24 Gennaio 2009

Il bianco accecante del nord

di Valentina Cavaliere (Blog Arvier. Alla Scoperta della nostra Italia)

Apparentemente distante, con le sue montagne, i suoi laghi limpidi e rocce dal colore opaco e severo. A due passi da quelle famose città del nord, sempre frenetiche e oppresse dal tempo. Appena un po’ più in alto e ai confini della nostra terra, ma sempre lì per tutti coloro che amano l’incontro tra lo splendido bianco delle cime dei suoi monti e il verde puro dei suoi boschi, troviamo la Valle d’Aosta. Un prezioso angolo d’Italia che nasconde al suo interno altri sublimi pezzetti di mondo, sempre candidi e orgogliosi, sempre intensi e importanti.

Arvier-stradine

Scorcio di Arvier

Come l’orgoglio e il fascino della piccola Arvier. Il piccolo comune, immerso nella Valle della Dora Baltea, vive nei colori caldi e rassicuranti dell’autunno, quello che abbraccia le vigne dell’Enfer a due passi dalla città, curate e amate da tutti i contadini del borgo.

Passeggiando sui sentieri ripidi delle montagne, ti accorgi dell’immenso regalo che si dispiega dinanzi ai tuoi occhi; quando alzi la testa e pensi che questo è proprio il posto in cui vorresti essere e ti basta tutto e potresti stare lì per molto molto tempo ancora.

Ammiri la distesa infinita dei fondali dal biancore accecante, da cui puoi salutare tutto ciò che fa sentire davvero bene e tutto ciò che la natura dà senza chiedere e, forse, con fin troppa generosità.
E contemplando da lontano i boschi scuri con i pini e gli abeti alti, che per la loro bellezza hanno ispirato il nome della città, non senti più la paura.

Arvier ti aspetta nel cuore della sua storia ancora da raccontare. Lungo le sue strade ti narra delle dominazioni e delle sue radici romane. Di quando i Saraceni la invasero nel medioevo e di come furono abili e coraggiosi i suoi figli nel respingere i terribili invasori che minacciavano le sue terre. Ti prende per mano e ti mostra il castello, l’antica fortificazione di La Mothe. Le sue mura parlano del XIII secolo, del suo signore, De La Mothe, che ne ordinò la costruzione. La sua torre quadrata che si estende sull’altura che domina il paese con le tante finestre. Il torrione guarda dall’alto la città ancora oggi, come se temesse che nuovi invasori possano violare le sue strade e le sue case.

Con lo stesso spirito attento e orgoglioso ti lascia ammirare il bel Castello di Paval. Nato un secolo dopo per volere dei potenti Savoia. Anche lui per difendere, anche lui per rassicurare. Le sue stanze non ti racconteranno cronache di eventi ma favole e leggende. Quelle che riempiono i libri e i sogni dei bambini e anche un po’ i miei. Lì sentirai lo scalpitio dei cavalli in lontananza o gli intrighi che si tramavano nelle stanze o anche gli amori tra cavalieri e principesse che si confessavano dalle finestre. Forse è stato davvero testimone di tutte queste piccole storie ma non lo sapremo mai altrimenti non sarebbero più così preziose.

Accanto alle piccole case, quasi finte per la loro grazia, e accanto alle stradine non molto ampie e piene di ciottoli, dentro le sue botteghe la città ti lascia sorseggiare un buon bicchiere di vino, frutto delle vigne dell’Enfer o gustare gli ottimi piatti, tipici della tradizione di montagna, che gratificano pancia e testa.
E ti ritrovi ancora a passeggiare in lunghi viali alberati, a gennaio color della neve e lì puoi sentire delle voci in lontananza; forse sono i cori che delicati oltrepassano la navata della parrocchia di San Sulpizio, romanica nello spirito e nell’aspetto.
La chiesa è custode di un piccolo tesoro, un antico e prezioso altare ligneo a forma di tabernacolo con immagini della Madonna e del piccolo Gesù.
Immagini finemente riportate, che hanno ascoltato infinite preghiere, speranze e confessioni, nel corso dei secoli.

(Foto di Beatrice Bortolussi, per gentile concessione)

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