L’automobile procede lenta, l’asfalto bagnato non permette particolari accelerazioni. Il tempo stesso sembra suggerire una velocità malinconica, come un lento respiro nella nebbia. Nella macchina Alessandro, amico di mille avventure, fedele compagno da tempi lontani ed io. Firenze non è molto distante, forse un’ora di strada, forse meno. La destinazione è vaga, nemmeno sappiamo con precisione il nome del paese che vogliamo visitare. Di preciso sappiamo solo che fu set cinematografico del film “Ivo il tardivo” di Alessandro Benvenuti, che ora è completamente abbandonato e che, con buone probabilità, non potremo affatto visitarlo.
Varchiamo il cartello con la scritta Arezzo, la direzione dovrebbe essere giusta, l’aria fredda del mattino penetra attraverso i finestrini, ma è quello che vogliamo, la sensazione del viaggio data soprattutto dalla sua meravigliosa scomodità. Alessandro sorride, mi parla: “forse è meglio fermarci e chiedere indicazioni”. So che ha ragione, ma immagino sia difficile chiedere di un paese di cui non sappiamo il nome. Fermo la macchina, un ragazzo in bicicletta si spaventa temendo in noi intenzioni poco chiare. Abbasso il finestrino. “Scusa, stiamo cercando un paese.” “Che paese?” con voce sicura, come per darsi un tono. “Il nome non lo sappiamo, ma ci hanno girato un film, ed ora dovrebbe essere completamente abbandonato.” Smette gli occhi diffidenti, sorride, come se avessi pronunciato qualche parola magica. “Castelnuovo dei Sabbioni, potevate dirlo subito. Ma non è un paese, è una frazione di Cavriglia. Vi ci porto”. Senza aspettare risposta con il piede colpisce il pedale della sua bicicletta e parte sul ciglio della strada. Lo seguiamo soddisfatti; la strada è breve ma sufficiente, alla nostra velocità, a creare una fila chilometrica di macchine.
Poco dopo siamo fermi, davanti a noi un cancello arancione, da cantiere, lucchettato, poi un ponte, un altro cancello ed il paese meta del nostro viaggio. Si trova su un piccolo monte isolato, e questo lo rende ancora più particolare, magico, stregato. “Siamo arrivati.” Guardo Alessandro deluso, speravo si potesse visitare, ma la soddisfazione nei suoi occhi mi regala d’un tratto la sicurezza del proibito, meglio, ancora meglio, lo visiteremo comunque, da soli. Soli nel paese abbandonato. “Perché fu abbandonato?” Il ragazzo scende dalla bici. “Molte di quelle case furono create per dare ospitalità ai minatori dell’Enel, scavavano per estrarre lignite. Una delle cave più importanti si trovava qui sotto. Ma il paese ha origini molto più antiche, nella piazza del paese c’è la casa natale di un noto pittore, non ricordo il nome”.
Saluta e va via, il ragazzo. Rimaniamo finalmente soli. Dopo pochi sguardi e qualche sorriso, senza parole, stiamo scavalcando il primo cancello, passiamo il ponte e superiamo anche il secondo. E siamo dentro.
Il paese è meraviglioso, la sensazione di abbandono repentino, le case tutte aperte con al loro interno ancora mobili, oggetti. Passiamo la piazza, il silenzio rotto solo dal rumore di pioggia che ora cade leggera, come a suggellare un patto meraviglioso di quiete, riporta l’odore della lieve profanazione che abbiamo compiuto. Eccoci nella chiesa, aperta, come tutto, il giardino dietro che pare magico, poi la scuola, le case. La sensazione è indescrivibile, il fascino di qualcosa che era e non è più, eppure rimane vivo, parla attraverso ricordi che non possiamo, noi non possiamo avere. Giriamo il paese abbandonato per ore, fino all’esaurimento delle forze, fino a perdere il senso del tempo.
Poi, da lontano, un rumore di sirene. Forse non vuol dire nulla, ma la paura che stiano venendo a prendere noi rompe la magia e porta la paura. Scavalchiamo nuovamente i due cancelli e siamo in viaggio, verso casa, verso il mondo, verso Firenze. Questa notte avremo qualcosa da sognare.
(Foto di Giorgio Vasarri in Licenza Creative Commons)
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