28 Gennaio 2009

Un calcio alla palla ovale nella città che non cresce

di Marcello Di Sarno (Blog Feltre. Interviste Giornalisti)

Una vita passata a raccontare la propria città, alternando toni entusiastici a riflessioni amare. Il matrimonio professionale di Ivan Perotti con Feltre è iniziato nel novembre del 1990, con l’allora Gazzetta delle Dolomiti.
Ha collaborato successivamente con alcune testate locali: l’Agenzia giornalistica delle Dolomiti Agd2000, come coordinatore della redazione del periodico “FeltreMese“; il settimanale “Autonomia Bellunese”, come redattore e responsabile dell’impaginazione; l’emittente tv e radiofonica di Trento “Rttr”, come corrispondente e responsabile del radiogiornale.
Attualmente collabora con la televisione locale TeleBelluno, come corrispondente e cameraman, e dal 1994 con il quotidiano “Il Corriere delle Alpi“. Dirige inoltre il semestrale del Centro internazionale del Libro parlato Onlus “La voce dell’immagine”.
Letteratura e politica sono tra le sue principali passioni - a loro dedica due blog personali - che la sua Feltre non manca di stimolare, come dimostra l’intervista rilasciata per Comuni-Italiani.it

Il giornalismo per lei: un vecchio pallino o uno sbocco professionale improvviso?
Ho iniziato a scrivere nel novembre del 1990, ancora liceale. Era una passione che avevo da sempre, un sogno di quand’ero bambino, e appena mi si è presentata l’occasione di iniziare a collaborare con il quotidiano locale – all’epoca era la Gazzetta delle Dolomiti – l’ho presa al volo, grazie a chi ha creduto nelle mie possibilità e mi ha affidato i primi servizi. Da allora, non ho più smesso, pur tra mille difficoltà e mancanze di certezze o prospettive.

Che ruolo ha giocato Feltre in questo percorso professionale?
Sicuramente devo molto alla mia città, anche se inizialmente collaboravo come corrispondente da un comune limitrofo, Pedavena. Se non avessi successivamente avuto la possibilità di occuparmi anche di Feltre, probabilmente il mio percorso sarebbe stato più limitato.
E’ una città tutto sommato piccola, con 20 mila abitanti, ma dove c’è sempre qualcosa da raccontare. Nel bene e nel male. In questi 18 anni di attività ho avuto modo di occuparmi approfonditamente della mia città, pur se a fasi alterne, spaziando dalla politica alla cultura, dalla cronaca all’ambiente, allo sport. Ambiente e sport sono i due settori dei quali mi sono forse occupato con maggiore assiduità.
Nel 1994, quando venne istituito il Parco nazionale Dolomiti bellunesi, lessi tutta la legge quadro di riferimento, per raccontare ai lettori che cos’era quella nuova realtà che dopo anni di richieste e attese finalmente arrivava.

Ivan Perotto

I suoi incontri importanti a Feltre.
Incontri importanti, nel senso di persone dalle quali ho ricevuto insegnamenti, ce ne sono parecchi. Tra questi: Franca Visentin, il mio primo caporedattore e maestro di giornalismo; Carlo Martinelli, che di passaggio alla redazione feltrina del Corriere delle Alpi m’insegnò molto; Nino Martino, direttore del Parco nazionale Dolomiti bellunesi; Stephen Paul Redfern, allenatore del Rugby Feltre e leggenda dei Leicester Tigers; Oscar De Bona, prima presidente della Provincia di Belluno e ora assessore regionale ai flussi migratori; Darwin Pastorin, uno dei migliori giornalisti sportivi italiani, per un incontro breve e indimenticabile; Sandro Dalla Gasperina, libraio dal quale andare per parlare della nostra città, di cultura, di politica, di libri, per imparare qualcosa ogni giorno.

Tra le innumerevoli volte in cui ha raccontato Feltre, ce n’è una di cui serba particolare memoria?
Sicuramente la vicenda della Birreria Pedavena. Non è propriamente di Feltre, ma è indissolubilmente legata al territorio feltrino. Una fabbrica nata nel 1897 e che divenne emblema di birra italiana di qualità, con intere famiglie della zona che vi lavorarono.
Nell’autunno 2004 la proprietà olandese, il gruppo Heineken, decise di chiudere lo stabilimento, nonostante fosse in attivo. Logiche di mercato che mandavano a casa un centinaio di persone. Ho seguito la vicenda dal primo all’ultimo giorno, raccontandola quotidianamente fino al giorno della chiusura: il 30 settembre 2005.
Quel giorno, mentre a Pedavena la sirena segnava la fine di un secolo di storia, in Australia la birra prodotta in questo stabilimento vinceva l’ennesimo premio per l’alta qualità.

