La città dei “Brigidini”

E’ un’abitudine assai diffusa in Italia quella di etichettare luoghi, persone o cose con un appellativo capace di svelarne le caratteristiche principali. L’area della Toscana nord-orientale, in questo senso, non fa eccezione. Sono infatti molti i comuni della zona ad essere identificati con un aggettivo, una sostantivo o una definizione univoca che costituisce una sorta di biglietto da visita da esibire – più o meno orgogliosamente – dinnanzi ai numerosi visitatori di passaggio.

Accade così, ad esempio, che Pescia si presenti come “città dei fiori”; Quarrata come “città del mobile”; Prato come “distretto tessile” e il piccolo borgo di Lamporecchio come “paese dei… Brigidini”.
Ma cosa sono questi “Brigidini”? La domanda è tanto spontanea quanto legittima e la risposta non può che essere puntuale ed esauriente: si tratta di tradizionali dolciumi. Quel che le parole spiegano con estrema precisione, lascia tuttavia un po’ disorientati alcuni dei cinque sensi, in particolare la vista e l’olfatto. E’ assai comune, difatti, che una persona ignara dell’esistenza di questi sfiziosi dolci locali, non riesca ad un primo impatto a classificarli come tali. Camminando per le ordinate vie del centro – ammodernate da una recente opera di “restauro” – in occasione delle festività paesane ci si trova spesso in confusione: tra le varie bancarelle, i numerosi chioschi ed i camioncini dei “ristoratori ambulanti” si propaga un intenso profumo di anice che, ad una prima e superficiale analisi, sembra provenire dal nulla.

La colpa di una simile, errata, valutazione? E’ certamente da attribuire all’occhio viziato dell’uomo moderno, incapace ormai di soffermarsi oltre lo strato esterno delle apparenze. Le sottili ostie di colore giallo-arancio che vengono generate in serie dalle molteplici macchine automatiche di metallo presenti ai bordi delle strade, ed azionate da attentissimi “mastri dolciari”, vengono frequentemente scambiate per comuni patatine, ma il loro sapore è di tutt’altra natura. Il gusto donato alle papille dalla sapiente combinazione di zucchero, uova e farina è in effetti inconfondibilmente unico. Dopo averne assaggiato anche un solo frammento è davvero difficile non cedere alla tentazione, evidentemente più che giustificata, di acquistarne almeno una confezione, che si presenta nella caratteristica veste di un sacchetto trasparente di plastica, stretto e notevolmente allungato, capace di contenerne svariate decine di unità. Passeggiare tra i vicoli del borgo sgranocchiando queste prelibatezza e stringendone tra le dita la superficie piacevolmente porosa, rende ancora più gradevole il proseguimento di una festosa serata.

Nel cadenzato incedere, in un simile contesto, in questo straordinario scorcio di terra toscana, anche la muta bellezza della locale Villa Rospigliosi, storica residenza del cardinale Giulio Rospigliosi (divenuto successivamente papa, a metà del Seicento, con l’appellativo di Clemente IX), che sorge su un poggio a dominio dell’intero territorio, sembra poi mostrarsi in una luce ancor più suggestiva.

Sarà forse merito della contrastante vicinanza col campo sportivo, ubicato in un’adiacente conca, quasi a voler comunicare un messaggio di supremazia della cultura sullo sport? Molto probabilmente è soltanto una suggestione, ma è curioso soffermarsi un attimo a pensare a come una dimensione di magica quiete, capace di far percepire il mondo circostante sotto una diversa angolatura, possa essere donata da un modesto dolciume creato – si dice per errore –  dall’ordine monastico devoto a Santa Brigida.

(Foto di Elena Torre e di Sailko in Licenza Creative Commons)