Sono stato ospite di un amico a San Roberto per qualche giorno e sono cosi venuto a conoscenza di un vicenda singolare. Si tratta di un lembo di terra “conteso”, che pone questo comune in opposizione a quello di Scilla, borgo confinante popolato da poco più di cinquemila abitanti.
Rinomata destinazione turistica ed apprezzata meta balneare, Scilla si caratterizza per un paesaggio mozzafiato ed un clima invidiabile, elementi che ne fanno una delle località estive più visitate della costa reggina. Come biasimare, d’altronde, i numerosi viandanti che scelgono di raggiungere il Promontorio Scillèo quando la colonnina del mercurio, durante la bella stagione, tocca temperature da record? L’incantevole mare che separa la punta dello “stivale” dalle coste della Sicilia, infatti, è una tentazione troppo forte: impossibile non abbandonarsi alle acque dello Stretto di Messina, un tempo noto proprio come stretto di Scilla.
A pensare al suggestivo fascino delle spiagge locali, verrebbe così facile immaginare che oggetto del contendere tra i due limitrofi comuni possa essere un’area pianeggiante. Niente di più sbagliato! Il territorio “conteso” – come amano spesso definirlo, con una buona dose d’ironia, i simpatici residenti – sorge invece a quote più elevate, lungo i lussureggianti profili dell’Aspromonte. Si tratta della frazione di Melìa che ancora oggi risulta in parte sotto l’amministrazione territoriale di San Roberto ed in parte sotto quella di Scilla. Una zona abitata prevalentemente da contadini e pastori che fanno dell’agricoltura e dell’allevamento i fiori all’occhiello dell’economia comprensoriale. Un luogo che si distingue, inoltre, per la strategica posizione geografica a metà strada fra il mare e gli stabilimenti montani di Gambarie.
Il mio arrivo nell’ambita frazione non è certo confortevole. La strada che da San Roberto si dirige in loco è stretta e ricca di buche: numerosi sono poi i tornanti che s’insinuano fra i lussureggianti crinali adornati da fiorenti ulivi. Vedendo questo scorcio paesaggistico mi viene spontaneo chiedermi per quale motivo l’origine del nome di questa località sia attribuito, a seconda delle correnti di pensiero, al frassino (qualità di legno pregiato per colore, struttura e profumo) o alle mele, anticamente prodotte dalla popolazione autoctona in cospicue quantità.
Dopo un tour sommario dell’abitato mi dirigo verso il luogo che ne rappresenta il cuore pulsante: la piazza. Mi incamminino, quindi, sopra i grandi lastroni di pietra grigia che compongono – assieme ad una serie di irregolari decorazioni biancastre, stondate – il mosaico dello slargo, dove noto numerose persone impegnate a dialogare. Mi prendo una pausa e mi fermo per godere della scena. Scopro così che una delle principali preoccupazioni dei residenti riguarda la prolungata assenza dell’acqua corrente in alcune abitazioni. Un problema decisamente fastidioso, cui la gente pare ormai far fronte da diverso tempo.
Chiacchierando con alcuni uomini vengo poi a sapere che anche le strade non sono molto apprezzate, giacché le loro condizioni lasciano sovente a desiderare. Tutti i malumori, però, spariscono quando il tema della discussione diventa l’ambiente e ognuno degli astanti si sente in dovere di aggiungere una lode. La più bella che ho sentito – pronunciata da un ispirato oratore – è questa: “Quando il vento rischiara il cielo e mette in fuga le nubi, permettendo allo sguardo di spingersi da queste alture fino alle spiagge siciliane, anche il cuore affetto dalle maggiori sofferenze più non duole”.
(Foto di Ilario in licenza GFDL)
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