3 Gennaio 2009

Mothia, un vero viaggio… per i cinque sensi

di Maria Salerno (Blog Marsala. Alla Scoperta della nostra Italia)

Mulino a vento

Mulino a vento


Percorrendo la costa che da Trapani conduce fino a Marsala ci si imbatte in una laguna il cui aspetto ricorda una sorta di paradiso incontaminato fatto di paludi salmastre, giunchiglie, saline e mulini a vento.
Qui è anche possibile ammirare splendide specie avicole come aironi, cavalieri d’Italia, avocette e fratini.

Proprio nel cuore di questa laguna del comune di Marsala, nota come lo “Stagnone”, sorge l’isola di San Pantaleo, meglio conosciuta con l’antico nome di Mothia.

Per molti anni, questo piccolo angolo di paradiso fu quasi del tutto dimenticato fino a quando, alla fine del secolo scorso, l’aristocratico inglese Giuseppe Whitaker, trasferitosi in Sicilia per produrre e commercializzare vino, rapito dalla bellezza dell’isoletta, la volle acquistare. Fu proprio durante gli scavi da lui avviati che venne alla luce l’antica città fenicia. Ancora oggi San Pantaleo è di proprietà della fondazione Whitaker, creata dalla figlia del suo scopritore.

Per raggiungere Mozia, fino agli anni settanta, si saliva su un carretto trainato da un cavallo che attraversava il breve tratto di mare caratterizzato dal basso fondale. Nei periodi di secca era possibile recarvisi pure a piedi percorrendo l’antica strada costruita dai Fenici oltre tre millenni prima e che splendidamente riaffiorava dalla acque.

Oggi l’isola si raggiunge comodamente in barca, ma la traversata ha conservato intatto il suo fascino.
Una volta giunti non si fa fatica a immaginare cosa dovette provare il lord inglese trovandosi di fronte alla bellezza disarmante e quasi irreale di questo paesaggio mozzafiato.

Il viaggio a Mozia è un autentico itinerario per i cinque sensi: un percorso dell’udito che si bea del silenzio che domina tutta l’isola, spezzato di tanto in tanto solo dallo sciabordio delle onde, dalle strida degli uccelli marini e dalle pale dei mulini a vento.

Una visione straordinaria per la vista, eccitata da un susseguirsi caleidoscopico di colori - il verde della vegetazione, l’azzurro del mare che si mescola a quello del cielo, il rosso del palazzo ottocentesco dei Whitaker, che oggi ospita il museo dove sono conservati i preziosi reperti archeologici rinvenuti, il bianco delle montagne di sale.

Per l’olfatto un continuo solletichio di aromi speziati delle uve e dal penetrante odore degli ulivi.

Per il gusto che si inebria sorseggiando il prelibato vino delle cantine della famiglia Bonomo.

Per il tatto che può saggiare la consistenza del sale, la cui coltivazione ed estrazione avvengono ancora coi metodi di una volta.

Qui possiamo, infatti, ammirare un mulino vecchio di 500 anni, che sopravvive solo grazie alla volontà dei suoi proprietari di mostrare, a quanti non hanno mai avuto l’occasione di assistervi, lo straordinario spettacolo della lavorazione del sale secondo il metodo tradizionale.
Tale visione è caldamente suggerita durante i tramonti estivi, quando l’arancio del sole investe le acque tutto intorno e i granelli brillano come diamanti.

Fosse stato per i Cartaginesi o i Romani che se ne contesero il predominio fino a distruggerla - Mozia, oggi San Pantaleo - avrebbe seguito le sorti del suo nome, che oggi non esiste più. Il caso o forse il genio di un uomo hanno fatto invece sì che questo paradiso naturale ci fosse restituito.
Non gli saremo mai grati abbastanza!

(Foto per gentile concessione di Veronica Eracleo)

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