Il giornalista di Arconate Ersilio Mattioni intervistato per Comuni-Italiani.it
Chi o cosa ha fatto scattare in lei la scintilla del giornalista?
Da studente, a 17 anni, fondai il giornale scolastico in mezzo a mille difficoltà: frequentavo il liceo privato Eugenio Montale a Busto Arsizio e i proprietari dell’istituto erano preoccupati che potessimo scrivere qualcosa di sconveniente. Poi la nostra caparbietà (assieme a un preside illuminato) vinse.
Creare e dirigere il giornale della scuola è stata un’esperienza entusiasmante. Mi ricordo tutto: le riunioni di redazione, la scelta dei temi, la distribuzione degli articoli, la correzione delle bozze, le vignette, le discussioni, i litigi. Un solo articolo ci è stato censurato: era una critica al papa. La mia scuola era privata ma non era cattolica. Il preside, invece, lo era. Una polemica da nulla, a conti fatti.
Comunque credo di averlo capito a 17 anni che avrei tentato di fare il giornalista, che avrei tentato di farlo bene e che non sarebbe stato facile.
Che ruolo ha avuto Arconate nel suo percorso professionale?
Un ruolo importantissimo. I miei primi articoli erano in realtà “lettere” che inviavo al giornale comunale.
Nel mio territorio usciva un bel settimanale. Si chiamava “Città Oggi” e la pagina di Arconate era curata da Giovanna Noè, una ragazza di un paese limitrofo. Giovanna stava finendo l’università e, a un certo punto, non riuscì più a curare Arconate. Lo disse un giorno dal parrucchiere e gli chiese se non conoscesse un ragazzo sveglio per prendere il suo posto. L’uomo, il caro Attilio Trizza, mi conosceva e mi raccomandò. Anzi, diede a Giovanna una copia del giornale comunale Ciac, in modo che potesse leggere qualcosa di mio.
Lei ne parlò al direttore di Città Oggi. Il quale mi chiamò e mi chiese due cose: cosa facessi nella vita e se i miei genitori fossero d’accordo. Mi sembrò paternalista, Emanuele Torreggiani. Invece, da lui, imparai tanto: è una delle persone più intelligenti che abbia incontrato nella vita. Mi insegnò il mestiere, mi fece crescere e mi volle bene. Trovare a vent’anni queste tre cose insieme è come vincere la lotteria.
Da cronista a consigliere comunale, come cambia il modo di vivere la tua città?
Una cosa non cambia mai: amo il mio paese e non ne potrei fare a meno. Amo la sua gente, quella rete sociale di affetti che ti protegge. Quando si dice che i paesini (Arconate ha seimila abitanti) sono pettegoli e nessuno si fa gli affari suoi, è come fare un torto a migliaia di comunità. La verità è che in un paese piccolo ti senti coccolato. Almeno, io ad Arconate mi sento così.
Per questo, fin da giovanissimo, mi sono occupato di politica. Sono stato capogruppo di maggioranza in consiglio comunale e presidente della commissione cultura a 23 anni. E ancora oggi, dal 2006, sono consigliere comunale d’opposizione. A ogni elezione sono stato il candidato più votato della mia lista: così il desiderio di ricambiare la fiducia dei miei concittadini è sempre molto forte.
Certo, da cronista racconti ciò che accade e critichi ciò che non funziona: tocca ad altri risolvere i problemi. Da amministratore tocca a te e ti accorgi che le critiche servono a poco. Per rispondere alla domanda: ho sempre cercato di tenere separati i due ruoli e nei momenti in cui ricopro cariche pubbliche, non scrivo mai di Arconate sui giornali. E’ una regola deontologica, certo. Ma non lo faccio solo per questo. Lo faccio perché i miei cittadini devono sempre sapere quale Ersilio Mattioni hanno davanti, il cronista o il consigliere comunale. Per me, che ho una cultura politica liberale, l’assenza di conflitti è importante.
Attualità. Come vive Arconate, secondo lei, l’emergenza sicurezza che attraversa l’intero Paese?
