15 Settembre 2009

Da d’Annunzio alle lenticchie passando per il terremoto…

di Angela De Monti (Blog Santo Stefano di Sessanio. Racconti di Viaggio)

Tipica Costruzione

Tipica Costruzione

“Ecco il paesaggio di d’Annunzio. Ecco la terra d’Abruzzo con i suoi pastori e le sue greggi. Ecco i pascoli dei monti e le fonti alpestri”, è così, con questi pensieri poetici, che mi appresto a scoprire l’antico borgo di Santo Stefano di Sessanio.

Arrivo in macchina dallo sconfinato altopiano di Campo Imperatore. Il quadro in cui mi trovo è quello di una prateria ampia e selvaggia dalla vegetazione rada e insolita. Non ci sono molti alberi e tra l’erba ruvida noto subito un fiore bellissimo e mai visto: il cardo blu. Ora, guardando su internet, scopro che è una specie in via d’estinzione e il mio cuore si riempie di gioia al pensiero di non averlo raccolto. Mi guardo attorno e assaporo la trasparenza e la brillantezza dell’aria di questo tratto d’Appennino destinato ad incontrarsi col mare in un graduale scalare di colori e profumi. Osservo la bellezza delle montagne del Parco Nazionale del Grand Sasso e Monti della Laga: qui Natura e Uomo convivono serenamente da millenni.

Arrivo a Santo Stefano di Sessanio e capisco da subito che questo è un luogo speciale. Parcheggio la macchina all’inizio del paese e mi addentro pian piano per le sue viuzze strette e lastricate. E’ amore a prima vista: ad ogni passo scopro qualcosa di bello, di insolito, di romantico. Scorci, luci e suoni si mischiano in una danza di emozioni piacevoli.

Guardo le case di pietra bianca che il tempo ha ormai sbiadito. Guardo la cinta muraria costruita a scopi chiaramente difensivi alla fine del XVI secolo, quando il borgo era residenza dei Medici di Firenze. Osservo ogni sasso e penso a come sarebbe bello vivere qui, nel silenzio e nella quiete, assieme agli altri 120 abitanti del paese. E, mentre penso, mi addentro in una piccola fessura che si apre su una bellissima piazzetta medioevale dove l’unico segno dello scorrere del tempo sono le piccole botteghe artigiane e i negozietti di prodotti tipici.

Archi, corti e brevi corridoi si susseguono uno dopo l’altro dando vita ad una bellezza architettonica senza soluzione di continuità. Ad ogni occhiata mi lascio irrimediabilmente assalire da uno spirito di amore per questo luogo così carico di storia e di storie, così immenso nella sua cultura in equilibrio tra passato e presente.

L’architettura che mi circonda è indubbiamente di stampo medioevale ma il nome del paese segna con certezza le origini romane di questo tesoro che risplende senza contrasti con la natura circostante. Mi guardo intorno e vedo un paese mite e sereno nonostante il terremoto che lo scorso 6 aprile ha abbattuto l’emblema del borgo: la torre medicea. Mi guardo intorno e vedo che c’è vita tra le pietre: mamma rondine volteggia sulle nostre teste a metà tra paura e curiosità.

Lascio il paese con un po’ di tristezza e prima di salire in macchina incontro un bambino che vende le tipiche lenticchie. Per un sacchettino ci vogliono dieci euro ma le pago volentieri: a Capodanno, questa volta, mangerò un pezzettino d’Abruzzo

(Foto di Alfonso Pierantonio in Licenza Creative Commons)

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