Uri è un paese di salite e discese, posto su una collina che guarda verso il mare e la cittadina di Alghero, da cui dista soli venti chilometri. È un piccolo comune dell’entroterra della Sardegna sud-occidentale, tipico della zona del Logudoro, fino a poco tempo fa un po’ isolato a causa delle scarse e tortuose vie di collegamento.
Ora la situazione è migliorata e da qui la città di Sassari è raggiungibile in mezz’ora, come anche la costa occidentale e le sue spiagge bianche. Nel centro storico tra i vicoli e le case basse, con le facciate di pietra scolpita, si aprono scorci verso le alture vicine ricoperte dalla macchia mediterranea.
Numerosi sono i siti archeologici nelle campagne del paese, testimonianza di insediamenti preistorici che risalgono anche al Paleolitico. Ci sono una quarantina di nuraghe disseminati nel territorio comunale, sorta di torri dalla base circolare costruite con la sovrapposizione di massi senza cemento. L’alto numero di tali insediamenti, che risalgono al 1500 a.C, è indice dell’importanza strategica di questa zona.
Da non perdere quello di Santa Cadrina, con attorno i resti di un villaggio di capanne circolari che si trova nel centro abitato: Uri è, infatti, uno dei rari esempi di paesi sardi cresciuti attorno a un primo nucleo preistorico.
La struttura è stata usata anche in seguito tanto che all’interno si possono visitare due ambienti ben conservati di epoca romana, singolari soprattutto per le mura rettilinee.
Le campagne sono punteggiate di domus de janas (Casa delle fate): sepolture preistoriche scavate nella roccia.
Non lontano del paese, giusto qualche chilometro, c’è la stele funeraria sa pedra longa (che in sardo significa Pietra lunga) e l’interessante sito del circolo megalitico di Monte Dominigu.
Sempre nelle campagne tra Uri e il vicino centro di Ittiri è possibile vedere i resti di un’abbazia - una delle rare costruzioni sarde dei monaci - fondata nel 1205 dai monaci benedettini appartenenti all’ordine cistercense: Santa Maria di Paulis.
La loro permanenza fu una breve parentesi che durò duecento anni e, già nel Quattrocento, l’edificio era abbandonato e in rovina. Ora resta un fianco della navata, il transetto e l’abside quadrata.
Nell’immediato dopoguerra un archeologo, Piero Cao, si è occupato del restauro e ha messo in luce elementi architettonici del chiostro. È un monumento suggestivo che meriterebbe una più attenta valorizzazione, da salvare prima che sia completamente distrutto.
A Uri ci sono altre due chiesette parrocchiali: Nostra Signora della Pazienza e l’antica, semplice e austera chiesa di Santa Croce in calcare bianco.
Tutta la piana della Nurra, unica e fertile pianura del Nord Sardegna che arriva fino al Golfo dell’Asinara è irrigata con le acque del lago del Cuga. Si tratta di un lago artificiale, creato dallo sbarramento del rio omonimo che scorre nel territorio urese.
Tra le colture che reggono l’economia del paese, oltre all’olio e alle viti, vi è quella del carciofo sardo, una varietà particolare rispetto a quella diffusa in tutto Italia, perché spinosa e con un sapore più intenso, da mangiare anche crudo. Ogni seconda domenica di marzo c’è una sagra dedicata proprio a questo ortaggio di cui a Uri non si butta quasi nulla. In tanti arrivano da tutto il Sassarese per assaggiare le tipiche e inedite ricette, tutte a base di carciofo (come i ravioli di ricotta e spinaci conditi con carciofo crudo e bottarga).
E per chi passasse da Uri a inizio giugno c’è un altro appuntamento per conoscere meglio questa piccola comunità: su Tusorzu (la tosatura delle pecore) che diventa una festa. Si può assistere anche a una gara di velocità di tosatura tra pastori e partecipare a un pranzo collettivo a base di carne di pecora.
(Foto di Grazia Sini, per gentile concessione)
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