12 Febbraio 2010

Un viaggio all’estero pur stando in Italia

di Emanuela De Fazio (Blog Chiusa. Racconti di Viaggio)

Le stradine del centro

Le stradine del centro

Ricordo esattamente la data, lunedì 5 ottobre, circa quattro mesi fa, stavo partendo da Monza in direzione del Trentino-Alto Adige. Ero felicissima, ero in compagnia del mio fidanzato e ci aspettavano quattro indimenticabili giorni immersi nella natura. Tutti mi avevano parlato molto bene della provincia di Bolzano: un mio amico aveva fatto un elogio indescrivibile sulle sue valli e siccome mi fido molto di lui, avevo delle grandi aspettative che effettivamente non sono state deluse, tutt’altro!

Dopo un bel viaggetto in macchina, uscimmo a Chiusa e, lasciata l’autostrada, stentai a credere che fossimo in Italia. Non scherzo, sembrava la Germania, o la Svizzera. Insomma mi ricordava tanto quei paesi del Nord. Parcheggiammo la macchina in un grande spiazzo adibito a parcheggio, situato davanti alle poste e a un ufficio informazioni. Entrammo in quest’ultimo e recuperammo un po’ di notizie sul luogo.
Il suo nome deriva dal latino claudere appunto Chiusa e si trova a un’altitudine di 523 metri sul livello del mare.

Dopo queste brevi ma interessanti informazioni sul comune, decidemmo di addentrarci in esso e assaporare tutte le bellezze del luogo. Più camminavo e mi guardavo intorno, più non riuscivo a capacitarmi che ci trovavamo in Italia. Saranno state tutte le influenze germaniche a condizionare questa parte del nostro paese, ma anche loro sembrano tedeschi.
La lingua germanica nelle scritte sui cartelli o sulle insegne predomina sull’italiano. C’è una rilassante precisione sia nelle costruzioni delle abitazioni, sia nelle persone stesse. Sono tutti tanto carini e ospitali che non puoi far altro che stamparti un sorriso in viso e camminare per le stradine in pavè, guardando affascinata ciò che ti circonda.

I gerani

I gerani

Le case erano colorate grazie ai vasi di bellissimi gerani disposti sui balconi; i bar erano decorati nel migliore dei modi, i tetti delle abitazioni erano a punta e c’erano diverse famiglie con bambini che andavano in giro in bicicletta. Le insegne dei locali non erano quelle luminose che siamo soliti vedere in giro, bensì il nome era scritto sulla facciata dell’edificio, sopra il portone di accesso, in un corsivo molto curato.

Notammo una chiesetta, anch’essa con il tetto a punta, che era posta in mezzo alla strada del centro, a mo’ di spartitraffico. Era suggestiva con quei suoi lunghi finestroni laterali e la piccola tettoia disposta sulla porta d’ingresso, per riparare le persone dalla pioggia. Non vi entrammo, bensì proseguimmo per la cittadina. Ero accecata dalla bellezza delle case, da questi fiori e dalla verde vallata che la avvolgeva, persino gli alberghi erano tutti decorati e la maggior parte degli edifici aveva un colore diverso, che andava dal rosa pesca al giallognolo tenue.

Monastero di Sabiona

Monastero di Sabiona

Camminando camminando, trovammo delle indicazioni che conducevano al Monastero di Sabiona. Quanta salita ragazzi e com’era ripida!
Percorremmo, comunque, tutta la Via Crucis, caratteristica perché scavata nella roccia, sino a quando giungemmo in cima. Il monastero è, tutt’oggi, abitato dalle monache di clausura ed è presente da oltre trecento anni, nonostante le diverse incursioni anche da parte dei soldati francesi, al principio del 1800, che segnarono una tragedia: una suora precipitò dalla parete rocciosa del monastero, per lo spavento provocato dalla vista del soldato.

In cima c’era anche una chiesetta, entrammo e fummo colpiti dal rosso della stessa. Era ricca di dipinti e di statue che come sfondo o come drappeggio erano caratterizzate dal color porpora. Bellissima!

Ci sedemmo un po’ su delle panchine, c’erano anche altri signori che si riprendevano dalla fatica della salita; chiacchierammo un po’ e poi scendemmo in paese e ci fiondammo in un negozietto, dove vendevano formaggi e salumi. Comprammo un bel panino e mangiammo formaggi e insaccati a volontà. Che buono!

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