27 Novembre 2008

Sceneggiatura dell’orrore a Statte

di Enrica Orlando (Blog Statte. Racconti di Viaggio)

I tipici trulli pugliesi

I tipici trulli pugliesi

Scena prima. Esterno

Una misteriosa notte, in un’auto appena conosciuta, insieme al guidatore.

Il posto passeggero è occupato da una presenza amica, testata da ben due anni di convivenza universitaria; i sedili di dietro ti accolgono invece da sola. La misteriosa notte è pugliese, provincia tarantina: Statte.

Hai raggiunto il piccolo comune in un settembre ancora troppo caldo per essere considerato la fine dell’estate. Quattordici ore di viaggio, tra andata e ritorno, sono forse un azzardo per una vacanza di soli tre giorni ma per amiche che probabilmente non rivedrai tanto spesso come un tempo, va fatto.

Statte è piccola e silenziosa. Paesaggi dai colori bruciati, tipici della Puglia, ti informano.
Tante villette, palazzine basse, un corso principale in discesa, una piazza vuota; il Canale della Zingara, nucleo di abitazioni scavato nella roccia, il muretto dove la tua amica ha dato il primo bacio, il bar dove ci si incontra tutti la sera, la casa della nonna, presentata da un piccolo cane furioso.

Al primo impatto, è una città distesa, stirata tra vuoti e abitazioni. La tua entrata in veste di ospite è accolta in modalità meridionale, versione pugliese: orecchiette con cime di rapa e calda, vivacissima cordialità. Statte è in provincia di Taranto: una provincia piena di satelliti, piccoli comuni disseminati che hai attraversato la notte stessa del tuo arrivo, nella suddetta auto appena conosciuta.

Scena seconda. Interno auto.

Nella corsa tra satelliti domina un buio notturno appesantito dai racconti del guidatore, diventato per l’occasione un dispensatore di storie oscure.

“Non vorrai raccontare quella storia!”: è l’esordio spaventato della tua amica.
Silenzio, poi la replica: “Non voglio solo raccontarla. Voglio dimostrare che non è una leggenda”.
“No! Io scendo, non ci vengo. Già lo so, non dormirei tutta la notte, non ricordi l’ultima volta come sono stata?” La frase dimostra la trasformazione rapidissima di un esordio tremante in un perentorio diniego.

“Quale storia?” È il tuo timido intervento. Il viso pallido della tua amica è la risposta.

Il cartello stradale è la risposta all’enigma. Martina è la meta proibita, il luogo che contiene la storia e che dimostrerà una verità.

Scena terza. Flash back.

Tanto tempo fa, in una notte buia e pesante, molto più di quella che stai vivendo su quel sedile posteriore, un uomo ha smesso di vivere brutalmente, in un incidente stradale, proprio sulla strada che stavo attraversando.
Il suo corpo ha lasciato Martina e il mondo, ma la sua anima si è aggrappata alla lapide depositata a bordo strada, in sua memoria.
E’ un’anima sola che vive per sfidare gli automobilisti che le sfrecciano di fronte, facendole rivivere la tragica fine del corpo che l’ha ospitata.

Per vendetta, l’anima sprigiona una forza intrisa di un oscuro magnetismo che sposta le auto senza che queste siano sospinte da alcun acceleratore. Se il guidatore affronta con sfida tale orribile magnete, l’anima può incattivirsi e bloccare l’auto in un punto preciso, esattamente corrispondente alla lapide, per attirarlo a sé in una sotterranea dimensione mortifera.

Scena quarta. Interno auto.

Il guidatore misterioso si era mostrato da subito troppo sfacciato; troppo pronto a rischiare per sé e per voi due, passeggere ignare e spaventate. E ci fu la punizione.

La strada era in salita. L’auto non aveva marcia inserita. Il vostro Caronte notturno e pugliese si era già girato con un ghigno malefico, mentre l’auto intraprendeva spontaneamente la salita.
Nessun pedale pigiato, nessun acceleratore a tavoletta, nessuna mano sul cambio. Rapidi flash confusi ti riportano ai ricordi di una bella auto tutta nera, con dei led luminosi, un’auto parlante che poteva muoversi da sola, saltare trampolini e raccontare barzellette. Ok ma no, no, quella era tv. Troppi film.

Non sarai per caso giunto nel punto preciso dove la realtà e la fantasia si confondono?
Ma non c’è tempo di farsi domande. L’auto si è fermata. Lentamente la testa si sposta verso destra: la lapide è lì: casa dell’anima vendicatrice. Pare proprio che dovrai abbandonare questa terra per un freddo sotto-terra. Non sembra preferibile. Troppi fumetti dell’orrore?

All’orizzonte non si vedono super eroi, magari volati via da un’altra storia solo per arrivare a salvarti; nessun detective misterioso. Nessun affascinante anti-eroe “indagatore dell’incubo” per risolvere il mistero dell’anima irrequieta.

Scena quinta. Esterno.

La strada è rimasta vuota. Senza guidatore enigmatico, amica spaventata, senza il viso paralizzato sulle retrovie, senza auto.

Fine

Sulla scomparsa dei tre personaggi che sfidarono il potere magnetico degli spettri infelici si indagò molto. Le menti razionali sostengono con fermezza che “trattasi di equivoco increscioso dovuto a potente effetto suggestivo che ha influenzato le menti dei già citati personaggi.

L’effetto di movimento autonomo del veicolo è da spiegarsi semplicemente come effetto ottico, effetto di distorsione visiva che fa percepire all’occhio umano una salita quando in realtà ci si trova in discesa. Ecco spiegato dunque, come avviene l’effetto di movimento dell’auto senza la benché minima traccia di accelerazione innescato da piede umano. L’auto non è trascinata da spiritelli, spettri o anime dannate ma si sposta perché si trova in discesa”.

Ma alla fantasia un po’ tetra di tante menti, piace pensare che non sia così.

(Foto di Antonio Amendola, per gentile concessione)

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