Incontriamo Sandro, del Ristorante Nerina, della frazione Malgolo del comune di Romeno.
So che il vostro ristorante ha un rapporto molto intenso con il territorio: la mortandela è diventata Presidio Slow Food grazie a voi.
Sì, in effetti abbiamo voluto promozionare questo prodotto eccezionale, che stava scomparendo: meritava una protezione. E’ un salume fantastico che ci ricorda di quanto dura fosse la vita della montagna, qui, alcuni anni fa.
Io vedo i miei zii, contadini. Oggi stiamo tutti bene, perché la Val di Non è luogo di produzione delle mele; ma prima di questo successo, la vita qui era dura. La mortandela, infatti, era fatta con i pezzi meno pregiati del maiale: interiora e l’ultimo spolpo del porco. Le carni venivano pestate a mano nel mortaio, da qui il nome.
E’ un salume eccezionale. L’impasto non viene insaccato nel budello ma è messo, a mano, nell’omento del suino: questa preparazione viene, poi, sottoposta ad affumicatura e, a volte, a stagionatura. La mortandela viene usata, ad esempio, fresca nella minestra d’orzo o nei crauti; mentre la versione stagionata è consumata come salume. La particolarità di questa specialità è che ogni famiglia della valle ne preparava una propria versione, cambiando i dosaggi delle spezie.
Anche le altre specialità della zona, in fin dei conti, svelano questa origine “povera”.
Pensi che la ciuiga, tipica di San Lorenzo in Banale, si preparava con metà maiale e metà rape macinate, proprio perché i contadini erano obbligati a vendere la gran parte della loro produzione di carni da animali da cortile per sopravvivere. Tenevano, quindi, per sé, la carne meno pregiata del porco che mischiavano alle rape, per risparmiare ulteriormente. Anche in quel caso, la ciuiga è diventata un Presidio Slow Food e si tratta di un prelibatezza, a forma di pigna, tant’è che “ciuiga” proprio pigna significa in dialetto. Si tratta di un insaccato che può essere consumato fresco, una volta bollito, o dopo stagionatura, diventa come un salame.
La mia idea di rapporto con il territorio, in fin dei conti, è questa: le facce, prima di tutto.
Non voglio utilizzare lo slogan chilometro zero, che per me è una frase abusata. Non seguo né mode, né un progetto particolare. Semplicemente, i miei fornitori, sono amici, persone della zona. Gente che ama la terra e fa agricoltura “biologica”, senza neanche sapere cosa sia questa etichetta…
Seguiamo uno schema concentrico, senza allontanarci troppo. Per esempio, dato che qui il riso non ce l’abbiamo, lo faccio venire da fuori. Ma non dal Piemonte, ma dal veronese: il riso viene da Isola della Scala.
Chi è Nerina?
Nerina è nostra madre! Anche lei di Malgolo. Mentre papà Francesco era di Acerra. Un grande rappresentante della grande tradizione pasticcera napoletana. Girò il mondo e poi, conosciuta nostra madre, giunse qui. Anche se la nostra cucina è assolutamente del territorio, abbiamo imparato da nostro padre certi trucchi molto importanti, in cucina: come nella preparazione delle basi, della pasta. Forte è la sua influenza nei dolci. E poi, anche la mia estroversione è napoletana!
Siete un gruppo di fratelli a gestire l’attività.
Sì. Abbiamo anche l’albergo, in fondo, e servono tante braccia. Io mi occupo di sala, vini e dei rapporti con i fornitori… anzi, per tornare alla mia filosofia, direi che mi occupo del rapporto con gli amici. In cucina, ci sono i miei fratelli Mario, Cecilia e Loredana. Fanno anche il pane.
Un assaggio del vostro menu.
Per antipasti, la nostra schiacciatina calda, accompagnata da mortandela affumicata della Val di Non, lardo, speck e coppa; tomino di capra alla piastra; flan di trentingrana con fagottino di carne salada. Fra i primi: gnocchi di rape rosse con crema al gorgonzola; ravioli verdi ripieni di brasato con salsa di carne; gnocchi gratinati di polenta nostrana con salsiccia; strangolapreti alla trentina; tagliatelle ai carciofi; tagliolini alle sarde del Garda. Fra i secondi: scrigno di vitello ai carciofi e mozzarella – ecco il tocco napoletano! -; bianchetto di vitello ai funghi; bocconcini di coniglio disossato con patate; filetto di manzo all’acciuga; tagliata di manzo al rosmarino; carne salada saltata. Infine, offriamo una selezione di formaggi del caseificio di Castelfondo, e il montson, un formaggio della zona da latte fresco, e del Turnario di Pejo con mostarde.
Cosa c’è di bello da vedere nel vostro comune?
Il nostro è veramente un tipico, bel paesino, della Val di Non. Con la chiesetta affrescata, a spioventi, e sala unica, le case a graticcio e in legno… e tanto, tanto verde.
Nella nostra frazione c’è il Castel Malgolo, realizzato nel XV secolo, su di una preesistente casa fortezza dei signori di Coredo, citata già nel 1342. Stando da noi, potrete visitare la diga di Santa Giustina, la più alta d’Europa, il lago di Tovel e il suggestivo Santuario di San Romedio.
Qual è il piatto tipico che preferisce?
Il coniglio con polenta.
Quali le sue scelte in campo enologico?
Segnalo innanzitutto il Groppello di Revò, da non confondersi con i groppelli bresciani, è il vino autoctono che incarna la Val di Non. E’ un vino di nicchia, che nell’Ottocento raggiunse buona fama, tanto da essere esportato alla Corte di Vienna. Ma, in seguito, ha rischiato una vera e propria estinzione che è stata scongiurata da alcuni produttori eroici della zona, che l’hanno riscoperto, come il nostro amico Augusto Zadra. Augusto è un “personaggione” che ci dà una mano in tante cose; è ex cuoco diventato ricercatore “enogastronomico”, un grande.
Non posso non citare Elisabetta Foradori che è stata, negli anni Novanta, la principale artefice del rilancio del Teroldego Rotaliano. Fra i bianchi, vi segnalo il Nosiola, che è un vitigno autoctono coltivato nella zona di Toblino, della Valle dei Laghi e di Lavis. Lo si vinifica in purezza, anche in vendemmia tardiva, è impiegato anche nella produzione del Vino Santo Trentino, e, in miscela, costituisce almeno il 70% di un altro nostro ottimo bianco DOC, il Sorni.
Riferimenti:
Albergo Ristorante Nerina
Via A. Degasperi, 31 (Malgolo) - 38010 Romeno (Trento)
Telefono: 0463-510111 - Telefono e Fax: 0463-510001
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