Sono quattro anni che il rito si è consumato, identico, senza di te. Lontano dal nido molisano, ad ogni festa comandata, di ritorno a casa, ti aspettavi che qualcosa fosse cambiato: la stazione, il tempo, il dialetto, i tuoi genitori, i migliori amici, la panchina “ma quella panchina non era più a destra?”, “ ma prima ci voleva più tempo ad arrivare a casa… hanno cambiato i sensi di marcia?”. Come se il posto dove sei stata radicata per vent’anni, dovesse improvvisamente risentire della tua assenza, mutando tragicamente sotto la pressione dell’incolmabile vuoto che hai lasciato. Puro egocentrismo, inconsciamente maturato nei mesi di leggera solitudine. Tutto è rimasto lo stesso. Non sarai cambiata tu? I regionali diretti, le coincidenze alla Stazione Termini, gli appelli, l’indipendenza quotidiana, hanno sfocato i punti fermi, minato le verità più insindacabili. Ma tutto è uguale e persino il rituale della fiera isernina è rimasto lo stesso.
Sono quattro anni che manchi alla Fiera delle Cipolle ma sicuramente, non hai dubbi, anche quest’anno ci sarà e quest’anno ci sarai anche tu e non sarà cambiato nulla. E non è solo perché negli anni venti, questa fiera c’era già e i contadini si incamminavano anche dai paesi vicini per comprare o vendere le cipolle; non è neanche perché Isernia è “Città delle cipolle” e non vi si può certo sospendere la fiera delle medesime. No. È una questione di amigdala: la magica “mandorla” cerebrale che detiene la memoria emozionale e conferisce un significato “sentimentale” agli eventi della tua vita, selezionandoli in base a degli interrogativi elementari: “è una cosa che temo? Che amo?” . Quello che credi di aver assassinato, o cancellato inavvertitamente, in realtà sopravvive sotto forma di ricordo emotivo, nell’archivio Amigdala. Quando meno te l’aspetti, un giorno afoso di giugno, mentre stai scrivendo un articolo, ti torna in bocca il sapore del divano dove sei seduta, quel retrogusto emotivo mandorlato, risalente a quasi quindici anni fa.
Allora, a sette anni, già conoscevi bene la “Fiera delle Cipolle”. Ai tempi, il tuo palato fanciullesco ricercava i sapori coloranti delle caramelle gommose, il luccichio del set di pentoline per essere una bravissima bimba in cucina, i meravigliosi telefoni colorati, la vera mania della tua infanzia. Ore di discorsi inventati, con interlocutori immaginari che avresti raggiunto in posti inesistenti. Una sorta di preliminare dei giovanili rapporti a distanza, con parole, fidanzato, amici, liti e bollette reali. Il vero acquisto di quell’anno fu invece il divano azzurro, trasportato con fatica nella casa dove di li a poco ti saresti trasferita, lasciando Isernia per un paesino nelle vicinanze. L’amigdala chiede: è qualcosa che odi? - Si, odio quel divano… l’ho odiato, perlomeno: il cigolio della sua pelle, il pacifico azzurro dei suoi cuscini che sembravano volerti convincere “guarda come si sta bene qui, nella nuova casa, con i nuovi amici, del nuovo paese…”. Assodato che non puoi continuare a scrivere seduta lì, con quel retrogusto, decidi di prepararti per la Fiera delle cipolle dei tuoi ventidue anni. Più di duecento stand, si legge sui giornali. Già due pezzi d’arredamento nella lista delle compere dei tuoi genitori; poi ci saranno i vestiti, i pigiami smanicati e ci sarà una splendida gonna lunga e colorata, speri. Non cerchi altro… Visto che non puoi più usare telefoni di plastica… Dicono che tu sia grande ormai.
La folla della mattina è smaniosa. Sarà il caldo, o i bambini troppo piccoli per non desiderare tutto. La probabilità di incontrare amici di tua madre e una miriade di conoscenti che non ti riconoscono perché “come sei cambiata… eri piccola cosi” e che non riconosci “ero piccola cosi…” è altissima. Tutti guardano tutto. E spingono tutto. Ti si incollano addosso gli odori delle patatine fritte, dei panini, dello zucchero filato e… delle cipolle… Solo un anno prima, ti sei persa la frittatona, mega esperimento culinario meritatissimo dalla Allium cepa (cipolla, appunto), pianta simbolo cittadino. Il fascino che subisci verso tutto ciò che è passato, ritorna trionfante quando ti chiedi come si svolgeva la mattinata dei contadini venuti alla fiera di tanti anni fa e ti ipotizzi donna di inizi Novecento, con il grembiule riempito di cipolle. Il tuo delirio indietro nel tempo tampona brutalmente, e senza air bag, il solito tendone, spia di una presenza maschile, meta necessaria del fai da te: sei ferma di fronte agli utensili. O meglio, sei accanto a tuo padre che è di fronte agli utensili. E tu non puoi fare a meno di avere lo stesso sguardo di quindici anni fa, perso nel vano tentativo di dare un nome a un cacciavite, in base alla sua punta. Al diminuire delle strade allestite, ci si avvia verso casa.
Ogni anno si discute sulla temperatura “si doveva venire di sera, col fresco”; sugli acquisti fatti: roba utile o piacevolmente frivola; sulle persone incontrate. E’ il momento in cui percepisci nettamente che la fiera è diventata, per te, un rito. Un ripetersi di incontri, oggetti, parole e acquisti, che in proporzione alla tua crescita è diventato sempre più confortante, un piacevole punto fermo, imprescindibile. Un rito che è restato uguale negli anni. Andare alla Fiera delle cipolle con i genitori, è dunque garantito. La vera svolta, l’evento non probabile e per questo più eccitante, è la probabilità di tornare tra gli stand con il tuo ragazzo. E’ una sorta di tacito accordo, sullo stile “il giorno con i tuoi, la sera con chi vuoi”. Con il fresco, dopo il tramonto, le bancarelle illuminate e il cielo scuro, l’amigdala cambia questionario: questo lo ami? Assolutamente si. A distanza di poche ore, ti senti in diritto di essere più piccola, per cercare lo zucchero filato, e i dolci. Con la mano persa in quella dell’altro, potresti tornare indietro di un anno, di due o di tre: il ricordo sarebbe sempre bello, con i braccialetti regalati, le giostre estive, i ritratti in strada e le risate sotto braccio. Con gli anni, alcune cose in realtà sono cambiate, per la serie: “meno abiti più cipolle”, le probabilità di trovare una bancarella di hot dog, o uno stand di borsette, era molto scarsa ai tempi dei tuoi nonni. Di cipolle ora, è rimasto il nome, ma poca materia prima. Ma sono sicura che se ci fosse, nascosta da qualche parte, un’amigdala gigante, contenitore degli eventi emozionali di tutti quelli che sono passati alla fiera, le emozioni di oggi sarebbero le stesse di cinquant’anni fa. Oggetti che uno ama, braccialetti che uno ricorda, divani che uno odia, come in un expo di vita.
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