E com’è andata a finire?
La fabbrica rimase chiusa pochi mesi, nel corso dei quali la collettività feltrina si riunì in un comitato popolare le cui iniziative arrivarono sino all’orecchio della regina d’Olanda; anche il ministero si attivò e ci fu una raccolta di firme che raggiunse i cinque continenti.
La vicenda si è poi chiusa in modo positivo, perché nel gennaio 2006 la fabbrica è stata acquistata da un gruppo italiano, la Castello di Udine, e ha riaperto nel marzo dello stesso anno.

Dalla maratona al rugby, lo sport è uno dei principali protagonisti della quotidianità feltrina. In che termini?
Feltre è una città di sport, grazie soprattutto a centinaia di volontari che anno dopo anno spendono il loro tempo per organizzare manifestazioni che richiamano migliaia di appassionati e senza le quali la nostra sarebbe una città morta. Peccato che non siano adeguatamente considerate né dalle istituzioni comunali, né dagli stessi cittadini.
Le più caratterizzanti sono tre: il Giro delle Mura, una corsa podistica; la Gran Fondo Sportful, una gara ciclistica talmente ostica che quando il Giro d’Italia passò da queste parti preferì un altro percorso più facile; il torneo di Rugby seven, organizzato dalla formazione locale - che milita quest’anno in serie C - e l’unico aperto sia a tesserati sia a non tesserati.
Per non dimenticare l’attività del Palaghiaccio - che ospita competizioni di pattinaggio internazionali e sede di alcune gare delle Universiadi del 1980 -, le gare di parapendio che partono dal vicino monte Avena e altre, numerose, parentesi sportive.

Dalle Vette Feltrine a piazza Maggiore: luoghi e immagini della città dei suoi ricordi?
Il primo ricordo giornalistico feltrino è legato al castello di Alboino, dove all’inizio degli Anni Novanta aveva sede la redazione locale della Gazzetta delle Dolomiti. Altri ricordi riguardano più gli aspetti che non i luoghi feltrini.
Penso alla cultura, che si sviluppa ovunque fuorché nel luogo forse più “indicato”, ossia il Teatro della Sena, copia della Fenice di Venezia e prossimo alla riapertura dopo una chiusura ultradecennale.
Penso allo sport, a tutti i livelli. Penso all’ambiente, grazie al Parco nazionale Dolomiti bellunesi. Penso all’università, che dopo quasi cinquant’anni di vita trova un campus e al contempo rischia di lasciare la città. Penso alle strade e ai bar, dove si trovano sempre decine di notizie, dove si riesce a comprendere quello che pensano i cittadini e la città.

Feltre e la letteratura. Che legame vede?
Feltre ha un’anima letteraria che è ben nascosta, e per lo più è poetica. Non è una città da prosatori, se non poche eccezioni. E’ una città da pensieri veloci, rapidi – e allo stesso tempo di scelte lente, che spesso alla fine contraddicono quei pensieri.
Feltre è anche la città di Panfilo Castaldi, che contese a Gutenberg l’invenzione della stampa, e di Vittorino Rambaldoni da Feltre, pedagogo e umanista. E’ la città di Bernardino Tomitano, che inventò i monti di pietà per consentire ai cattolici di aggirare la bolla papale che impediva il contatto con il denaro.
E’ la città dove un giovane Carlo Goldoni lavorò e scrisse. E’ la città di Silvio Guarnieri, scrittore contemporaneo, professore, uomo politico che nelle sue opere seppe raccontarne la storia e le cronache.
E’ però una città che da questo passato e da questi esempi non ha saputo trarre i dovuti insegnamenti e si è persa dentro se stessa.

