La giornalista di Radio3 scienza Silvia Bencivelli* intervistata per Comuni-Italiani.it
Chi o cosa ha fatto scattare in lei la scintilla del giornalista?
A dire il vero, non sono mai stata tipo da vocazioni. Così mi sono trovata con una laurea in Medicina e Chirurgia e poca voglia di stare in ospedale.
Scrivere mi è sempre piaciuto (ma non sono nemmeno tipo da romanzo nel cassetto…), e quando si è trattato di decidere che cosa fare ho avuto l’idea, la fortuna e la possibilità di mettermi a scrivere di scienza. Adesso faccio la giornalista scientifica: un lavoro davvero divertente e stimolante come pochi altri.
Che ruolo ha avuto Pisa nel suo percorso professionale?
A Pisa mi sono laureata in medicina e chirurgia, poi però non ci ho mai lavorato da giornalista. Di sicuro quando ho bisogno di intervistare qualcuno, so che nella mia città posso trovare facilmente lo scienziato giusto. E comincio a chiamare gli amici, gli amici degli amici…
Attualità. Come vive Pisa l’emergenza sicurezza che attraversa l’intero Paese?
Per come la conosco io, è proprio una città gradevole e tranquilla. La giro da sola, anche di notte, senza nessun problema, e sono una ragazza mediamente carina, socievole e distratta. Ho l’impressione che l’emergenza sicurezza sia un po’ gonfiata e che a Pisa si tratti, al più, di un po’ di disagio sociale da gestire non con la polizia, ma con la scuola e il buon senso della comunità.
Attraverso quali appuntamenti o progetti può cambiare il volto della sua città?
Secondo me, manca un po’ il legame tra università e cultura cittadina. Io farei scendere i professori dalle cattedre nelle piazze: in questa terra c’è una concentrazione tale di cervelli, che alle volte mi sembra uno spreco.
E poi, forse, farei crescere gli spazi di aggregazione per i giovani e quelli per il sociale, invece di chiuderli nel disinteresse della Pisa bottegaia.
Lo scoop o la notizia legata a Pisa la cui pubblicazione ricorda con grande orgoglio o partecipazione emotiva.
In realtà, la cosa che ricordo con più affetto è stato il commento di un mio collega, giornalista romano, di fronte al telegiornale che per l’ennesima volta parlava in qualche modo di Pisa. Disse: “Siete quattro gatti e riuscite a fa ‘n casino…”.
Un titolo e trenta righe per raccontare cosa va e cosa non va della sua città.
“La città dei lagnoni”
C’era una volta una vignetta di Altan con un giovane cronista in crisi da mancanza di notizia. “Non è successo niente”, diceva al caposervizio. E quello, di rimando: “Embè? noi mandiamo un inviato e titoliamo tragico vuoto…”.
Alle volte, le civette dei giornali locali di Pisa sembrano proprio così: non è successo niente, né di bello né di brutto. Oppure è successo che uno studente ha dato uno schiaffo al suo professore per aver preso un brutto voto, e la notizia salta in prima pagina. Due minuti dopo, scopri che il professore era alle medie con te e lo studente è il figlio del vicino.
La mia città è così: è piccola, familiare, tranquilla. a volte, però, piccola vuol dire soffocante, familiare diventa provinciale e tranquilla fa sentire tutta la sua noia.
Il buono e il cattivo di Pisa sono due facce della stessa medaglia. Il buono è che non ti senti mai sola, ma il cattivo è che vedi sempre la stessa gente fare sempre le stesse cose e vivere sempre con i medesimi orizzonti. Ci si conosce tutti ed è una fortuna, anche perché qui c’è una concentrazione di intelligenze e di stimoli davvero inusuale per il nostro paese. Ma a volte hai la sensazione di guardarti l’ombelico con altri privilegiati come te, cresciuti senza ansie fino all’università.
Una città che tende un po’ a impigrirsi, quando avrebbe tante risorse e altrettante energie con cui giocare. Una città che rischia di isolarsi nel suo splendore e che a volte diventa quasi egoista. Ma anche una città dove, in fondo, a nessuno manca niente, né come servizi né come stimoli culturali, e la vita è serena e anche, persino, divertente.
Il cronista di Altan, però, avrebbe avuto sicuramente qualcosa di originale da dire su Pisa: non si capisce perché, ma il pisano, qualsiasi cosa succeda e anche di fronte alle civette intitolate “tragico vuoto”, ha il vizio di lamentarsi sempre.
Tra tecnologia digitale e giornalismo partecipativo (blog etc.), come vede il domani della sua professione?
Dovremmo imparare in fretta… il domani è già qui e c’è poco da lamentarsi, pisani o non pisani. Bisogna imparare a usare il computer, internet e tutto il resto. Bene.
Il domani della mia professione? Lo vedo sempre più dinamico, anche se non penso a un dinamismo da vecchio cronista in motorino o da incursione fugace a una conferenza stampa e poi via, di corsa in redazione.
Penso piuttosto a un dinamismo delle idee, che potremo scambiarci rapidamente con pochi clic. E penso che dovremmo abituarci in fretta a usare le tecnologie che lo permettono. Chi si lamenta è perduto.
A dire il vero, tra i giornalisti scientifici, io sono una delle meno aggiornate su questi temi. I miei colleghi riflettono su cose che io non so nemmeno pronunciare, tipo wimax, webtv… ma sono abbastanza giovane da non aver mai conosciuto il giornalismo senza internet: quando ho cominciato a lavorare io, c’erano già da un pezzo google, la posta elettronica e tutto quanto.
Adesso si tratta di stare dietro alle ultime novità, e magari di farsi un blog (il sito internet ce l’ho già e lo gestisco tranquillamente da sola), prima che i ragazzini, quelli cresciuti a latte ed elettronica, ci facciano le scarpe.
*Medico e giornalista scientifica free-lance, è redattrice di Radio3 scienza, il quotidiano scientifico di Radio3 Rai.
Collabora inoltre con “Il Manifesto” e con altre testate. Fa parte della redazione di “Uppa” (Un pediatra per amico) ed è addetto stampa della “Uaar” (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti).
Tra le sue pubblicazioni, “Perché ci piace la musica” (Sironi, febbraio 2007).
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