11 Luglio 2008

Firenze, il sogno divenuto realtà

di Anna Di Maio (Blog Firenze. Racconti di Viaggio)

Duomo di FirenzeLa prima volta che sentii parlare di Firenze, fu tra i banchi di scuola. Ero una ragazzina di undici anni. Ricordo ancora la voce profonda e appassionata del mio insegnante di storia dell’arte che descriveva con enfasi le botteghe degli artisti fiorentini, il fermento culturale e pittorico, il meraviglioso cantiere di lavori in corso che doveva essere il Duomo, ove si susseguivano idee e progetti per la grande cupola.
Così, quando mi fu proposto di trascorrere il week-end dell’Immacolata a Firenze, non ebbi alcuna esitazione.

Da Santa Maria Novella giungemmo con l’autobus in albergo. La nostra stanza era situata al quarto piano, entrammo in ascensore e notammo con non poca sorpresa che la pulsantiera si fermava fino al terzo piano.
Giungemmo al terzo piano, in un ampio corridoio dal pavimento con la moquette rossa, con le pareti decorate da grandi quadri con cornici dorate, con le porte delle camere di legno intagliato, in un ambiente accogliente che sprigionava un caldo tepore, ci sentimmo finalmente “a casa”, ma non eravamo ancora arrivate alla nostra camera.
Sulla nostra destra c’era una grande porta, spingemmo la maniglia e subito un forte vento gelido ci investì il viso, la finestra che illuminava il piccolo ambiente racchiuso da due porte, era stata lasciata aperta. La grande porta si richiuse alle nostre spalle, ed un’altra si parava davanti a noi. Aprimmo anche quest’ultima: vi erano nascoste due rampe di scale. Non ci perdemmo di coraggio e con le valigie tra le mani, ingolfate nei grandi cappotti, ci avviammo verso la nostra stanza.
Il corridoio era spoglio, il pavimento non aveva né tappeti né moquette, ma era di marmo un po’ usurato, la porticina di legno scarna, entrammo nella camera. Una stanza minuscola, con un letto da una piazza e mezza da dividere in due, alle pareti un poster ingiallito con un dipinto di Van Gogh e un bagno alla francese, ossia mancante di un importante accessorio e che a chiamarlo bagno era già un complimento!!! Ci guardammo in faccia e scoppiammo in una fragorosa risata: eravamo capitate nella soffitta dell’albergo!

Duomo - ParticolareLasciammo i bagagli sulla sedia accanto al lettino e ci dirigemmo verso il centro, desiderose di scoprire le meraviglie che riservava la città.
In piazza del Duomo, la visione di Santa Maria del Fiore mi tolse il respiro: la facciata dai pregiati marmi policromi era riccamente decorata da statue ed ornata da grandi rosoni, in un trionfo di bifore i cui archi acuti rivolti verso il cielo celavano la tensione dell’uomo verso l’Infinito. Accanto vi era il Battistero, una costruzione a pianta ottagonale simboleggiante la Resurrezione del Cristo, un tempo frequentato dal Sommo Poeta.

Mi tremavano le ginocchia dall’emozione, quelle strade appena qualche secolo prima avevano visto il passaggio di uomini geniali, di artisti, di predicatori, di poeti. Guardavo intorno a me estasiata tutto ciò che mi circondava, cercando di cogliere fino in fondo tutti i particolari, imprimendoli nella mia mente.
Accanto al Duomo seduti con il cavalletto davanti ed armati di cartoncino e matita, una schiera di artisti moderni si offriva di fare ritratti ai turisti. Proseguimmo oltre e giungemmo in Piazza della Signoria, ove si incrociavano frammenti di storia, arte e letteratura.

Era ormai sera, sul Ponte Vecchio un suono ovattato proveniva da lontano, seguimmo le magiche note e scoprimmo in un piccolo slargo un giovane violinista che regalava ai passanti una musica dolce e struggente.

Di notte, in tema con il clima natalizio, facemmo l’esperienza del “bue e dell’asinello” nella fredda grotta di Betlemme: anche noi, come loro, eravamo nella nostra camera al freddo e al gelo! Ma non era tutto. Fummo svegliate nel cuore della notte da sinistri rumori. Scoprimmo, poi, che alle spalle del nostro letto vi era l’alloggio dell’impianto ascensoristico e quello dell’autoclave.

L’indomani con due cerchi sotto gli occhi ci “svegliammo”, per quel poco che avevamo dormito, di buon’ora. La nostra tabella di marcia prevedeva una giornata intensa. Per prima cosa ci dirigemmo verso la Chiesa di Santa Croce. L’atmosfera natalizia era palpabile nell’aria, le vetrine scintillanti di luci e colori, cartelloni con mostre presepiali, strade affollate di turisti con curiose frontiere nei capelli da cui partivano lunghe corna di renna con campanellini sonanti, rosticcerie da cui fuoriuscivano calde scie di aromi e profumi.
Nella piazza antistante la chiesa di Santa Croce era stato allestito uno spazio dedicato ai mercatini di Natale con prodotti tipici dei paesi Nordici, dove si trovavano le più disparate mercanzie, dal cioccolato viennese alle statuine di elfi e fate, da cornici intagliate di legno a sciarpe di lana grezza decorate.
Accompagnate da una pioggerellina sottile, riparate dagli ombrelli, ci fermammo a gustare un panino ai crauti con un boccale di birra, una brioches salata e una crepe al cioccolato.
Dopo aver ammirato la Chiesa con le sue tombe monumentali e con i bellissimi affreschi delle cappelle, il crocifisso ligneo di Cimabue, la Cappella dei Pazzi, era giunto il momento di visitare la Cupola di Santa Maria del Fiore simbolo di Firenze.

Iniziammo la lenta risalita per le strette scale che si contorcevano su sé stesse, in cui ogni gradino era un passo in più verso la luce. Salivamo lentamente nella penombra, fin quando giungemmo all’interno della chiesa passando per l’interno della Cupola, sfiorando gli affreschi del Vasari raffiguranti il Giudizio Universale. L’emozione era sempre più forte, dall’alto i pellegrini all’interno della chiesa sembravano dei puntini lontani e noi invece eravamo lì al cospetto di quelle meraviglie.
Un ragazzino alto poco più di un metro, davanti a noi, illustrava con tono saccente la simbologia degli affreschi e noi ci avvicinammo per ascoltare le sue spiegazioni. Intanto la salita si faceva sempre più ripida, intervallata di tanto in tanto da piccoli lucernai da dove filtrava un po’ d’aria fresca e luce. Nell’ultimo tratto ci arrampicammo ad una scaletta e finalmente uscimmo fuori.
Le foto che avevo visto sui libri di scuola non rendevano appieno l’armonia di quei tetti dalle tegole rosse che si vedevano dall’alto, il campanile di Giotto poteva toccarsi quasi con un dito, davanti a noi le chiese, i monumenti, le case, in uno spettacolo da togliere il respiro. L’aria fresca mista alla pioggia rendeva solo più poetico e suggestivo il panorama.

Dopo aver goduto di un tale spettacolo, ci accingemmo a raggiungere la galleria degli Uffizi. All’uscita nel mentre passeggiavamo per il colonnato, da lontano un uomo - statua dal volto tinto di bianco, travestito da cupido con ali e faretra ci venne incontro posando un delicato bacio sulle nostre gote.

Dopo essere state baciate dal dio dell’amore cosa potevamo volere di più? Raggiungemmo l’albergo e a malincuore prendemmo i bagagli, la nostra breve vacanza era finita, lasciando in fondo al cuore una lunga scia di emozioni!

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