E’ solitudine che vado cercando. No, non è un viaggio di piacere. Si tratta di legare un gesto alla stagione che sfuma e credere che il cambiamento debba essere sigillato con un atto che diventerà simbolo. Nel mio caso, questo viaggio.
Perché Nuoro? Per una concentrazione di motivi, tipo mettersi miglia di mare alle spalle (anzi, tutt’intorno); cercare uno dei possibili centri del Mediterraneo, la Sardegna e non restarci sulla crosta, che il mare di fine estate è difficile da salutare. Allora dentro, quanto più dentro, fino al cuore, nella Barbagia. Fino a Nuoro!
Scendo al porto di Olbia e giro il muso della moto verso l’interno, qui nell’unica regione d’Italia dove non esistono le autostrade. Comunque, non l’avrei presa lo stesso.
Il cambiamento di prospettiva è tanto graduale quanto deciso: qui non arriva neanche l’odore dell’acqua salmastra, solo montagne tessute di verde e roccia, che ti portano a guardare in alto. La città si adagia alle pendici di una di queste, il monte Ortobene.
Come avevo preventivato, parcheggio la moto e mi affido alle gambe, pronto ad ascoltare e guardare.
Corso Garibaldi taglia la città da est ad ovest. Come Via la Marmora, che inanella sul suo percorso Piazza delle Grazie e Piazza Sardegna.
Che so di Nuoro? Praticamente nulla, soltanto che è il paese dove è nata Grazia Deledda, la scrittrice premio Nobel autrice di “Canne al vento“, che tra l’altro non ho letto. Decido di partire dalla sua casa natia, casa che è diventata il Museo Deleddiano. Praticamente è una biografia architettonica! Nella V sala è esposto il Premio e le foto della cerimonia, lei in piedi davanti al semicerchio dei premiati, una donna nuorese a Stoccolma nel 1926…
Nella sala successiva scopro che la città è considerata l’Atene dei Sardi e che non poche sono state le personalità artistiche che hanno calpestato questo suolo: i letterati Salvatore e Sebastiano Satta, lo scultore Francesco Ciusa, Marcello Fois…
Piazza Sebastiano Satta è una meraviglia: nel senso che non ti aspetti di trovarla disseminata di blocchi di granito che sembrano spuntati or ora dal selciato, ognuno con una statuetta di bronzo dentro. Nientemeno è l’omaggio al poeta da parte di uno scultore, Costantino Nivola, che per esaltare l’opera ottenne che tutti gli edifici che affacciano sulla piazza venissero imbiancanti di calce.
Prossima fermata: il Museo della Vita e delle Tradizioni popolari sarde, sul colle di Sant’Onofrio.
Qui è custodita la storia della Sardegna, una storia millenaria, fatta di circa 8.000 reperti tra abbigliamento, monili, strumenti musicali, semplici oggetti e… pane! Si, proprio pane tradizionale, un centinaio di tipi diversi per scandire eventi, stagioni, ricorrenze. Forse è proprio la vibrazione che stavo cercando!
Ma quello che mi affascina sono le maschere, potenti ed evocative come i loro nomi: Boes, Thurpos, Eritaju… e poi Mamuthones e Issohadores, del celebre carnevale di Mamoiada, un paese a pochi chilometri da qui. Viste in televisione non emozionano neanche un capello di quando le si vede dal vivo, in questo museo. Figurarsi poi a Mamoiada, in pieno folklore!
Ero saturo, ebbro della Sardegna più arcaica. Nuoro ha indossato i panni della fiera custode della tradizione, una parola che non di rado spaventa, invoca contrapposizioni tra vecchio e nuovo, pesanti e noiose catene di formalità. Fortunatamente il più delle volte è sinonimo di identità e l’identità affascina, soprattutto quella diversa dalla propria.
Questo pensavo bighellonando per Via Satta, quando i miei occhi si riempirono dell’edificio del MAN, il Museo d’Arte contemporanea di Nuoro.
Spulcio un po’ tra i programmi: vedo che il museo ospita le opere dei più importanti artisti sardi di oggi ed è ben inserito in un circuito internazionale. Proprio qui, un enclave d’avanguardia nella tradizione!
Non è un pugno nell’occhio come potrebbe sembrare, anzi, è il viso fiero della città che si distende in un sorriso e sembra dirti: “Vedi cosa non ti aspetti da Nuoro?”.
Il panorama dalla cima del monte Ortobene è struggente quanto l’autunno che sta bussando all’uscio: le ultime propaggini del Gennargentu, l’arcigno Supramonte, il mare sul quale domani scivolerò verso casa…
La benedizione impetuosa dell’enorme statua del Redentore protegge la città e chi leva lo sguardo al cielo.
Il cuore dell’antica Sardinia pulsa placido. Da millenni.
(Foto di Max.oppo e di Conanil in licenza Creative Commons)
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