Arconate è un paese tranquillo, anche se molto meno di dieci anni fa. Qui l’immigrazione è stata contenuta e quando i numeri sono piccoli, è più facile tenere sotto controllo un fenomeno. Detto questo, qualche episodio di microcriminalità c’è stato e ci ha preoccupato.
La sicurezza della città è sempre stata in cima ai miei pensieri: sono fiero di aver fatto parte di quella amministrazione che nel 2000 sostenne lo sforzo di un gruppo di cittadini nelle loro ronde notturne. Così nacque Arconate Serena che oggi vanta cinquanta volontari e che svolge un servizio prezioso. Di recente, poi, mi sono occupato di sicurezza presentando una mozione in consiglio comunale. La mozione (è possibile leggerla integralmente sul mio sito internet) riguarda l’emergenza rom, dopo che il prefetto di Milano ha dichiarato di voler spostare in provincia i nomadi che attualmente vivono nel capoluogo lombardo. Lo ha fatto senza neppure consultare i sindaci dell’hinterland milanese. E questo mi è sembrato un fatto grave.
Se i comuni piccoli non prevedono un po’ il futuro, rischiano di pagare tutte le conseguenze dei malgoverni delle metropoli. Sulla citata mozione mi preme aggiungere che è stata approvata all’unanimità e che, su proposta del capogruppo di maggioranza Samanta Rellamonti, sono in seguito stato delegato a gestire la questione rom-sicurezza, in rapporto con i sindaci della zona. E’ la prima volta nella storia di Arconate che un consigliere di opposizione riceve una delega operativa. Questo dice molto anche della dialettica che si è instaurata fra maggioranza e minoranza nel nostro comune.
Che progetti ha in mente per Arconate e come, spera, possa cambiare volto nell’immediato futuro?
Arconate è stata quasi sempre ben amministrata, salvo negli Anni Ottanta, quando l’applicazione del primo piano regolatore ha generato qua e là speculazione edilizia.
Dal 2001, da quando il sindaco è Mario Mantovani (ex parlamentare europeo, attualmente senatore e sottosegretario alle infrastrutture), il paese è cresciuto ed è più bello, più allegro, più vivibile. Secondo me, adesso, serve uno sguardo verso i servizi che ancora mancano: un centro sportivo per i giovani e una casa di riposo con centro diurno integrato per gli anziani. Parliamo di opere costose, certo, ma necessarie.
E poi bisognerebbe pensare allo sviluppo: troppe realtà produttive non ci sono più e lasciano il posto a residenze. Dovremmo predisporre nuove aree per attrarre l’industria tecnologica, il terziario, il commerciale. Siamo a un passo da Malpensa e, con scelte intelligenti e lungimiranti, potremmo creare lavoro e ricchezza.
Un titolo e trenta righe (tra 1800 e i 2000 caratteri spazi inclusi) per raccontare cosa va e cosa non va della sua città.
“Arconate, è tempo di scelte”
Il paese è cambiato in questi sette anni. Oggi è più bello, più vivibile, più allegro. Ma gli amministratori, che hanno curato l’estetica fin nei dettagli, hanno trascurato i servizi.
I problemi aperti sono almeno tre: la scuola materna scoppia e i genitori di trenta bambini devono rivolgersi agli asili di altri paesi; il centro sportivo (promesso nelle due ultime campagne elettorali) sembra un miraggio, mancano sia il progetto sia i fondi; la casa di riposo per anziani è scomparsa dall’agenda politica: non è neppure stata identificata l’area.
E presto Arconate si troverà a fronteggiare un’altra emergenza, quella delle scuole elementari e medie. Quando una cittadina cresce in numero di abitanti, dovrebbero crescere anche i servizi. Lo prescrivono le leggi. Soprattutto, è una questione di buon senso. Ecco perché è giunto il tempo delle scelte.
