Marco Brando, giornalista e ora anche scrittore, descrive il motivo per cui si è innamorato di Celle di San Vito, in Provincia di Foggia.
Lui, di origine ligure e abituato ormai alla routine della frenetica Lombardia, ha ritrovato a Celle qualcosa di casa, quel certo “non so ché” che lo lega alle sue origini e si è legato a questa terra a tal punto da dedicarle il suo libro.
Come ha conosciuto il piccolo paesino di Celle?
Beh, sono un giornalista e ho vissuto quasi sette anni in questa regione. In occasione delle elezioni amministrative del 2003, fui incaricato dal caporedattore del mio giornale - allora era il Corriere del Mezzogiorno, dorso di cronaca pugliese del Corriere della Sera - di raccontare come ci si preparava all’appuntamento politico in alcuni piccoli centri.
Tra questi scelsi anche Celle che, con poco meno di 300 abitanti, è il più piccolo comune pugliese; per la precisione, sono 297 cittadini, inclusi coloro che sono iscritti all’anagrafe, ma vivono altrove.
Una visita virtuale tra i posti più belli del paese.
Celle di San Vito è un grumo di antiche case di pietra arroccate nel Sub Appennino dauno, in provincia di Foggia. Non ha monumenti particolarissimi, ma il bello è un’altra circostanza.
Celle di San Vito e la vicina Faeto, con i suoi 799 abitanti, hanno una caratteristica curiosa, in comune con la Valle d’Aosta: vige il bilinguismo e si parla franco-provenzale.
Per scoprirlo occorre risalire le montagne, finché ci s’imbatte in un vecchio cartello giallo arrugginito e rovinato da una fucilata a pallini, nonché dagli adesivi di un candidato alle elezioni regionali del 2005.
Vi si legge: “Minoranza franco provenzale dell’alta valle del Celone”, con tanto di stemma angioino e cartelli bilingui. Così Faeto diventa Fait, Celle di San Vito diventa Cell di Sant Wit.
A Celle, come a Faeto, le vie sono chiamate rûe. All’ingresso di quest’ultima si legge: “Bunvnì a Faìt, lu paìj me aut d la Puglj” - Benvenuti a Faeto, il paese più alto della Puglia.
Perché si parla franco-provenzale?
Verso la fine del secolo XIII giunse in queste terre una colonia di provenzali, soldati mercenari di Carlo d’Angiò reduci da Lucera che si erano appena scontrati con i Saraceni, lì deportati nella prima metà del secolo da Federico II di Svevia. Lo testimonia l’editto di Carlo I D’ Angiò del 1274 con il quale il sovrano, chiamato dal Papa in Italia per combattere contro la dominazione della casa sveva, dopo la resa dei Saraceni a Lucera nel 1269, cercò di far trasferire nella Daunia gente proveniente dalle aree interne alla Provenza.
Ma la storia della migrazione dalla Francia alla Daunia non è ancora stata del tutto chiarita dai documenti storici; resta il fatto che a Celle e a Faeto un migliaio di persone parlano il franco-provenzale, malgrado esse siano a oltre mille chilometri di distanza dalle terre in cui questa è lingua è nata e, in parte, viene ancora parlata. Una circostanza che mi ha molto incuriosito.
Le emozioni provate alla sua prima visita a Celle?
Mi sono detto: “Come sono finiti quassù dei coloni francesi? Nel XIII secolo il viaggio dalla Francia alla Puglia era molto più impegnativo di qualsiasi viaggio che un persona normale può fare oggi, con i nostri mezzi di trasporto. E’ davvero eccezionale che un’isola linguistica franco-provenzale sia riuscita a sopravvivere nel Sud dell’Italia per quasi ottocento anni”.
Ha dedicato un libro alla Puglia e al suo “imperatore” preferito, Federico II. Come mai?
Il libro s’intitola “Lo strano caso di Federico II di Svevia“. Sottotitolo: “Un mito medievale nella cultura di massa”. E’ dedicato al motivo per cui, ancora oggi, un personaggio medievale è tirato in ballo in Italia e in Germania con lo scopo di analizzare il presente e aiutare a intravedere il nostro futuro.
Federico II è stato un grande: per un qualsiasi pugliese è un mito positivo assoluto, assai di più che nel resto del Sud; nel Nord Italia ancora oggi è un nemico e in Germania, malgrado fosse tedesco, è quasi sconosciuto. Un fenomeno curioso, su cui ho indagato. Ho così affrontato questa vicenda con lo stile del cronista e con un taglio da thriller. Ho poi chiesto di scrivere la prefazione e postfazione a due grandi medievisti: Raffaele Licinio e Franco Cardini. Sono sopravvissuto al loro giudizio. Per un tuttologo (così vengono definiti con un po’ di spocchia i giornalisti che scrivono libri) non è mica male!
Ha lavorato in Puglia per parecchi anni, cosa le ha lasciato questa regione?
Molti amici e anche molti profumi, sapori, colori. Io sono un ligure trapiantato per la maggior parte della sua vita in Lombardia. In Puglia ho ritrovato quello, le essenze che mi hanno riportato alla mia Liguria”.
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