5 Dicembre 2008

Una favola magica tra Taranto e Gallipoli

di Daria Castaldo (Blog Porto Cesareo. Racconti di Viaggio)

Qui a Porto Cesareo, nel vento che soffia violento tra le gonne delle signore abbronzate c’è profumo di mare e libertà… e improvvisamente ho voglia di sentirmi grande, lascio di colpo la mano di mamma che mi tiene stretto stretto un polso e mi lancio in corsa.  “Dariaaaaaaaa…ma dove vaiiiii”
Corro sbracciata, senza grazia, mi abbandono al vento che mi trascina come in una corrente tra la folla e i risciò dei turisti, sull’asfalto rovente delle tre del pomeriggio.

Veduta dell'Isola dei Conigli da Porto Cesareo

Veduta dell'Isola dei Conigli da Porto Cesareo

Il mare mi chiama e io corro a guardarlo sotto la luce calda del sole del sud, dal muretto che separa la strada dal piccolo porto. Piccole scale e poi la spiaggia, dove pescatori a torso nudo armeggiano con corde doppie e sudice, mentre papà tra una barchetta e l’altra infila nell’acqua il nostro piccolo canotto.
Quando mi hanno detto che in mezzo al mare di Porto Cesareo c’era un’isola chiamata Isola dei Conigli, mi è venuto da sorridere e il mio pensiero è andato al Bianconiglio. Ma quando mi hanno detto che ci saremmo arrivati via mare e a nuoto, è stato come se una favola, a poco a poco stesse prendendo forma e a poco a poco si confondesse con la mia vita di bimba in vacanza al mare.
Proprio un’Alice nel Paese delle Meraviglie versione estiva…

Un piede, poi l’altro, dritto dentro l’acqua che ad ogni passo diventa più alta, fin quando la bocca respira a fatica per il collo tirato verso l’alto, e mi attacco al canotto soddisfatta della mia performance, mentre papà avanza lento tra le onde placide trascinando il peso della sua prole.
E più avanziamo e più sembra lontana la città, il mondo civilizzato e perbene delle signore dalle gonne svolazzanti…
Sarà stata mezz’ora, dieci minuti, un’ora, non so… mi godo il cielo blu e lo splendore disarmante del mare aperto mentre comincio già a toccare il fondo con la punta del piede e un lembo di terra selvaggia spunta un po’ alla volta dall’acqua.

Ecco in tutta la sua seducente avvenenza un’isola, dove un tempo allevavano colonie di conigli allo stato brado e che oggi ospita i turisti che si avventurano alla ricerca di mare limpido e relax.
Una terra primitiva, dimenticata dalla storia, arsa dal sole, sporcata da una macchia verde enorme, fatta di abeti e piante quasi impenetrabili.
Le lunghe distese di sabbia chiara e finissima mi ricordano le spiagge tropicali viste sui dépliant delle agenzie di viaggio; si allargano verso il mare per poi rientrare a formare deliziose insenature, dove curiose specie di pesciolini si rincorrono in branco fino alla riva e la pineta diventa rada, fino a lasciare solo sterpaglie, come nel deserto gli spazi appena fuori dalle oasi…
Ecco! Una pineta immensa a nascondere il cuore dell’isola dalla rabbia del vento che quando soffia qui si trascina via anche l’anima…
Un tuffo, un tiro al pallone con la sorellina, un panino divorato in fretta e di nuovo un tuffo… Papà ha attaccato i ganci dell’amaca tra un pino e l’altro, mi ci stendo, mi ci dondolo, socchiudo gli occhi… li riapro e mi sento un naufrago che non sa tornare a casa, e che in fondo, non vuole tornare…

(Foto di History simon in licenza Creative Commons)

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