Folklore e storia nel Palio di Feltre, ma non solo…
Seguo il Palio da parecchi anni, occupandomi sempre della parte agonistica. L’ultima edizione ha un qualcosa di speciale, perché ha vinto il mio quartiere, Santo Stefano, e anche se da giornalista non posso tifare troppo apertamente sono contento.
Credo che la cosa più bella del Palio sia vedere i giovani che per tre giorni, dal venerdì alla domenica, vivono di Palio. Quasi non si va a dormire. Si comincia con le cene di quartiere e si finisce con la festa della vittoria, o comunque con la cena che chiude un impegno profondo dei contradaioli.
Il Palio è la festa di Feltre, anche se ancora oggi, trent’anni dopo la sua nascita, in troppi non lo hanno capito e si lamentano perché per due giorni all’anno i giovani si divertono 24 ore al giorno.

Provi a raccontarci i momenti chiave del Palio.
Non credo che si possa raccontare, credo che si debba vivere di persona. Credo si debba assistere alla staffetta che si sviluppa lungo le vie della Cittadella, prima in discesa e poi in salita; al tiro con l’arco all’ombra della chiesa dei santi Rocco e Sebastiano; al lancio della sfida il sabato e al corteo la domenica.
Questi momenti lo caratterizzano, a differenza della gara dei cavalli che lo chiude e normalmente lo assegna: nient’altro che un irrinunciabile vezzo per turisti.

Feltre ai “raggi x” in un titolo e una breve analisi.
Feltre, l’immobilità al potere
La Feltre di oggi è una città che da 15 anni non cresce. Non ha fiducia in se stessa e nei propri figli migliori e continua ad affidarsi ai soliti vecchi imbonitori, gli stessi da una vita. Quelli che vogliono che tutto resti come prima, a volte anche peggio.
Le amministrazioni che si sono succedute, di centrodestra e centrosinistra, non hanno saputo né voluto dare una svolta. Dal punto di vista politico, è mancato il coraggio di scegliere, per non scontentare quei venti abitanti che da cinquant’anni dettano legge. Oggi, ci troviamo allo stesso punto di sedici anni fa. Con un’università in meno, con aziende che chiudono, con problemi in più e con nessuna idea reale di come progredire. Ci si arrabatta, alla giornata.
Un volume recentemente pubblicato sulla storia di Feltre tra fine Ottocento e inizio Novecento mette in risalto un dato direi allarmante: le stesse famiglie che controllavano il potere all’epoca, sono in auge ancora oggi. La Feltre che oggi conosciamo è stata disegnata e costruita, urbanisticamente e architettonicamente, nel decennio precedente alla Prima guerra mondiale. Chi è venuto dopo, si è limitato all’ordinaria amministrazione.

Un’analisi assai spietata del presente di Feltre.
Le dico di più. Alla luce delle recenti disposizioni di legge che hanno tagliato Feltre dalla Comunità montana feltrina, appare sempre più esatta la descrizione che di questo ente e di questo territorio seppe fare, negli Anni Ottanta, un politico del Basso Feltrino, il socialista Orazio Piccolotto: “La Comunità montana feltrina è una ciambella, e Feltre rappresenta il buco”.
Ecco, oggi la classe dominante feltrina ha consapevolmente deciso di isolarsi all’interno di questo buco, nero, trascinando con sé la città intera.

Da blogger ed esperto delle nuove possibilità della Rete, come vede il futuro della professione giornalistica guardando in particolare al rapporto con internet e alle nuove forme di giornalismo partecipativo (blog, social network, etc.)?
Sono scettico. Credo che non sia davvero possibile fare del giornalismo partecipativo, credo che prima di essere giornalisti si debba fare la cosiddetta gavetta in una redazione vera, non in un luogo virtuale. Non ritengo che basti cominciare a scrivere un blog per essere giornalisti.
Così come non ritengo che basti scrivere un articolo per dichiararsi giornalisti; anche se negli ultimi anni ho visto troppi episodi di quest’ultimo tipo che mi stanno spingendo a riflettere su questa professione, dove sempre più spesso non contano le capacità personali e professionali, non conta la deontologia, ma conta soltanto l’avere alle spalle un padrino o un padrone che indirizzi la carriera.
Da questo punto di vista, l’ordine sta fallendo nel suo mandato perché ha rinunciato a difendere la professionalità dei giornalisti e a pretendere rigorosità etica e morale e il rispetto di un codice deontologico eguale per tutti. Non ha capito quali rischi per la professione arrivino dall’uso indiscriminato delle nuove tecnologie ed è rimasto passivo a guardare. Limitandosi a qualche rimbrotto quando qualcuno ha commesso un errore un po’ troppo evidente.

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