6 Marzo 2009

Le grotte di Sant’Andria Priu e il culto del toro

di Verusca (Blog Bonorva. Alla Scoperta della nostra Italia)

Grotte di Sant'Andria Priu

Grotte di Sant'Andria Priu

Bonorva merita di essere inserita in ogni itinerario turistico della Sardegna per diverse ragioni: alcune interessano lo studioso di storia dell’arte, possedendo, tra le altre cose, una magnifica Parrocchiale gotico-aragonese accompagnata da un bel campanile poligonale su base quadrata sormontato da una cuspide;
altre, invece, interessano lo studioso di geologia per i tufi trachitici, le rocce basaltiche e le lave vulcaniche.

Ma Bonorva interessa soprattutto l’appassionato di archeologia e di preistoria perché nei suoi dintorni (oltre a belle sedi nuragiche come il Nuraghe Tres Nuraghes e il Nuraghe su Monte), si trova il più grande complesso di grotte artificiali che gli antichissimi abitanti dell’isola hanno scavato per le sepolture dei loro familiari e per compiervi i riti della loro religione.

Uscendo da Bonorva in direzione est e prendendo la strada per Foresta e Bono, ci si imbatte ben presto (dopo circa 6-7 chilometri) in un bivio che, sulla destra, porta in una deliziosa valletta chiusa tra due alte spalle di rocce vulcaniche, tormentatissime, con inghiottitoi e caverne naturali. Il posto è, però, molto verdeggiante nelle sottili strisce di pianura per la presenza, assai rara in Sardegna, di numerose fonti da cui zampillano acque freschissime.

Giunti alle falde del Monte Donna, uno spettacolo superbo si presenta alla vista ed è quello di una grandiosa rupe di trachiti rosse che lascia scorgere agli occhi numerose caverne: sono le Grotte di Sant’Andria Priu, d’età neolitica, tra le più grandi e importanti della Sardegna.

E’ facile notare subito che esse non sono naturali, ma scavate dall’uomo, sia per la regolarità delle loro bocche spalancate, sia per la grande maestosità del loro allineamento.
Entrando in una di esse, si nota che all’interno le stanze sono numerose e collegate le une alle altre da passaggi abbastanza comodi. La più ampia (sono 20 le tombe), forse destinata al capo del clan, è formata da un grande ingresso semicircolare, da tre spaziose sale (due sostenute da massicci pilastri) e da 14 secondarie.

Semplici, ma lavorati con grande accuratezza e perizia sono i motivi architettonici e decorativi sui soffitti, sulle pareti e nelle panche sulle quali venivano posti gli oggetti offerti al defunto. In superficie, sopra le caverne, tutto concorre a farci cadere l’occhio sulla presenza, potente e fantastica, di un toro di pietra senza testa, probabilmente caduta e portata via.  Ha zampe larghe ben piantate, il ventre incavato e agile, le spalle sollevate e guarda verso il giro del sole.

I resti di questo animale richiamano alla mente tutta un’epoca leggendaria e mitica, entro cui si affondano le radici della tradizione e della religione delle popolazioni sarde legate certamente ad analoghe concezioni comuni al mondo egeo, a Creta soprattutto, a Micene, all’Anatolia.
I luoghi sacri e suggestivi della religione cretese erano le caverne, sulle alte montagne.
Sono davvero frequentatissime in tutto il Mediterraneo Orientale e così anche in Sardegna, le raffigurazione delle teste e delle corna di tori. Due corna di toro, schematicamente scolpite, si trovano sulle pareti di una sepoltura rupestre tra Sedini e Castelsardo; al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari un bronzetto raffigura un toro attraversato da una spada; magnifico è pure quello dalle corna a lira, dello stesso museo, rinvenuto nei pressi della Gallura, o il mite toro cavalcato da un uomo trovato in un nuraghe presso Nulvi.
E corna taurine recano anche molti bronzetti raffiguranti guerrieri, come quelli rinvenuti nei pressi di Cagliari, e di due armati di Abini, il guerriero a quattro occhi e quattro braccia e molti altri.

(Foto di Myriamba per gentile concessione)

  • Segnala su: Inserisci nei preferiti del.icio.us segnalo OKNOtizie Google YahooMyWeb Facebook Technorati

1 commento a “Le grotte di Sant’Andria Priu e il culto del toro”

  1. wilderness scrive:

    I nuragici che custodivano Funtana Sansa, erano quelli del Centro Spirituale Maggiore di Sant’ andrìa Abriu. Abrìu a torto necropoli, sebbene casa dei vivi con i vivi, scolpita nella roccia oltre 7.000 anni fa, con decine di grotte rialzate 4 mt. da terra di cui alcune molto grandi per i riti di trasmigrazione delle anime dei morti i quali posti nelle postazioni ai lati della grotta a navicella erroneamente identificate come capanne dei vivi per i morti, in realtà sono stazioni di volo di cui una è chiaramente un tronco di nave rovesciato, una nave solare puntata verso il cielo, una Sacra Arca del Sole, un simbolo della navigazione fatta dai sopravvissuti all’inabissamento di Atlantide o semplicemente al diluvio. Con essa gli Atlantidi giunsero in Sardegna, portando ciò che poterono salvare della loro grande tradizione. Non è un caso che la navicella nuragica rechi con sé i simboli proprii: l’ ascia bipenne, la colomba, le corna del cervo o della renna o del toro, tutti simboli iperborei, una navicella di bronzo nuragica, come solare è all’ingresso la tomba del capo, proprio perché è verso il cielo e lo spazio galattico che la nave conduce i trapassati. Il Toro di pietra, che si erge sulla sommità della rupe, guardiano delle domus de janas, sovente illuminato di notte come un faro di navigazione per i viaggiatori, perché questo è più propriamente Abrìù e non solo riferendosi ad un periodo pre-nuragico, indica il centro di una tradizione sacra legata alla tradizione Iperborea o Atlantica. E’ il segno che attesta le basi sulle quali essa è fondata, è cioè una figurazione del luogo originario ove si svolse la prima Età dell’Oro: simbolo della originaria stabilità spirituale, della terraferma fra le acque dell’isola, della terra di mezzo scampata al diluvio. Il Toro come le protomi di toro incise in più parti non simboleggiano hic et nunc il principio maschile perche? Perché gli alti Principi Sacerdoti pur sapendo che un toro è e rimane pur sempre maschile avrebbero fatto riempire di corna di pietra tutta Nur? O forse perché le loro conoscenze elevate a puro feticismo, adorassero il feticcio taurino? Proprio incomprensibili, ma no siamo noi che stiamo sopra dei giganti e non ne vediamo che le punte – di corna - maschili.
    Il Toro indica il Tempo o l’Età di Abrìu. E’ il sole che allora si trovava nella costellazione siderale del Toro, il Toro è un centro che misura il tempo, il tempo della galassia dove noi come su una navicella viaggiamo, è un orologio cosmico-siderale, fatto di pietra, il materiale più resistente al tempo, al fine di poter comunicare di Era in Era le coordinate del loro passaggio ad altro.

    da Passaggio a Nur di Andrea Sanna

Scrivi un commento

Per inviare un commento devi fare il login.

Articoli nei Comuni Vicini: Romana (1)