Ricca e piena di sorprese: così Michele Monina presenta Ancona, la città dove è nato e che lo riaccoglie ogni estate. Lui, come egli stesso dice, per caso ha fatto il giornalista, lo scrittore - ben 16 sono i libri pubblicati - e l’autore televisivo. Una vita tutt’altro che monotona, come si addice a un anconetano, abituato ai mille volti e ai continui cambiamenti della sua terra.
Il suo rapporto con Ancona.
Credo di essere un anconetano atipico. La nostra città di frontiera, di mare e con le colline alle spalle viene spesso definita chiusa, caratteristica che la accomuna a Genova, ma io credo di essere abbastanza aperto di idee e con le persone. Al contempo mi sento però anche “di frontiera” perché ho uno spirito abbastanza cosmopolita, cosa che mi ha spinto a trasferirmi a Milano e a scegliere la zona della cosiddetta Kasbah, quella più internazionale e meticcia.
Cosa consiglierebbe a chi visita la città?
Ancona rispetto alle altre cittadine italiane non ha la tipica piazza con il municipio e il duomo. Anzi, quest’ultimo sorge isolato su Colle Guasco. Ha un centro storico molto suggestivo, appollaiato sopra il porto e sopra la vena dei tre corsi che si ricongiungono con il Viale della Vittoria ed è una delle rarissime città non isolane ad avere alba e tramonto in mare, grazie alla sua posizione a gomito. Si può assistere al sole che sorge dal mare al Passetto e vederlo tuffarsi nelle acque del porto. Un’esperienza davvero notevole.
Aspetti positivi e negativi di Ancona.
Di negativo, spiace dirlo, c’è il provincialismo. Quando io sono partito, oltre undici anni fa, il fenomeno dell’immigrazione era marginale. C’erano pochi maghrebini, qualche famiglia cinese e un po’ di slavi arrivati durante la guerra dei Balcani. Oggi Ancona è una città diversa, con alcuni quartieri completamente popolati da indiani, cinesi, albanesi e nord africani. Io interpreto questi fatti come la normale modernizzazione di una città che, grazie al porto affacciato sui Balcani, dovrebbe essere di per sé votata all’apertura verso gli “esterni”. In città, invece, si respira non di rado un clima teso nei confronti degli stranieri. Quelli che un tempo dicevano di non capire il razzismo degli altri, ora cambiano quartiere per la vicinanza con famiglie di altre etnie. Una situazione credo non diversa da quella vissuta in grandi città negli anni scorsi, sia chiaro, ma per me molto avvilente.
Il pregio, invece, è quello di avere un tenore di vita a portata d’uomo con costi ancora abbordabili. I tempi sono meno nevrotici di quelli di certe altre grandi città, tipo Milano, e la gente si incontra anche durante la settimana. E poi c’è il mare. Sì, oltre alle persone che amo, è la cosa che in inverno mi manca di più. Da maggio a settembre sta lì, pronto a prenderti. E durante gli altri mesi ti accompagna anche solo con la sua presenza mutevole.
Cosa non farebbe mai vedere a un turista?
La periferia dei cosiddetti casermoni. Condizione che vive in comunione con quasi tutte le città italiane, è davvero avvilente come certi architetti si siano accaniti nel far costruire obbrobri invivibili.
Il paesaggio marchigiano - lo dico ben sapendo di non essere obiettivo - è così bello e morbido con le colline, il mare, i campi e i panorami mozzafiato. Perché imbruttirlo con palazzoni antiestetici?
Alcuni assomigliano a vecchie macchine da scrivere elettroniche. Ce n’era bisogno?
Se si deve fare una casa a basso budget è necessario farla anche brutta? Vogliamo far pesare il disagio di non avere soldi a chi lì ci deve vivere? Altra bruttura è tutta la fascia della tangenziale, quella costruita da Longarini e lasciata a lungo incompiuta.
A ruota libera. I ricordi di Michele Monina da bimbo ad Ancona.
Non ho memoria di me. Quello che ricordo finisce di solito nei miei libri, ma la mia mente lo rispolvera solo mentre scrivo. Quello che so è che nel 1972, quando avevo appena due anni e mezzo, un brutto terremoto ha devastato la città e il mio primo flashback risale proprio a quell’avvenimento, quando un pezzo della stufa mi cadde addosso. La mia famiglia fu costretta ad abbandonare una bella casa nel centro storico, dove ero nato, per andare in una zona ricca, residenziale. Ricordo la sensazione di spaesamento nel vivere altrove che si è poi trasformata in voglia di muovermi, di viaggiare, di conoscere gli altri.
In virtù del fatto che io, figlio di un controllore dei tram, ero costretto a vivere in una zona di gente molto agiata, per anni ho odiato Ancona. L’ho cominciata ad amare quando me ne sono andato, da lontano.
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