Marcofax2 scrive:

    Buonasera a tutti,
    E’ innegabile che i costi della politica siano esorbitanti.
    E’ verità che i candidati spendano cifre incredibili per ottenere un posto anche se in una piccola amministrazione comunale.
    Viene da chiedersi come simili investimenti siano gratificati da un teorico minimo compenso economico.
    In realtà, come ben noto a tutti, la loro gratificazione va ben oltre quanto stabilito e concesso dalla legge.
    A mio parere non serviranno meno province, ma più persone oneste.
    Non conosco politici onesti.

  4. renzo52 scrive:

    Io ritorno a dire che i comuni troppo piccoli vanno accorpati.
    Ogni comune necessita di un segretario comunale, (non meno di 2.000 € mensili) impiegati,(almeno due a 1.200 € mensili) operai (per pochi che siano quasi sempre due a non meno di 1.000 € mensili), poi abbiamo il sindaco (non meno di 1.500 € mensili) quattro assessori (non meno di 500 € mensili). quindi il consiglio comunale con i vari gettoni di presenza, mezzi vari ed arriviamo a capire che un comune di 150 anime ogni mese ha un esborso di almeno 15/20 €.
    Io credo possano esserci diverse opzioni per salvaguardare etnie e luoghi particolari, ma la politica deve tagliare le spese, non lo devono fare solamente i cittadini.

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