22 Ottobre 2008

Mortirolo: omaggio al “pirata” Pantani

di Andrea Bonfiglio (Blog Mazzo di Valtellina. Racconti di Viaggio)

L’auto procede lamentandosi.
L’asfalto è un groviglio di tornanti inerpicati su per la montagna; nessuno scende verso valle.
La segnaletica presente ai bordi della strada d’un tratto prende vita: un capriolo in carne ed ossa attraversa come un fulmine la strada e scompare nell’oscurità del bosco.
Sembra di passare in un posto abbandonato dall’uomo, dimenticato. Il silenzio è rotto soltanto dal canto degli uccelli e dal rumore che fa il vento insinuandosi tra le verdeggianti fronde degli alberi. La nostra vecchia macchina non è altro che l’intruso venuto a rovinare la quiete. Ecco perché, forse, la salita non mostra alcuna pietà nei confronti del logoro motore che, con un rantolo cadenzato, chiede vanamente tregua.

La pendenza si attesta tra il 18% e l’11%: è questo il passo del Mortirolo. Siamo circa all’altezza dell’ottavo chilometro – venendo dal nobile versante della Valtellina – e dopo l’ennesima curva a gomito scorgiamo uno slargo di fronte ad un muro di pietra. Parcheggiamo e scendiamo.
La cintura di roccia che contiene l’esuberanza del terreno ha però qualcosa di speciale; non è una semplice barriera che difende i viandanti dalle piccole frane e dagli smottamenti. Su di essa, infatti, sorge il monumento ad uno speciale scalatore, un uomo che per compiere le sue gloriose imprese non usava il piccone ma la bicicletta. Il suo nome era Marco Pantani. Voluta dall’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti, la statua ricorda l’atleta che più di altri, su quest’altura, ha saputo emozionare gli sportivi costruendo trionfi indimenticabili.

Il primo impatto è davvero suggestivo. Il “pirata” è in sella alla sua bici, ricavata in una striscia di acciaio corten dalla quale spuntano le ruote, con il capo rivolto all’indietro, quasi a voler controllare la distanza degli avversari. L’espressione del volto è l’icona della fatica, così come la postura del corpo e la posizione dei muscoli sono l’emblema della forza. Marco è ancora lì che spinge sui pedali e si erge sul manubrio, stretto fra le mani.

Il significato e l’importanza della scultura a lui dedicata sono di facile intuizione, basta difatti osservare i numerosi striscioni, i fiori, le magliette, i bigliettini, le borracce e tutti gli altri oggetti che i passanti – mai transitati per caso – hanno lasciato in omaggio al campione romagnolo. Un’immagine toccante che difficilmente passa inosservata.

Prima di ripartire, una foto ricordo è d’obbligo, quasi fosse un rito cui difficilmente ci si sente di sottrarsi. La ventola dell’auto ha finalmente smesso di frullare così non resta che salire a bordo e mettersi nuovamente in marcia.

I pini, gli abeti, le betulle ed i larici che adornano questo scorcio di Lombardia, meglio noto come Mazzo di Valtellina, sono una cornice straordinaria, capace di esaltare magicamente una delle vette più rinomate d’Italia. La conferma all’eccezionale valore naturalistico della zona arriva puntuale qualche metro più avanti, quando un secondo esemplare della fauna locale sfila con grazia davanti ai nostri occhi. Sembra essere uno scoiattolo che, sceso da un tronco a margine della carreggiata, attraversa la strada da destra verso sinistra. Uno spettacolo raro, offerto con generosità da un remoto angolo della provincia di Sondrio.

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