Se Arconate non vuol trovarsi in emergenza, deve pensare al suo futuro, colmando la carenza di servizi e programmando lo sviluppo. Su quest’ultimo fronte il discorso si fa complesso e investe lo scalo della Malpensa. Sembra incredibile: un paese che dista venti chilometri dall’aeroporto non ha un albergo, non ha spazi per la logistica, non ha scuole professionali e fornisce al vicino hub soltanto manodopera del livello più basso.
Urge un’altra inversione di rotta: quando una realtà produttiva chiude, su quel terreno si edificano case e palazzi. Mentre servirebbero nuove e più vaste aree per attrarre l’industria tecnologica, un’industria in forte espansione che però, se non ci si muove per tempo, troverà altri spazi in altri luoghi.
In conclusione, nelle condizioni di Arconate, creare lavoro e ricchezza è ancora possibile. Con scelte politiche precise, lungimiranti, coraggiose.
Tra tecnologia digitale e giornalismo partecipativo (blog etc.) come vede il futuro della sua professione?
Domanda da un milione di dollari! Premetto che sono un grande fan dei blog e un appassionato di nuove tecnologie. Insomma, a me l’era dell’accesso piace. Da un anno circa ho aperto un sito che oggi (vivendo esclusivamente del lavoro di volontari) viaggia su 100mila clic al mese. E’ stato un risultato superiore a ogni aspettativa e credo che si possa partire da qui per sviluppare un ragionamento.
Se i lettori di giornali cartacei sono sempre meno, le ragioni secondo me sono tante.
- Il giornale cartaceo ha un costo, mentre internet (molto spesso, pensiamo a tutti quelli che lo utilizzano sul posto di lavoro) è gratis.
- Il web è comodo. Appena hai un attimo di tempo libero, ce l’hai lì, a portata di mano.
- Internet è un mondo vasto (basta saper cercare), mentre un giornale è un contenitore rigido e limitato. Lo stesso si potrebbe dire per radio e tv che hanno palinsesti poco variegati e con i classici vincoli di orario, mentre la tv via web è a tua completa disposizione: parte quando vuoi tu, si interrompe quando vuoi tu, la rivedi tutte le volte che vuoi tu. La sto facendo troppo semplice? Non penso.
- Giornali, radio e tv sono un casta. Sono come le sette sorelle del petrolio: se si mettono d’accordo e decidono cosa pubblicare e cosa censurare, l’utente è morto. Diverso è il web, dove qualcuno che canta fuori dal coro e ti racconta la verità, lo trovi sempre.
In questo quadro che ruolo avranno i giornalisti?
L’istinto mi dice che tra dieci anni giornali, radio e tv non avranno quasi più influenza sull’opinione pubblica e che, grazie al web, il senso critico delle persone farà passi da gigante.
In tutto questo i giornalisti sono chiamati “semplicemente” a essere più sinceri, più precisi, più documentati, più coraggiosi. Tutte qualità che mancano a una discreta parte della nostra categoria. Ah, dovrà cambiare anche il rapporto fra giornalisti e politici. A me piacerebbe che imparassimo un po’ dai colleghi americani. Non nutro molte speranze.
Mi viene in mente quella storiella che si racconta su De Gaulle. Il quale, dopo un comizio, viene avvicinato da un giovane fan. Il ragazzo riesce ad arrivare davanti alla faccia del generale e lo saluto così: “Presidente, morte ai cretini!” De Gaulle si ferma, gli mette una mano sulla spalle e lo riporta sulla terra: “Giovanotto, il suo programma è troppo ambizioso”. Ecco, a volte anch’io mi rendo conto di essere velleitario. Ma tant’è.
*Scrive dal 2003 per il quotidiano “Il Giorno”. Dal 2005 è il responsabile dell’ufficio stampa del consiglio provinciale di Milano. Dal 2007 dirige, dopo averlo creato, il sito internet www.ersiliomattioni.it. Nel 2006 è stato eletto al consiglio comunale di Arconate. Collabora con diversi settimanali locali dell’Altomilanese, con una radio locale e con il quotidiano di Varese La Prealpina.
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