La città di Filottrano ha da secoli rivestito, da un punto di vista geografico, un ruolo strategico di fondamentale importanza. Il suo territorio è perfettamente al centro delle Marche, a pochi chilometri dagli Appennini e, contemporaneamente, vicino al mare. La città sorge in luogo panoramico, guardando da un’altura due torrenti buttarsi nel Musone.
Capitai a Filottrano tramite un amico, perché questi ad una cena ci descrisse le bellezze della sua città e ci invitò a visitarla. Da Porto Sant’Elpidio partimmo, passammo per la strada che costeggia Osimo ed infine raggiungemmo il posto deciso per l’appuntamento.
Era periodo della festa medievale ed il centro storico era abbondantemente decorato dagli stendardi delle contrade. Una serie di palazzi storici ci si propose lungo il percorso: Il Palazzo Comunale, con facciata rinascimentale, Palazzo Luchetti, che custodisce il Museo del Biroccio e una raccolta di attrezzi agricoli marchigiani dalla fine del XIX secolo ad oggi. Il museo della civiltà contadina ci avrebbe offerto una prospettiva interessante di come era stata la vita dei filottranesi fino al secolo scorso, ma del resto la vita che si stava svolgendo in quel momento era altrettanto interessante da scoprire per noi.
Durante la passeggiata che ci svelò le bellezze architettoniche del luogo potemmo scoprire, grazie al nostro accompagnatore, che la città era abitata sin dall’età del bronzo e che vi avevano risieduto anche i Galli. Come scoprii controllando l’enciclopedia, il nucleo originario della città fu fondato dai longobardi e poi venne distrutto nell’XI secolo. I paesani, ma anche gli studiosi, ritengono che la città abbia preso il nome dalla mitica figura del condottiero longobardo Ottrano. Come ci venne detto quel pomeriggio, mentre faticavo a stare al passo dei miei due accompagnatori, Filottrano svolse un ruolo fondamentale durante la Seconda Guerra Mondiale, come baluardo contro le truppe tedesche.
L’amore per la propria città che il nostro amico dimostrò durante la visita mi colpì profondamente e avvertii un piena partecipazione degli abitanti nella vita del paese. Mi piacque e volli fermarmi la sera a cena in una delle taverne all’aperto: ci vennero presentati menù con pietanze dai nomi locali molto curiosi come i “quadrelli” un tipo di pasta con sola acqua e farina e la “crescia brusca”. Anche del buon vino viene prodotto localmente, tra cui il più pregiato è un rosso detto Piceno. L’atmosfera fu particolarmente calda e mi divertii alquanto a vedere i partecipanti in costume schernire le fazioni avverse.
La nostra serata stava volgendo al termine e ci decidemmo a tornare verso casa. “Voglio portarvi a vedere una cosa…” ci disse. Mentre il resto della città era occupato nei festeggiamenti ci accompagnò in silenzio in un posto dove non c’erano persone. Non avevo capito perché ci aveva portato in un posto così tranquillo, poi ci disse con orgoglio misto a commozione: “vedete questo è il cippo della Nembo. Ogni anno vengo alla commemorazione che si tiene qui in commemorazione dei fatti della seconda guerra mondiale. Sembra triste ma io ci tenevo, è una cosa importante”. Sostammo per qualche tempo in silenzio, poi, lentamente tornammo verso i nostri alloggi e ci volle qualche minuto prima di rompere l’atmosfera piena di rispetto e scioglierci per i saluti.
(Foto di Sauro Pierdica, per gentile concessione)
1 commento a “Il sentimento di una città che non dimentica”
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Peccato che non si citi il nome de “La Contesa dello Stivale” (la festa medioevale locale), che non ci si ricordi anche della “Folgore” (oltre alla “Nembo”) e che soprattutto non si sia visitato il Museo “G. C. Beltrami” dedicato allo scopritore delle Sorgenti del Mississippi (limitrofo al Museo del Biroccio).