22 Ottobre 2010

Le seduzioni del Grand Tour e la sindrome di Stendhal

di Alessio Postiglione (Blog Firenze. Cinema in Comune)

Locandina Camera con vista

Locandina Camera con vista

Sindrome di Stendhal, bellezza, arte, erotismo. Un topos che Firenze reca fisiologicamente con sé e tema principale sia di Camera con vista, il film del 1986 diretto da James Ivory, tratto dall’omonimo romanzo di E. M. Forster, vincitore di tre premi Oscar, con Daniel Day Lewis, che di Ritratto di signora, pellicola del 1996 diretta da Jane Campion, tratta dall’omonimo romanzo di Henry James.

E’ il tema del grand tour, della seduzione visiva dell’Arno, dei capolavori del Rinascimento che giungono, infine, a far vibrare l’umanità puritana del mondo anglosassone che deve cedere alle lusinghe del bello.

Sindrome di Stendhal è anche il nome della pellicola di Dario Argento, del 1996, interpretata dalla figlia del regista Daria e che ha per sfondo la Galleria degli Uffizi. Firenze è, quindi, una città che, cinematograficamente, si identifica fortemente con i temi del bello e dell’arte.

Ma, la città porta con sé anche l’idea di luogo di viaggio, di riscoperta, anche di se stessi. Un tema che ritorna spesso, anche se declinato sempre in modo diverso.
Come in Souvenir d’Italie, di Antonio Pietrangeli, del ’57, film interamente dedicato al tema del viaggio, o ancora, in Viaggi di nozze (1995), dove Carlo Verdone certifica come la meta colta del turismo d’elite vittoriano o anche la Firenze alternativa del backpacker, possa trasformarsi nella triste vacanza massificata dei “coatti”; almeno, facendoci ridere dei vizi di questi italiani da strapaese.

Locandina Ricomincio da Tre

Locandina Ricomincio da Tre

Partire non è un po’ morire: è anche rinascere, ricominciare. Come in Ricomincio da tre, dove Massimo Troisi, istrione partenopeo, sceglie proprio il capoluogo toscano per ricominciare: “da tre, perché tre cose bone me so riuscite nella vita, perché l’aggio jittà (trad. buttare)?”.
Ma il viaggio non può consentire di fuggire da se stessi e da una condizione che ci è cucita addosso dagli altri, anche quando si parte per la magica Firenze. Lo sa bene Troisi, in quella pellicola, perché egli, dovunque vada, viene riconosciuto sempre come “emigrante”. “Ma perché, un meridionale non può viaggià, può solo emigrà?”, sbotterà esterrefatto.

Marco Tullio Giordana, invece, ha ambientato a Firenze la sua Meglio gioventù, eleggendo la capitale medicea a specchio della storia italiana degli ultimi quarant’anni. Non solo Donatello, ma soprattutto inquietudini, gli anni di piombo, e la ferita mai rimarginata dell’alluvione dell’Arno del 1966, che ritorna anche in Amici miei atto II (1982) di Mario Monicelli. Il viareggino Monicelli, d’altronde, è paradigmatico di quella comicità toscana, graffiante, dura, cinica, che ritroviamo in molti nomi di quella che possiamo considerare una vera e propria scuola che, nonostante sia di carattere regionale e non cittadino, elegge spesso Firenze a set privilegiato.
Partiamo proprio dalle irresistibili gag di Amici miei, del 1975, di Monicelli.
Ma pensiamo, ancora, alla Firenze surreale, popolata di luoghi e personaggi onirici, filmata da Alessandro Benvenuti in Ad ovest di Paperino.
Oppure alle tante pellicole di Francesco Nuti, come Caruso Pascoski di padre polacco (1988) e Casablanca, Casablanca (1985). Berlinguer ti voglio bene, il film del 1977 diretto da Giuseppe Bertolucci e interpretato da Roberto Benigni, un vero e proprio capolavoro della comicità toscana, è ambientato soprattutto a Prato, ma vi sono alcune riprese anche fiorentine.

Giungiamo, infine, agli epigoni di questa scuola, come il fiorentino Paolo Hendel, o con i film di Leonardo Pieraccioni (I laureati, 1996; Il ciclone, 1996) e Massimo Ceccherini (Faccia di Picasso, 2000).
Andiamo sui classici. A Firenze è ambientato il quarto episodio di Paisà (1946), di Roberto Rossellini.

La città, poi, fa da sfondo alle pellicole tratte dalle opere del grande scrittore fiorentino Vasco Pratolini come Cronache di poveri amanti (1954) di Carlo Lizzani, Cronaca familiare (1962) e Le ragazze di San Frediano (1954) di Valerio Zurlini e Metello (1970), di Mauro Bolognini, affresco della Firenze socialista, comunista ed anarchica, sulla lotta nelle fabbriche, durante l’epoca umbertina. Bolognini ambienta, inoltre, a Firenze La viaccia (1961), tratta da L’eredità del grossetano Mario Pratesi.

Una scena de «La cena delle beffe»'

Una scena de «La cena delle beffe»

Un’altra Firenze che è stata fissata dal cinema, d’altronde, è proprio quella del Medioevo e del Rinascimento: la città storica. E’ il caso dei I condottieri (1937) di Luis Trenker, che racconta le avventure del capitano Giovanni dalle Bande Nere, de La cena delle beffe (1941) di Alessandro Blasetti, de Le notti segrete di Lucrezia Borgia (1982, Roberto Bianchi Montero) o de L’arcidiavolo (1966) di Ettore Scola, sulla scia di Niccolò Machiavelli.

In tema di classici, val la pena ricordare che un maestro dell’avanguardia francese degli anni ’20, Jean Epstein, ambientò a Firenze il suo Cuor di vagabondo (1936).
Altri classici qui ambientati sono L’appuntamento (1977, Giuliano Biagetti), Stanno tutti bene (1990, Giuseppe Tornatore), La congiuntura (1965, Ettore Scola), La notte di San Lorenzo (1982, Paolo Taviani), Incompreso (1966, Luigi Comencini), Per le antiche scale (1975, Mauro Bolognini), e Sette note in nero (1977, Lucio Fulci).
Un posto particolare, ovviamente, spetta ai film del maestro fiorentino Franco Zeffirelli, del quale ricordiamo Per Firenze, film del ‘66 lanciato dopo l’alluvione per accendere i riflettori internazionali su quel disastro.
Il capoluogo toscano, inoltre, si presta molto bene anche ai thrilling, come dimostrano Hannibal (2001), il pluripremiato film di Ridley Scott e Obsession (1976) di Brian De Palma.

E’ da ricordare, infine, che Firenze è la città natale di Leonardo Benvenuti, uno dei più grandi sceneggiatori italiani, degli importanti produttori Cecchi Gori e di Elena Sofia Ricci. Inoltre sono fiorentini d’adozione attori come Roberto Benigni e Giorgio Albertazzi.

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1 commento a “Le seduzioni del Grand Tour e la sindrome di Stendhal”

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