27 Gennaio 2009

Ristorante Pascucci Al Porticciolo

di Alessio Postiglione (Blog Fiumicino. Interviste Ristoranti)

Incontriamo Gianfranco Pascucci, patròn e chef del ristorante Al Porticciolo di Fiumicino.

Pascucci, tantissime le sue apparizioni televisive alla rubrica Gusto del Tg5: Lei è un rappresentante di questa generazione di chef opinion leaders. Qual è il rapporto fra gastronomia e gusto?
Ci tengo a dire che non mi sento assolutamente un opinion leader, innanzitutto! Poi, vede, per me la cucina è comunicazione, dialogo. C’è un rapporto simbiotico, di scambio, con i clienti. Qui da me, gli ospiti non saranno mai numeri!
C’è un contatto personale che passa dal fatto che non abbiamo tanti tavoli. Da poco, ad esempio, abbiamo aggiunto anche sette stanze; poche ma adatte a rafforzare questo rapporto speciale con le persone. Poi, ovviamente, la gastronomia è un’arte o un piacere che presuppone una certa sensibilità, una preparazione culturale che, se vuole, certi chef possono concorrere a diffondere.
Ma, forse, neanche “diffondere” è la parola esatta. Si tratta di quel patrimonio demoetnoantropologico, prima che culinario, che, semmai, noi aiutiamo a proteggere, facendo comunicazione e sensibilizzando circa la salvaguardia dei prodotti tipici. Quando vedo le persone che comprano il vino in brick e le zucchine affettate mi sento male!

C’è il problema che la cucina tradizionale - con i grandi bolliti, i ragù cotti in quattr’ore - difficilmente si concilia con la nostra modernità.
Quel patrimonio culturale “cozza” coi tempi moderni, è vero. Ma il problema è la consapevolezza. Che è anche il modo per fuggire al caro-vita, ad esempio. Io amo i prodotti semplici e di grande qualità.
E’ un problema anche di ecosostenibilità. Non ci possono essere aragoste, orate e spigole per tutti! Fuggite dalla catena lunga, del pesce decongelato. Noi prendiamo solo pesce nostro: pesce tradizionalmente povero. Ma di grande qualità. E’ anche un modo per contenere i costi. Io dico alla massaia: se risparmi sulla mazzancolla, che è già di per sé cara, è ovvio che hai un prodotto non proponibile. Io dico: prendi il miglior pomodoro, quello più caro, e vedi che alta qualità.
Quando vedo l’olio da 4 euro al litro inorridisco!
Noi valorizziamo pesci poveri: muggine, sughero, palamito. Andiamo alla materia prima, è da lì che parte tutto. Un ritorno alle origini.

Quale di queste materie prime è la chiave di volta della sua cucina?
L’aglio. E’ proprio la dimostrazione di quello che dicevo. A volte si dice: “l’aglio non mi piace, puzza”. Certo, se usi un cattivo aglio, ammuffito, di pessima qualità…
Prendi un aglio di Vessalico o quello rosso di Nubia e vedi che aroma!

Ancora materie prime: il “suo” olio preferito?
Oh…Sono come i colori di una tavolozza. Ne ho tre nel cuore. Mi rimprovero, forse, di utilizzarli anche troppo! Secondo i miei gusti.
L’olio della Sabina, innanzitutto, di Magliano Sabina. La mia famiglia viene da lì: è l’olio di mio nonno. Poi, l’olio itrano, che personalità, che vivacità! Inconfondibile. L’olio di Canino è irascibile, di spessore, robusto. Mi ricorda il mio maestro che lo utilizzava spesso…

Cosa pensa delle nuove tecniche?
Le tecniche sono un’evoluzione: si tratta di un aspetto fondamentale. Ma sono un ramo, non l’albero. Questo è bene tenerlo presente. Va da sé che la ricerca tecnica è sempre stato un passaggio fondamentale per lo chef.
Uno dei padri nobili della gastronomia, Anthelme Brillat-Savarin, scrisse la “Fisiologia del gusto”. Vede, fisiologia come scienza: si tratta del positivismo applicato ai fornelli! Il cuoco moderno è come uno scienziato che può e deve disporre di mezzi tecnici in modo consapevole. Da questo punto di vista, tecniche moderne o antiche, poco importa. Quello che c’è dietro è sempre la ricerca volta a trattare la materia.
Per quanto riguarda il mio approccio, sono più vicino a quei mezzi che consentono una manipolazione dell’ingrediente che ne rispetti le intrinseche qualità olfattive, organolettiche. Sottovuoto, bassa temperatura. Così, per quel che riguarda i mezzi tradizionali, occhio a quegli strumenti antichi o desueti che veramente garantiscono la materia. Come il testo romagnolo o le pentole di ghisa.
Le tecniche che trasformano drasticamente le sento meno lontane dalla mia sensibilità. Comunque, tutto può andar bene: se è utilizzato col fine di servire il gusto.

Le sue composizioni che ama di più?
Quelle dove si nota ancora di più la ricerca, la capacità di ottenere un grande risultato partendo da materie non omologate. Penso al palamito salvia e limone con coppa di cinta senese, al cefalo fritto dorato ripassato con burro e alici, allo spaghettone al sughero (pesce, N.d.A.) con misticanza romana e bottarga, ai maltagliati di grano saraceno con pesce spada e carciofi.
Nel caso dei bocconcini di cernia gialla con salsa di peperoni di Senise, finocchi e calamari utilizzo un nostro pesce con un prodotto tipico lucano eccezionale e poco conosciuto: i cruschi. Li utilizzo anche nella mia tempura di pescatrice con capperi.
Nel palamito con riduzione di arancia e pomodoro c’è la nota dell’agrume che è qualcosa che utilizzo spesso. Come nei calamari fritti, con composta di arancia e cipolla. I calamari, sono un pesce semplicissimo. Eppure il risultato è assolutamente prestigioso. Infine, amo la semplicità: come nella tartare di cefalo.

I suoi vini.
In regione li seguo tutti. Fuori regione, ho apprezzato molto il Pietramarina di Benanti, un grande etna Doc.

Il territorio.
Ci troviamo nella zona più pittoresca di Fiumicino. Sull’Isola Sacra, presso la foce del Tevere. Tutta questa area, inoltre, è di grande interesse archeologico in quanto sono presenti complessi cimiteriali antichi che hanno dato il nome all’isola. Davanti a noi è il mare. Proprio quel mare dove mi rifornisco. Scelgo personalmente i pesci: figli di un dio minore, come sughero, palamito. Una risorsa che è il fulcro del mio “porticciolo”.

Riferimenti:
Ristorante Pascucci Al Porticciolo
Viale Traiano, 85 - 00195 Fiumicino (RM)
Telefono: 06-650.292.04;  Fax: 06-650.292.04

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