10 Dicembre 2008

Padova, tra i suoi monumenti, nasconde i ricordi di un grande scrittore

di Sofia Riccaboni (Blog Padova. Interviste Scrittori)

Franco Bomprezzi

Franco Bomprezzi

Lo conoscono in tanti come giornalista, ma Franco Bomprezzi è anche un ottimo scrittore. I suoi due romanzi sono molto amati, soprattutto per il suo modo naturale di descrivere situazioni estremamente delicate. Con lui abbiamo visto Padova, una città che gli ha permesso di crescere professionalmente e che non ha mai creato ostacoli alla sua disabilità motoria, cercando di crescere adattandosi a lui invece che chiedere a lui di adattarsi alla città.

Una gioventù vissuta a Padova, tra giornalismo e politica, complice anche nell’amore.
Sì, ho vissuto a Padova per 25 anni, dal 1970 al 1995, prima di trasferirmi a Milano. E’ stata la città degli studi universitari e, dunque, del Liviano, la facoltà di Lettere e Filosofia, dove sono arrivato a un passo dalla laurea, mai presa perché ho cominciato a fare il giornalista e la politica. Sono stato anche consigliere comunale, dal 1975 al 1980, avevo solo 22 anni quando sono stato eletto. Dunque è stata per me una città fondamentale, molto viva, culturalmente e socialmente. Ho trovato anche l’amore, mia moglie, Nadia, che era di Abano Terme, e che è morta cinque anni fa.

Che ricordi ha di Padova
Di Padova ricordo molte cose e vi torno spesso, a trovare mia madre e mio fratello. E’ una città strana, piena di contraddizioni, aperta al nuovo ma anche per molti aspetti provinciale. Quando ero giovane erano anni caldi, Autonomia Operaia, gli attentati, Toni Negri, ma anche una grande libertà di esprimersi. Ricordo una grande stagione di giornalismo, con cinque quotidiani compresenti in città, per qualche tempo. Io lavoravo al Resto del Carlino e, dopo la chiusura della sua redazione locale, venni assunto dal Mattino di Padova, undici anni di lavoro eccezionale, a tu per tu con la città.

Cosa consiglia di visitare a Padova, per chi non l’ha mai vista?
La Cappella degli Scrovegni, il Museo degli Eremitani, il palazzo della Ragione, ma anche le piccole strade del Ghetto. Insomma non bisogna fermarsi solo alla Basilica del Santo. I posti sono tantissimi, impossibile elencarli tutti.

Lei convive da sempre con una realtà particolare, la disabilità motoria che la costringe su una sedia a rotelle. Ne parla anche nel suo romanzo, “Cucire la memoria”. Com’è Padova in questo senso?
Padova è una città con molti buoni risultati in tema di barriere architettoniche, frutto di una cultura condivisa, alla quale, forse, ho un po’ contribuito tanto tempo fa, assieme alle associazioni delle persone con disabilità che sono molte e assai attive. Il centro storico, specialmente adesso che è largamente pedonale, è ben percorribile e molti dei monumenti sono fruibili in autonomia. E’ una città messa bene, nel panorama sconfortante del nostro Paese, anche se ovviamente si può e si deve fare sempre meglio.

Dovendo portare a Padova qualcuno che non la conosce, dove lo porterebbe e perché?
La porterei a bere un’ottima “ombra” di vino in via del Santo, in una enoteca stupenda, da Severino. E non è pubblicità, credetemi, merita davvero.

Il suo romanzo Handicap Power è ambientato in una città molto particolare. Dove ha preso l’ispirazione?
Mi ha ispirato Montagnana, piccola città murata della bassa padovana, con mura ben conservate e una struttura urbana molto semplice e raccolta. Naturalmente è del tutto trasfigurata nel romanzo, per ragioni ovvie, visto che dovevo abbattere barriere architettoniche. Montagnana ha un’atmosfera del tutto speciale, antica, ma non kitsch. Ricordo che mi colpì molto una delle prime edizioni del Palio, ai primi di settembre, una rievocazione storica in costume, con corsa dei cavalli, bellissimo. Le mura ben conservate trattengono e  conservano la sua struttura originaria e questo la rende un piccolo grande gioiello.

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