Conosciuta in tutto il mondo per il suo famosissimo vino Prosecco, Valdobbiadene continua a regalare emozioni vive e intense a chi la vive quotidianamente.
Alla scoperta della città attraverso il racconto dello scrittore Roberto Tossani, bolognese di origine che da qui non riesce proprio ad allontanarsi.
Valdobbiadene: paese dell’ultimo poeta latino e di un papa. Scelta consapevole o puro caso?
Probabilmente non ho molto da spartire con San Venanzio Fortunato e con papa Benedetto XI.
Trasferirci qui da Bologna nel 1968, quando avevo otto anni, non è stata una mia scelta: la mia famiglia decise di seguire mio padre medico che aveva vinto un concorso nell’ospedale civile - nosocomio che peraltro ora è ormai dismesso. Tuttavia, nei miei caroselli cerebrali ho sempre pensato che Valdobbiadene mi stesse aspettando, che non avrei potuto crescere in altri posti e che la mia personalità avesse bisogno di radici bolognesi trapiantate nel profondo nord-est.
La cosa che più le piace di questo paese?
Probabilmente è un discorso da folli, però Valdobbiadene ha dentro di sé un incanto. Conosco molte persone che si sono trasferite qui, come la mia famiglia d’origine, pensando di rimanere per poco tempo, ma poi non si sono più mosse. Una sorta di piccolo mal d’Africa valdobbiadenese.
Questo è un paese che ha molti aspetti negativi e positivi - come ogni luogo del resto - ma noi che abbiamo deciso di rimanere o che ce ne andiamo per poi ritornare, non sappiamo spiegare la cosa che maggiormente ci piace. Anzi, direi che ci viene istintivo dire cosa non va ma continuiamo a stare qui, come se Valdobbiadene fosse Braccobaldo Show.
Valdobbiadene culla del Prosecco. Com’è la cucina qui e cosa si mangia di buono?
Le cose migliori sono quelle che col Prosecco vanno a nozze: la sopressa, il formaggio di malga e, quando è stagione, i funghi. Qui la tradizione gastronomica deriva dalla cucina povera, cibi tipici dei contadini rivisitati in chiave moderna e a volte artistica. Nella frazione di Santo Stefano, da poco più di un anno, è nata l’unica “Osteria senza Oste” italiana. Un panorama mozzafiato sui vigneti scoscesi del Cartizze caratterizza questo casolare dove si mangia e si beve, ci si serve da soli, si fa il conto e prima di andar via lascia i soldi in una cassettina.
Oltre al Santuario, quale altro posto merita di essere visitato?
Valdobbiadene va girata in lungo e in largo in auto, in moto, in bici e a piedi: partendo dalla piazza, centro imperdibile; andando su e giù per le colline traboccanti di vigneti; salendo sul monte Cesen e fermandosi a San Floriano per capire perché è considerato uno degli ombelichi del mondo; scendendo fino alle rive del Piave e scoprendo scorci improvvisi dietro le curve.
Valdobbiadene è un luogo di luoghi: una serie di posti che si rincorrono, tasselli di un puzzle che vanno ricomposti, puntini dei disegni della Settimana Enigmistica che vanno uniti.
Cosa narra nei suoi libri e questo paese che peso ha avuto nella tua carriera di scrittore?
I miei racconti sono sempre in bilico tra un mondo surreale e la realtà spicciola di ogni giorno; quell’insieme di fattori a cui accennavo prima parlando delle radici bolognesi e il crescere in un luogo dove la praticità, con pochi fronzoli, è il pane quotidiano. Per esempio, il romanzo “I sassi vanno matti per le sasse” è una favola per adulti dove tra le altre cose si narra del percorso formativo di un uomo che lavora come volatore di palloncini e sa leggere i sassi, dove vivono ricordi dimenticati. Se non mi fossi trasferito a Valdobbiadene forse non avrei mai scritto e probabilmente mi sarei dedicato alla musica - ho anche celebrato con ironia questo paese nella mia opera prima ma, essendo inedita, non può essere “gustata” per ora.
Senza Valdobbiadene i miei libri semplicemente non sarebbero esistiti.
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