20 Gennaio 2009

La “capitale” tanto amata da Rodari e dai bambini

di Sofia Riccaboni (Blog Orta San Giulio. Interviste Scrittori)

Michele Marziani è un ragazzino travestito da signore di mezza età che gioca a fare lo scrittore e pare pure che la cosa gli riesca. E’ nato a Rimini, ma ha vissuto nei pressi del lago novarese e ha imparato ad amarlo.
Orta San Giulio ce la racconta come la sua città, il suo paese, la sua ispirazione, tanto da ambientare in questi pressi anche il suo primo romanzo “La trota ai tempi di Zorro”.

Michele Marziani fotografato per noi da Marco Salzotto

Michele Marziani fotografato da Marco Salzotto

Quale è la cosa che ritiene maggiormente interessante del comune?
Beh, Orta è molto più di un comune: è la capitale di un lago, a cui dà anche il nome, il lago d’Orta.
Ed è del lago che mi sono sentito cittadino negli anni in cui ho vissuto da queste parti. Perché tu puoi stare negli altri comuni dei dintorni - io ad esempio stavo a Gozzano - però non c’è nulla capace di attrarti come uno specchio d’acqua che ha al centro una calamita dell’anima, l’isola di San Giulio. Quella che hanno amato tutti i bambini che hanno avuto la fortuna di leggere “C’era due volte il Barone Lamberto”, romanzo capolavoro di Gianni Rodari. Credo che la cosa più interessante di Orta sia il silenzio, l’atmosfera, la malinconia, talvolta struggente, la stessa del salice della poesia di Montale dedicata proprio al lago.

Il luogo che secondo lei merita di essere maggiormente rivalutato?
Credo che tutto il lago vada rivalutato, ma forse sono le vecchie ville della borghesia lombarda che andrebbero riscoperte, sia perché rappresentano il sentire di un’epoca, ovvero la fine dell’Ottocento, sia perché sono di una bellezza architettonica così rara in un paese come l’Italia, così votato allo scempio.
Poi i dintorni, i boschi, i profumi. Credo che di Orta, dei fiori, dei boschi, del sacro monte andrebbe rivalutata la dimensione olfattiva: il profumo del lago. Quell’odore che entra nelle narici e lascia un’impronta che è un po’ montagna e un po’ ricordo. Infanzia, credo sia questa la parola giusta.

Se dovesse accompagnarmi in un tour virtuale, dove mi porterebbe?
Più che dove, direi quando. All’alba, d’estate, quando spuntano le rose dalle ville, giù al lago, lungo il sentiero che costeggia la riva. Oppure in piazza, nelle giornate terse d’inverno, quando il blu e tagliente e le montagne incombono di luce fredda e di una potenza di colore che dà i brividi, è l’immenso.
Poi nelle viuzze che circondano il paese, piccoli passaggi, antri minori, nei pomeriggi d’autunno, quando si sente il profumo delle foglie a terra e c’è una malinconia nebbiosa che ti avvolge. Allora cerchi il respiro più alto e sali al Sacro Monte o rimani lì, a guardare la torre arabeggiante, il minareto di villa Crespi. E non ti interessi della storia di questa strana costruzione, ma della leggenda, delle tante principesse ricamate intorno. Orta è comune da fiaba e da leggenda, da stretta al cuore, da binario struggente che ti lascia a una stazione che richiede lunghe discese fino al lago.
Poi l’isola di San Giulio, un mondo a parte, da passeggiare con passo da bambino, sotto la pioggia. Poi di nuovo al sole.

Da scrittore come descriverebbe Orta San Giulio?
Orta è un soffio, a volte gelido invernale, a volte caldo. Un pulsare di nostalgia. Anche per chi la vede la prima volta. Un luogo dell’anima, per anime in pena e per anime salve. Il luogo ideale per passeggiare senza avere nulla da fare e senza stancarsi mai di farlo. Ogni angolo è uno scorcio inatteso, un salice che si affaccia sul lago, la piccola darsena di una casa rivierasca, lo scalmo di una barca a remi che scopri antico con la coda dell’occhio, l’architettura del tempo e le finestre degli abbaini, i camini, il fumo, la musica di un violino che ti rapisce. Tu vuoi tornare indietro e invece sali, fino alle chiesa di Santa Maria Assunta, poi ti volti e il lago è un tuffo al cuore; tu sei vivo e lo sarai per sempre.

Cosa c’è di questo paese e delle sue origini nel suo libro?
Il mio primo romanzo è ambientato da queste parti, poco lontano, a Gozzano. Dentro però c’è un nome, Giulio, il padre del protagonista, e una malinconia che a volte è compagna persino piacevole. Ecco, credo che lo stesso sentire, direi “lacustre”, lo stesso amare il tempo ovattato, sia presente anche nel mio ultimo romanzo “Umberto Dei”. Dei luoghi che ho attraversato, Orta e il suo lago hanno un posto speciale, come una tasca cucita, nascosta, dove sono riposte le tue cose preziose.

Cosa ha di tipico il paese?
Credo che la cosa più tipica sia la scrittura. Certo si possono comprare salumi come la mortadella locale, i buoni formaggi della zona o della vicina Valsesia e mangiare piatti tradizionali del lago, passare serate davanti a polenta fumante, funghi porcini, tapulon (che è piatto di carne d’asino della non lontana Borgomanero), vini del Novarese, in particolare l’ottimo Ghemme.
Ma se di un posto si vuole portare a casa l’espressione più alta, qui non è nell’artigianato alimentare o in qualche produzione locale, ma nell’artigianato della parola: la bravissima Laura Pariani, Gianni Rodari, Mario Soldati, scrittori locali o di elezione che leggendoli ti portano il sentire del tempo, del tempo trascorso qui.

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