Incontriamo Antonio Di Giovacchino, patron e co-chef della Trattoria Font’Artana di Picciano.
Può guidare i nostri lettori alla scoperta del suo territorio?
Picciano è un adorabile comune dell’entroterra pescarese. Quindi, cucina di terra, povera e contadina. Con gli ingredienti base di una società rurale a farla da padrone.
Ma è un comune con la cucina nel dna, si direbbe.
Il paese, infatti, sorse attorno all’Abbazia di Santa Maria, attraverso varie donazioni signorili ed ecclesiastiche. Fra queste, c’era il patrimonio della chiesa di San Silvestro. All’abate di San Silvestro, stranamente e non è un caso, fu imposto di donare, il giorno dell’Assunta, 24 pizze ed un porco all’abate di Picciano.
C’è un filo storico che lega il nostro comune a prelibate libagioni curiali!
Con l’anima culinaria popolare assolutamente povera e contadina.
Cosa ci consiglia di visitare a Picciano?
Nella chiesa ancora ci sono elementi antichi e bellissimi dell’antica e gloriosa abbazia.
Amo molto, poi, il Museo delle Tradizioni ed Arti Contadine, il MuTAC.
Perché esprime l’anima più vera della nostra zona.
Il museo è diviso in due parti. La prima è dedicata all’olio, al grano, alla filatura e alla tessitura, a tutte le attività artigiane e alla raccolta di testimonianze materiali attinenti al nostro patrimonio etnodemoantropologico. La seconda area è dedicata ai carri ed include una galleria fotografica.
Quali sono gli ingredienti della tradizione che lei utilizza maggiormente?
Tre ingredienti autunnali: la zucca gialla, la farina gialla di granturco e le carni di pecora e di capra.
Utilizzo la zucca per conferire quella nota dolce a molte preparazioni. Con la farina di granturco ci facciamo di tutto: pani, pizze, paste… la pizza di granturco, detta o ’randinije, con la quale si prepara la nostra pizz e foje.
Capra e pecore, infine, sono il simbolo della civiltà contadina, qui da noi. La carne di vacca era per i nobili.
Qual è il piatto piccianese per eccellenza?
Direi… il pranzo piccianese più tipico e della tradizione include gli gnocchi con sugo di capra e la pancetta di capra.
Qual è l’origine del nome del ristorante?
Font’Artana era il nome di una vecchia contrada di Picciano dove si narra ci fosse una fonte dove andava a bagnarsi Artana, mitica fondatrice del comune.
Come descriverebbe la sua cucina e la trattoria Font’Artana?
Proprio come una trattoria, espressione di questa tradizione popolare e contadina.
Il nostro è un ristorante a conduzione familiare. O, meglio: è un desco familiare allargato, dove invitiamo i nostri clienti.
La pasticceria la segue mia moglie Cristina, io sono specializzato nei secondi, mentre mia madre Concetta fa un po’ tutto il resto.
Cerchiamo di essere espressione del territorio. La location è, infatti, una bella casa di pietra del centro storico.
Rispetto per Picciano e rispetto per la materia prima. Non mi piacciono le cucine che trasformano gli ingredienti.
Se mangi una pasta coi funghi… devi sentirci e vederci i funghi!
Ci inviti a pranzo…
Partiamo con le pizz’onte che accompagnano la ricotta di capra, il pecorino e i salumi di fegato. La scelta spazia dalle pallott cac’ e ova (polpette di pane aromatizzato e fritto, Ndr), i fegatini cac’ e ova, i cacigni e faciuol (cicoria selvatica cucinata con i fagioli, Ndr), il ciabbotto, gustoso piatto di verdure con patate, melanzane, zucchine e peperoni: deriva il suo nome dal fatto che “abbottava”, cioè riempiva. Era un piatto unico, povero ma che doveva saziare i commensali.
Altra specialità è il cif e ciaf. Questo piatto viene consumato solitamente nel giorno della festa per l’uccisione del maiale. Si cucinano le spuntature e il guanciale in una speciale padella di ferro nero, entro il quale viene servito direttamente ai commensali.
Fra i primi, segnalo gli gnocchi con ortiche e pecorino, li strapizz con le fave, i ravioli verdi con caprino e salsiccia, o con i carciofi o gli orapi (spinaci selvatici, Ndr), la pasta allo sparone (in abruzzese significa strofinaccio, Ndr) con carciofi e i cordoni di frate al sugo.
In alternativa: zuppa di farro, polenta und e cac (lardo e formaggio, Ndr), tajarille e cicerchie in bianco.
Fra i secondi… tutto pecora e capra: domina, ovviamente, la pecora alla callara, detta anche ajiu cutturo; è uno dei piatti più caratteristici delle zone interne d’Abruzzo, espressione della civiltà contadina abruzzese, dedita alla pastorizia transumante, dal Gran Sasso fino alla Capitanata, dove c’era la dogana della mena delle pecore, a Foggia.
La cottura richiede molto tempo. La carne di pecora va mortificata, sfibbrata e lasciata frollare per tre giorni, poi si taglia a tocchetti e si cuoce lentamente in una pentolaccia per molte ore, al fine di ottenere uno stracotto. Quando la carne è ben bollita, viene sgrassata, scolata e messa nuovamente a cuocere in un grande recipiente per altre tre ore con sale, olio, aglio, peperoncino e altre spezie.
Fra gli altri secondi, c’è la tagliata di vitello ai cachi.
Da bere?… un Valentini Montepulciano del ‘95, il mio preferito.
Riguardo ai dolci, mia moglie è una pasticcera provetta. Assaggiate il suo latteruolo o le fragole e fave o la ricotta al cioccolato e cocco e mi direte.
Infine, in estate allestiamo una bella terrazza dove poter gustare i nostri favolosi piatti della tradizione.
In più, due camere per gli ospiti. Più che un B&B, direi due camere con vista… sul cibo!
Riferimenti:
Trattoria Font’Artana
Piazza Duca degli Abruzzi, 8 - Picciano (PE)
Telefono: 085-828.54.51
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