Paolo della Sala intervistato per Comuni-Italiani.it
Il suo lavoro e il legame con il territorio.
Il mio lavoro è la scrittura. Ho cominciato studiando a Bologna nel gruppo del Dams, con lo scrittore Gianni Celati e i semiologi Paolo Fabbri e Umberto Eco. Poi ho proseguito lavorando all’Europeo, alla Rai e al cinema negli anni ‘80. Ora scrivo analisi sulla politica estera, principalmente per il Secolo XIX di Genova e per L’Opinione, per il quale curo anche una rubrica di musica e collaboro per l’inserto “Cento Città”. Scrivo inoltre recensioni di libri e collaboro con una rivista locale, il Corriere della Fontanabuona e del Tigullio, che rinsalda il mio legame col territorio.
Una breve presentazione di Sestri, così come la vede e la vive lei.
Sestri Levante è una città ancora bellissima dal punto di vista della tranquillità, della natura e della bellezza e non vorrei che i miei figli vivessero altrove. Purtroppo è anche una delle città più scempiate d’Italia e basta dare un’occhiata alle riprese satellitari della zona per capire il significato di questa mia affermazione.
Quale qualità della cittadina predilige?
Il fatto di poter passeggiare in un ambiente bellissimo. La Baia di Levante è splendida, d’inverno, quando viene a mancare il nomadismo turistico e si sente solo il fischio dei gabbiani.
Secondo lei cos’è che colpisce di più il turista quando visita Sestri?
La bellezza naturale e, forse, la cementificazione. Infatti gli stranieri passano di qui ma poi preferiscono le Cinque Terre, rimaste intatte. Il turismo è contro il turismo… paradossale, no?
Un luogo cittadino poco conosciuto che vale la pena vedere.
Pochi tigullini sanno che a pochi chilometri dalla costa, sulle colline di Sestri Levante dove occhieggiano in colpevole abbandono le ex miniere di Libiola, esiste un ruscello dall’acqua blu. L’acqua che esce dalle vecchie gallerie ha un colore turchese acceso, dovuto alla concentrazione di solfati di rame.
Le miniere di Libiola hanno una storia molto antica. Secondo la datazione al radiocarbonio degli attrezzi preistorici rinvenuti, i primi scavi di Libiola risalgono al 3500 a.C. Lo storico e geografo greco Strabone riporta che le armi dei liguri, fieri nemici dei romani, erano simili agli armamenti greci. Il rame utilizzato dai liguri proveniva da Libiola. Dopo il periodo romano, le miniere di Libiola caddero in disuso fino al 1856, quando vennero riscoperte da due transfughi dalla caduta della Repubblica romana, i mazziniani Vannoni e Bonelli, uno toscano e l’altro nativo del posto.
I due patrioti ritrovarono le antiche tracce di pirite cuprea e carbonati blu e verdi. Ottenuti i permessi di ricerca, si formò una piccola società, con l’alternarsi di vecchi e nuovi soci, finché nel 1866 la notizia della presenza di minerale arrivò a Genova, dove agiva una compagnia inglese, la Granet Brown. Come si sa i rapporti tra mazziniani e inglesi era molto solidi e così, grazie all’attività di un ingegnere nativo della Cornovaglia, Enry Pill, si formò la “Libiola Copper Mining company”.
Per trasportare il minerale si realizzò una strada carrozzabile da Santa Vittoria verso il porto di Sestri Levante. Il minerale, prima di essere imbarcato per i porti di Swansea e Newcastle, veniva piazzato nella attuale via Garibaldi, chiamata ancor oggi “carruggio dell’oro” (cos’era il rame se non fonte di ricchezza?).
L’attività diede lavoro a 200 minatori e contribuì alla realizzazione di un marketing turistico collaterale: molti inglesi hanno da allora conosciuto le bellezze di Sestri Levante e del suo entroterra, tanto che a Londra vi è una “Libiola street”. Il vasto paesaggio lunare della miniere di Libiola merita una visita (il miglior percorso si fa a partire da Tassani) anche se fino a una ventina di anni fa sono state utilizzate come discarica.
Dall’altra parte della collina del filone principale, verso il mare, si apre la galleria dalla quale esce l’acqua blu.
C’è un piatto tipico della tradizione enogastronomica cittadina?
C’è il Bagnun, piatto marinaro a base di acciughe, pomodoro e gallette di pane. Poi i classici piatti della cucina ligure e più i testaroli della Lunigiana.
Quali sono le manifestazioni artistiche e culturali che si tengono in città?
La principale è il Premio Andersen, rassegna sulla fiaba dedicata all’infanzia e ai giovani.
Un oggetto particolare che simboleggia Sestri.
Il Leudo, una barca commerciale a vela latina, detta “liuto” fino all’800, per la caratteristica forma. E’ una imbarcazione storica lunga anche 20-30 metri, unica al mondo, ma purtroppo è più conosciuta in America che da noi, nonostante una volta riempiva la rada e la spiaggia. Peccato.
Cosa c’è da fare per cambiare in meglio la sua città?
Serve più unità tra i diversi gruppi politici e più partecipazione da parte dei cittadini. Più cultura pluralista e più cultura e informazione in generale. Si dovrebbero distruggere le opere realizzate nell’ultimo decennio, con un intero quartiere di 600 appartamenti dedicato a seconde case e un posteggio al posto di una spiaggia…
Ci racconti un suo ricordo personale legato alla città.
Due ricordi: gli amici di mio padre e i tanti poeti e artisti che qui venivano e la vittoria riportata con un referendum popolare contro il tentativo di fare il terzo porto turistico su 8 chilometri di costa, a 5 km da quello di Lavagna, il più grande del Mediterraneo.
Ci racconti invece un fatto di cronaca che si lega alla sua città.
La migliore cosa della città è che sfugge dai grandi eventi della cronaca. Vorrei però ricordare la morte di Tino Barbera, un grande impresario di discoteche che aveva fatto venire qui i più grandi gruppi e cantanti, morto mentre metteva a posto la discoteca sulla diga foranea, per un’onda anomala che ha abbattuto una parete, un sabato pomeriggio.
Ci sono dei personaggi illustri da ricordare vissuti nel suo comune?
Moltissimi, tra cui posso citare Byron, Andersen, Rosa Luxembourg, Wagner, Marconi…
Come vede il futuro di Sestri?
Buono se si decementificherà, altrimenti continuerà la desertificazione. ll vecchio centro storico ormai è quasi disabitato, i residenti emigrano nelle valli e… vanno tutti in macchina!
Non c’è più un’identità, perché il mare è stato espulso dal nostro sapere.
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