Era l’estate del 2008 quando me ne andai a passare una settimana di vacanza, da solo, in Valtellina. Là conoscevo un paio di persone, grazie al web, così non ebbi difficoltà ad avere un buon albergo e buoni consigli su cosa vedere e dove andare.
Avevo abbandonato l’afa di Roma, ma fu soltanto un’illusione quella di sperare in un po’ di freddo: lassù mi aspettavano belle e calde giornate, anche se non afose e impregnate di smog come nella capitale.
La mia meta fu Bormio, un piccolo centro della Valtellina a 1200 metri sul livello del mare - nella provincia di Sondrio - racchiuso fra alte montagne e imbiancato d’inverno, dove il freddo della neve si sposa col caldo delle sue acque termali. Il Parco Nazionale dello Stelvio è sempre visibile, coi suoi boschi e l’aria pura e i lunghi sentieri per chi ama la montagna, come me.
Ma per un semplice turista che preferisca camminare per le strade cittadine, anziché inerpicarsi su per i pendii montani, esistono altri svaghi, come le visite guidate: veloci, economiche, interessanti. I miei amici di lassù mi parlarono di uno dei più rinomati prodotti valtellinesi: l’amaro Braulio.
E fu così che, un pomeriggio di quel caldo luglio del 2008, mi incamminai per la via centrale di Bormio, diretto, questa volta, non sulle alte e ventose cime della Valtellina, ma sottoterra.
Perché è proprio nel centro storico del paese che si produce l’amaro, nella lunga via Roma in cui si affollano i turisti. E quell’anno furono molti, anche se mi sarei aspettato meno gente, meno traffico in quelle viuzze antiche. Là, nelle Cantine del Braulio, ogni mercoledì alle 17,00, è possibile visitare i sotterranei, grazie a una guida che ci accompagna fra botti e magazzini, locali bui e macchinari per l’infusione.
Da Via Roma si arriva al civico 27, l’enoteca da cui partire per la visita alle Cantine (l’entrata è qualche metro più avanti) e in cui degustare sia l’amaro che le grappe. Da lì si scende poi nei locali di produzione.
Il Braulio cominciò ad essere prodotto nel lontano 1875 e continua ancora oggi, lassù, su quelle montagne valtellinesi, e laggiù, nei sotterranei delle Cantine. Visitare quelle cantine è stato come immergersi sia nella storia di Bormio che nei segreti della produzione dell’amaro.
Ho saputo che deve il suo nome al Monte Braulio, nel Parco dello Stelvio, dove nasce il torrente omonimo che attraversa l’omonima valle. In sé ha il gusto e il sapore della natura valtellinese. Fu un farmacista di Bormio a inventarlo, il dottor Francesco Peloni, con l’infusione delle piante che crescono nella zona.
Nell’enoteca fummo accolti da una simpatica donna, che sorridendo ci mise a nostro agio, dandoci qualche prima informazione su ciò che avremmo visto di lì a poco. Poi arrivò la guida. Mi ero figurato tutt’altro che un simpatico anziano, arzillo e ben preparato, ad accoglierci e accompagnarci durante la visita. Era un ex dipendente delle Cantine: chi meglio di lui avrebbe potuto parlarci della produzione di quell’amaro?
Dopo alcune frasi di rito, l’uomo ci condusse fuori, quindi aprì una porta, a fianco all’enoteca, e da lì ci precedette nelle cantine. Passammo attraverso decine di botti di rovere, in cui riposa l’amaro, e in locali anche angusti dove arriva l’odore tipico del sottosuolo, fino a una grande sala che ospita i macchinari per l’infusione delle erbe: il metallo dei recipienti, tirato a lucido, spiccava sul rosso del pavimento e dei mattoni delle pareti.
Là, mentre ascoltavamo, ci guardavamo in giro e scattavamo fotografie, la nostra guida ci spiegò dettagliatamente come avviene la produzione dell’amaro Braulio: la raccolta delle erbe, la loro essiccazione, l’infusione, l’invecchiamento nelle botti di rovere.
Ci spostammo poi al magazzino in cui si conservano, per l’essiccazione, le quattro erbe usate per il Braulio: assenzio, achillea moscata, genziana e ginepro. Qui il locale è più spartano, in cemento, dove decine di sacchi di iuta sono ammassati uno sull’altro, in attesa. Su un plateau, quattro sacchi aperti sono adagiati per mostrare ai turisti l’aspetto delle erbe usate per l’infusione.
L’intera visita è breve, poco più di un’ora, ma divertente e piacevole. Il costo ha poi un prezzo molto basso, che viene scalato a chi acquista i prodotti dell’enoteca, come grappe, liquori e lo stesso Braulio. Ne approfittai e comprai, oltre all’amaro, anche un liquore alle castagne e una grappa.
Credo che sia una visita doverosa per poter conoscere appieno le tradizioni valtellinesi e per immergersi completamente nell’ambiente incontaminato dello Stelvio. Ma non solo. Al termine del nostro giro turistico, ci ritrovammo tutti al banco dell’enoteca, a sorseggiare ciò che poco prima avevamo conosciuto fin nei suoi più intimi segreti.
La signora che ci aveva accolto si dimostrò più che generosa: riempì i bicchierini di questo o quel liquore, per dare a tutti la possibilità di assaggiare il prodotto prima dell’acquisto. E’ stato un bel modo per concludere la mia visita: familiarizzare con gente nuova e soprattutto con una buona dose di liquori.
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